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Rui Barros GFXGoal

Rui Barros, il funambolo portoghese della Juventus di Zoff

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È il 24 febbraio 1988, e a Lisbona si gioca un'amichevole fra Nazionali Under 23. Gli Azzurrini, guidati da Dino Zoff,sipreparano in vista dei Giochi Olimpici di Seul. La gara termina senza goal, 0-0, e apparentemente potrebbe apparire priva di spunti interessanti.

Quello che il risultato non dice è che quel giorno, che avrebbe cambiato per sempre la carriera di Rui Barros, l'Italia dovette sudare le proverbiali sette camicie per limitare il piccolo centrocampista lusitano. È alto appena un metro e 60 centimetri, ma ha classe e con la palla fra i piedi è una freccia che sguscia via come una lepre fra le linee azzurre.

Dino Zoff, vedendolo giocare, ne resta folgorato. Così qualche mese dopo, quando diventa allenatore della Juventus, effettua il colpo a sorpresa, e il piccolo portoghese, che deve ancora compiere 23 anni, approda a Torino, per indossare la maglia bianconera e cimentarsi con il campionato 'più difficile del Mondo', la Serie A.

Vince una Coppa Italia e una Coppa UEFA, da giovanissimo, prima di sfidare gli Azzurrini, aveva già conquistato uno Scudetto portoghese, una Coppa del Portogallo, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale con il Porto, la squadra della sua vita. In Italia segnerà anche alcuni goal molto belli, deciderà partite importanti, ma dovrà accontentarsi di una squadra, la Juve, che attraversa un periodo di transizione dopo i grandi successi.

Giocherà e vincerà anche in Francia con il Monaco, poi passerà all'Olympique Marsiglia prima di far ritorno al Porto e scrivere la storia del club: altri 5 Scudetti e altre 2 Coppe nazionali, portando rispettivamente a 6 e 3 i trofei totali al momento del suo ritiro, nel 2000. In Nazionale, nonostante una lunga militanza di 9 anni, non giocherà mai una fase finale di un grande torneo internazionale.

LE ORIGINI E I PRIMI PASSI NEL CALCIO

Rui Gil Soares de Barros, per tutti semplicemente Rui Barros, nasce a Lordelo, cittadina ad una manciata di chilometri da Oporto, il 24 novembre 1965. La sua è una famiglia numerosa: ha 2 fratelli e ben 5 sorelle. Per mamma Lucinda Soares, casalinga, le giornate sono molto impegnative, dovendo tenere a bada 8 figli, mentre suo padre, Marcilio de Barros, lavora come falegname in un mobilificio del posto.

"Le mie sorelle sono tutte più basse di me. - rivela in un'intervista a 'Tribuna Expresso' del febbraio 2019 - I miei fratelli invece sono un po' più alti di me. Io sono alto un metro e 60 cm, loro sono 1,65, 1,67 e così via".

Rui cresce poco, ma si innamora di quella palla, inizialmente fatta di stracci, poi di gomma, che diventerà la sua professione. Non brilla negli studi, così il papà lo porta con sé in bottega. Il piccolo Rui ha così il tempo, nel tempo libero, di giocare a calcio.

"Sono andato a scuola fino alla Quinta elementare, frequentai fino a 12-13 anni. - racconta - Poi andai a lavorare con mio padre e mio fratello maggiore Antonio. Ero un intagliatore. Nel mobilificio i mobili erano progettati e lavorati a pezzi. Io facevo le figure sul legno. Ho realizzato parti di letti, parti di sedie. Ad esempio i fiorellini che si fanno sulle sedie in legno. Ho imparato da mio fratello e lavorare nel mobilificio mi piaceva molto".

Con il pallone fra i piedi, nonostante il gap della statura, dimostra di saperci fare. Ha una tecnica individuale superiore alla media e la velocità lo rende imprendibile sul lanciato.

"L'unico idolo per il quale un giorno mi sono detto: 'Voglio diventare come lui', è stato Johan Cruijff. - dichiarerà -Volevo diventare un calciatore, avevo una passione pazzesca. Anche se non avrei mai pensato allora di arrivare al livello cui sono arrivato".

Inizia a mettersi in evidenza da bambino giocando a Calcio a 5 indoor a Vinhal durante l'estate. A livello giovanile il suo primo club sono gli Aliados de Lordelo, la squadra della cittadina di origine, nelle cui fila entra all'età di 12 anni.

"Ricordo che i pantaloncini che si indossavano erano enormi, non erano personalizzati come adesso, e siccome io ero più piccolo rispetto agli altri, mi sentivo in imbarazzo. Dovevo fare 4 o 5 pieghe per poterli indossare".

"Non avevo un soprannome unico, mi chiavamavo Topolino o Formica atomica. Non mi dava fastidio. Quello che mi piaceva di più era Topolino". 

"Guardando indietro posso dire di essere stato un privilegiato. Anche nel cibo, rispetto ai miei fratelli. Per esempio la domenica c'era il pollo arrosto, e a me davano la coscia. Forse perché ero magro e dovevo correre e giocare".

Dopo un anno passa quindi al Rebordosa, club della città vicina della quale era originaria sua madre.

"Ci allenavamo 3 volte a settimana. Ero molto veloce e dribblavo. Mi fecero subito capitano".

A 15 anni si trasferisce al Paços de Ferreira.

"Dopo avermi visto giocare, mi invitarono a venire da loro. - ricorda Rui Barros - Venivano a prendermi perché dovevo allontanarmi da casa 5-6 chilometri".

Dopo esser stato scartato a causa della statura in alcuni provini, a 17 anni, nell'inverno del 1984, il Porto decide di acquistarlo. Inizialmente il Paços de Ferreira vuoletenerlo e per convincerlo gli offre un contratto biennale da professionista. Ma Rui Barros ha già scelto:

"Non voglio restare - dissi - tenterò la fortuna al Porto. Oggi non so come abbia potuto rifiutare la proposta del Paços. I Dragoni mi pagavano soltanto l'autobus, ma io ho voluto cogliere l'opportunità".

Rui Barros Sporting Covilha

Con la maglia dei Dragoni si laurea Campione nazionale juniores nel 1983/84, firma un biennale ma non è ritenuto ancora non pronto per il passaggio in Prima squadra.

"Al Paços mi dicevano che al Porto c'erano giocatori molto forti fisicamente e che io non avrei mai giocato. Il mio primo allenatore fu Feliciano. All'inizio per me fu dura per via della mia statura. Con le piogge, anche i campi erano pesanti. Così mi allenavo, ma non giocavo. Poi a febbraio-marzo ho iniziato a giocare e a far goal, e a fine anno ci siamo laureati campioni".

"A fine anno il Porto mi fa firmare un biennale. Il mio primo stipendio fu di 125 euro attuali. Lo consegnai subito a casa ai miei genitori. Ho fatto la preparazione di un mese con la Prima squadra, guidata da Artur Jorge, un uomo molto severo di cui avevo soggezione. Avevo un grande rispetto per lui e ancora adesso penso che se me lo ritrovassi davanti mi infilerei da qualche parte e mi nasconderei (ride, ndr). Dopo tre settimane divisero il gruppo, io ero fra quelli che sarebbero stati ceduti". 

Il suo percorso da professionista inizia così l'anno successivo in forza allo Sporting Covilha. 

"Rimasi alcuni giorni senza allenarmi né sapere nulla sul mio futuro. Una vera ansia, anche perché a casa non avevamo il telefono. Ma dopo 8 giorni chiamarono il Caffè Carvalho, vicino a dove abitavo a Lordelo. Era il signor Luís César: 'C'è un club a Covilha che ti vuole. Devi presentarti lì'. Era una domenica e lunedì sera dovevo presentarmi: 'Signor Luís César, e come ci arrivo?'. E lui: 'Devi andare a Batalha, prendi l'autobus lì e troverai qualcuno che ti aspetta”. Mi ci sono volute cinque ore per arrivare. Partii alle cinque del pomeriggio e arrivai verso le dieci e mezza di sera. Con mio grande stupore, quando arrivo, non c'è nessuno ad aspettarmi...".

"Non mi ero mai allontanato da solo da casa prima di allora. Chiesi ad un taxista dove si trovasse il quartier generale dello Sporting Covilha. 'Non è lontano'. Mi indicarono la strada e arrivai lì che erano ormai le undici e mezza... Per mia fortuna i dirigenti erano in riunione. 'Vengo dal Porto', dissi loro. 'Aspetta un minuto', mi rispose uno. Rientrò dentro e quando riapparve mi disse: 'Ora qualcuno ti accompagnerà nel tuo alloggio e domani inizierai gli allenamenti'".

Nonostante un'iniziale diffidenza, quando gli viene data la possibilità di giocare Rui Barros convince tutti e a 19 anni viene ingaggiato.Ottiene la promozione in Serie A, ma a fine anno deve far ritorno al Porto, che gli rinnova il contratto e lo cede, ancora a titolo temporaneo, alVarzim, sua filiale.

"Fui allenato da Felix Mourinho prima e da Henry Callisto dopo. Anche lui molto rigoroso. Ho appreso da entrambi. Per giocare rispettavo il mio corpo: andavo a letto presto, non bevevo alcol. Abitavo in un appartamento con Soares. Pranzavamo e cenavamo sempre assieme, ci pagavano il ristorante, io non so cucinare".

Vince il Girone Nord della Seconda Divisione portoghese, che ai tempi non era un campionato professionistico (lo diventerà a partire dal 1990) e va in Prima divisione, nella quale debutta, sempre in prestito al Varzim, nel 1986/87.

L'ESPLOSIONE CON IL PORTO

Il buon rendimento e le prestazioni sempre più convincenti fanno sì che il Porto, che nel frattempo ha perso la stella Paulo Futre, ceduto all'Atletico Madrid per 11 miliardi di Lire, lo riporti a casa. A convincersi delle sue potenzialità è il tecnico dei lusitani, Tomislav Ivic, che lo lancia da titolare nella stagione 1987/88, l'anno successivo alla conquista della Coppa dei Campioni da parte dei Dragoni.

"Mi disse: 'Tu resti in rosa, non ti diamo in prestito'. - racconterà - Per me era già una vittoria". 

Per Rui Barros è l'anno della definitiva esplosione: in fase di non possesso fa un gran movimento, ma è con la palla fra i piedi che il piccoletto dà il meglio di sé: le sue incursioni a gran velocità nell'area avversaria sono spesso letali per le squadre avversarie. Il 21 novembre 1987 decide con un goal al 5' la sfida di andata della Supercoppa europea. L'Ajax esce sconfitto 0-1 allo Stadio Olimpico di Amsterdam. Il Porto si ripete nella sfida di ritorno all'Estadio das Antas il 13 gennaio successivo e il piccoletto di Lordelo festeggia il trofeo con i suoi compagni

"È stata una partita memorabile, - afferma a 'Tribuna Expresso' - per il goal che ho segnato, per la coppa che abbiamo vinto. Quell'anno eravamo campioni nazionali, abbiamo vinto la Coppa del Portogallo, la Supercoppa europea e l'Intercontinentale. È stato un anno fantastico".

Il giovane centrocampista, educato dalla famiglia ai valori del cattolicesimo, si allena con grande serietà ed ha un bel carattere. Questo lo aiuta a inserirsi in una squadra vincente. L'11 dicembre 1987 a Tokyo vince anche la Coppa Intercontinentale battendo 2-1 il Peñarol su un campo particolarmente pesante per l'abbondante nevicata che imbianca la capitale giapponese nelle ore precedenti la gara.

In campionato segna 14 goal in 38 presenze, dando un contributo fondamentale alla squadra nel double Campionato-Coppa del Portogallo. Con 4 trofei conquistati in un anno dimostra a coloro che non avevano creduto in lui di essere un calciatori di alto livello. 

Olegsandr Zavarov Rui Barros Michael LaudrupWikipedia

IL BIENNIO ALLA JUVENTUS

Le prestazioni di primo piano portano inevitabilmente Rui Barros a indossare anche la maglia della Nazionale maggiore portoghese e dell'Olimpica. Lo scoprono anche gli osservatori della Juventus inviati da Giampiero Boniperti, che di lui danno referenze molto positive.

Il 24 febbraio 1988 il piccolo portoghese fa impazzire con il suo continuo movimento gli Azzurrini dell'Olimpica, in particolare Roberto Galia (che ritroverà in bianconero come compagno di squadra) e al quale Zoff dà il compito di seguirlo. Succede poi che proprio Dino Zoff è scelto dal club bianconero come nuovo allenatore, e che l'ex portiere debba dunque abbandonare la Nazionale Olimpica, con cui aveva fatto molto bene, per assumere l'incarito di tecnico bianconero.

È l'estate del 1988 e il primo nome che Zoff fa a Boniperti e alla sua dirigenza è proprio quello di Rui Barros. Con uno sforzo economico importante, per 7 miliardi e mezzo di Lire nel mese di luglio il centrocampista portoghese diventa un giocatore bianconero.

"Erano le 10 di sera. - racconta il portoghese - Il signor Luis César mi chiama e mi dice che dovevo andare allo Sheraton. 'Ma per cosa?', gli chiesi. 'Il presidente Pinto da Costa ti vuole parlare, devi venire allo Sheraton', ribadisce. Arrivo e trovo Luciano D'Onofrio, Teles Roxo e Mr. Aguiar. Luciano viene da me e mi dice che c'è un club molto importante che mi vuole. Chiedo quale sia, ma non mi dicono il nome. Bisogna aspettare che arrivi il presidente. Mi consigliano di fare una passeggiata. Così sono andato a Foz, con la mia auto, un'Opel Corsa rossa presa ai tempi del Varzim".

"Andai a casa di Jaime Pacheco e gli chiesi un consiglio. 'Non sprecare questa opportunità', mi disse. Quando tornai allo Sheraton e mi dissero che dovevo andare alla Juventus non volevo crederci. Ero spaventato. Lasciai la riunione all'una del mattino. Sono arrivato a casa, a Lordelo, e ho svegliato i miei genitori. Mia madre piangeva, poverina. Quella notte non dormimmo. Il giorno dopo andai allo Stadio das Antas per prendere le mie scarpe da calcio. Portavo con me una busta di plastica con una salsiccia e dei biscotti che mi aveva dato mia madre. Quelli che mi vedevano si mettevano persino a ridere. All'aeroporto mi aspettava un volo privato, oltre a me c'erano il presidente Pinto da Costa, il dottor Aguiar e Teles Roxo".  

"Durante il viaggio mi passò in mente un po' di tutto. Ho pensato cosa mi sarebbe accaduto se non fossi andato bene... Ero davvero spaventato".

Rui Barros sbarca così a Torino.

"Quando arrivammo, ci recammo direttamente nell'ufficio del presidente della Juventus. - ricorda - Continuava a guardarmi, forse aveva visto dei video e non pensava che fossi così piccolo di statura (ride, ndr). La prima cosa che mi ha detto è stata: 'Sarai un nostro giocatore ma prima della presentazione devi andare dal barbiere a tagliare i capelli'. Abbiamo quindi discusso del contratto e poi con un auto privata mi hanno portato dal suo barbiere'.

Data una sfoltatina ai lunghi capelli ricci, Rui Barros, che avrebbe percepito un ingaggio da 400 mila euro, il doppio di quanto prendeva al Porto, è pronto per la presentazione ufficiale. Il giorno, ai cronisti che evidenziano la statura mini del nuovo acquisto portoghese, è lo stesso presidente Boniperti a replicare:

"Anche con i missili piccoli - afferma - si abbattono le corazzate".

Rui Barros Juventus Serie A

Non sarà l'unico colpo della Vecchia Signora: dal Bologna preleva il centrocampista Giancarlo Marocchi (4,5 miliardi) e restituito al Liverpool Ian Rush, dalla Dinamo Kiev ecco il primo sovietico a giocare in Serie A, Oleksandr Zavarov (7 miliardi). Arriva anche l'esperto 'Spillo' Altobelli dall'Inter a costo zero.

"Arrivato al campo di allenamento - ricorda Barros - c'erano 3 mila persone che aspettavano il mio arrivo. È stato fantastico. Mi tremavano le gambe, ma l'accoglienza di mr. Zoff e del gruppo nei miei confronti è stata fantastica".

Zoff costruisce una Juve funzionale e pratica, impostata sul gioco all'italiana. La prima stagione, segnata anche dalla morte del campionissimo Gaetano Scirea, però, non è esaltante per la squadra: 4° posto in campionato, eliminazione ai quarti di finale di Coppa UEFA ad opera del Napoli e nella seconda fase a gironi di Coppa Italia.

Rui Barros si rivela tuttavia il migliore e il più costante fra gli stranieri della Juventus: Zavarov fa fatica, Laudrup alterna grandi prestazioni a pause preoccupanti. Il portoghese conferma invece le impressioni positive che il tecnico aveva avuto vedendolo in azione col Portogallo Olimpico. 

L’avventura in bianconero comincia per lui in Coppa Italia: il debutto assoluto è datato 21 agosto 1988 a Cosenza (0-0 in Coppa Italia), ma già alla seconda gara, la prima giocata davanti ai suoi tifosi, la Juventus travolge il Vicenza, 5-1. Barros è fra i mattatori della partita, con gli gli assist che consentono ad Altobelli di segnare una tripletta. I tifosi imparano ad amare il campione tascabile che lotta su ogni palla come fosse sempre quella decisiva.

L'esordio in campionato arriva alla 1ª giornata della Serie A, il 9 ottobre 1988: un secco 3-0 dei bianconeri sul Como al Senigallia. Alla 5ª giornata, contro il Bologna, si gioca una gara al cardiopalma. La squadra di Zoff costruisce sulle sue invenzioni, una vittoria importante per 4-3 che la porta nelle zone alte della classifica. Suo è anche il goal del provvisorio 1-0, il primo nel campionato italiano. Nonostante una rimonta dei rossoblù, alla fine i due punti sono dei piemontesi.

In precedenza, a inizio ottobre, Barros aveva messo la sua firma anche nel netto 5-0 a Torino contro l'Otelul Galati, ritorno del Primo turno di UEFA, siglando una doppietta. Le conferme arrivano subito dopo: il centrocampista è prolifico sotto porta e ispira i compagni, da Laudrup ad Altobelli. Il suo magico 1988 si chiude con l'assegnazione del premio di Calciatore portoghese dell'anno.

"Dopo due mesi capivo già l'Italiano. - rivela Barros - E quando sei molto concentrato su questo e ti appassiona... Quando andammo in Svizzera, sono rimasto in stanza con Napoli, mio compagno di squadra, e ha iniziato a insegnarmi anche a parlare l'Italiano. A novembre i miei genitori e mia moglie si sono trasferiti in Italia. Tornati in Portogallo a Natale, però, mamma e papà sono voluti restare lì. Ma sono venuti a trovarmi anche i miei fratelli".

Un'altra doppietta a Cesena, il 26 febbraio 1989, consente alla Juventus di tornare a vincere dopo mesi fuori casa. Segna poi con un tocco sotto a superare Zenga il goal che permette di pareggiare 1-1 il Derby d'Italia con l'Inter il 7 maggio 1989, rimandando la festa nerazzurra per il titolo. E ancora una sua doppietta, che fa seguito al vantaggio di Michael Laudrup nei minuti iniziali, propizia l’ultima vittoria stagionale della Vecchia Signora a spese del Verona (3-0), assicurandole il 4° posto finale.

Rui Barros complessivamente totalizza nella sua prima stagione italiana 15 reti (12 in Serie A, 2 in Coppa UEFA, una in Coppa Italia) in 45 gare, decisamente non male per un debuttante che di mestiere fa il centrocampista, seppur con caratteristiche offensive.

"Sono stato molto fortunato, - affermò all'epoca - potevo finire a intagliare il legno, invece faccio i goal nel campionato più bello del mondo e nel mio Paese sono un idolo. Io, però, non perdo mai la misura della realtà, per questo continuo a stare con i piedi per terra, ad allenarmi con umiltà e serietà. Il calcio è un mondo fantastico, ma ricco di insidie".

Juventus Serie A 1988/89Wikipedia

La seconda stagione all'ombra della Mole è ricca di soddisfazioni ancora maggiori per il portoghese tascabile, nonostante una minore prolificità in zona goal. Rui Barros nel 1989/90 dà infatti un contributo importante per la conquista della Coppa Italia e della Coppa UEFA. La rosa vede la partenza di Laudrup e Altobelli, ma arrivano Alejnikov a centrocampo e Pierluigi Casiraghi e Totò Schillaci in attacco. 

Nel trofeo nazionale Madama elimina la Sampdoria nella seconda fase a gironi, poi la Roma in semifinale (2-0 a Torino e 3-2 a Roma) e in finale supera il Milan di Sacchi per 0-1 nel ritorno del Meazza. In Europa, invece, Rui Barros è decisivo segnando il goal vittoria nell'andata del secondo turno col PSG (0-1 per la Juve) e ha aperto le marcature nel 3-2 decisivo della semifinale di andata con il Colonia di Thomas Hässler. 

La finale propone il derby italiano in due atti con la Fiorentina, ed è la Juventus, sul neutro di Avellino, a vincere 3-1 la sfida di andata. Rui Barros fa il suo, e al ritorno lo 0-0 del Franchi di Firenze regala il trofeo alla squadra di Zoff. In campionato, dove i bianconeri si piazzano nuovamente al 4° posto, resta impressa nella memoria dei tifosi la strepitosa gara giocata contro il Milan l'11 marzo 1990. 

I rossoneri sono impegnati nel duello Scudetto con il Napoli, ma soccombono 3-0 contro i bianconeri. Schillaci segna il primo goal, poi si assiste ad un vero show del piccolo portoghese, che sorprende la difesa rossonera e segna una doppietta. Il 2° goal è un capolavoro, un inserimento a gran velocità dalle retrovie per poi farsi 50 metri di campo palla al piede, inseguito dai difensori rossoneri, e battere il portiere Giovanni Galli prima che maldini tenti un intervento disperato per recuperare il pallone.

La stagione si chiude per il centrocampista portoghese con 50 presenze e 4 goal (2 in campionato) ed è anche l'ultima in Italia: nel 1990 infatti, subito dopo i Mondiali, in casa bianconera si concretizza la rivoluzione societaria.

Con l'avvento di Luca Cordero di Montezemolo alla vicepresidenza e di Gigi Maifredi in panchina, Rui Barros non rientra più nei piani del club e dopo 19 goal in 95 partite è ceduto al Monaco. 

"Mi dissero che il nuovo allenatore della Juventus non puntava più su di me. Avevo due possibilità: Inghilterra o Francia. 'Ma io voglio restare in Italia'. Purtroppo in Italia la Juventus non mi permetteva di restare. Sapevo che Zoff stava andando alla Lazio. 'Vieni da me', mi aveva detto il mister. Ma a Roma non mi lasciavano andare. Restavano Monaco, West Ham e Celtic. Scelsi il Monaco per la distanza da Torino: poco più di 200 chilometri".

Rui Barros MonacoWikipedia

IL PERIODO FRANCESE: MONACO E MARSIGLIA

Trasferitosi nel Principato, Rui Barros ci resta per tre stagioni. A guidarlo in panchina nella sua prima annata con i monegaschi è Arsene Wenger, mentre con lui giocano un francese di grandi mezzi atletici e tecnici, Youri Djorkaeff, e un attaccante liberiano emergente di belle speranze, George Weah.  La squadra è molto competitiva e arriva 2ª in campionato e vince la Coppa di Francia, battendo 1-0 il Marsiglia al Parco dei Principi.

"Sono una persona normale, e Montecarlo mi piaceva perché rispetto all'Italia c'era meno pressione. Wenger prima di firmare mi chiese se potevo giocare ala destra o trequartista. Erano i ruoli che preferivo. È stato un allenatore fantastico".

Chiude il 1990/91 con 7 goal e 5 assist in 34 presenze nella Division 1 francese, l'anno seguente realizza 4 reti in Coppa delle Coppe e contribuisce a portare la squadra alla finalissima contro il Werder Brema. Sono però i tedeschi di Otto Rehhagel a imporsi 2-0 nella gara che si gioca proprio in Portogallo, ma al Da Luz di Lisbona.

"Alla fine del secondo anno mi sono fatto male. - dice Rui Barros - Due settimane prima della finale, in un contrasto, il mio piede scivola sulla palla e il piede si è girato. Ho subito capito che mi ero lesionato il tendine d'Achille. Giocai altri 5 minuti e lasciai il campo. Ma non volevo perdere la finale. Ho fatto infiltrazioni, un po' di palestra e di bici. Ho giocato la finale sotto infiltrazioni ma dopo altre due settimane mi sono dovuto operare. Il tendine non si è rotto ma il terzo anno con il Monaco è stato un anno problematico, con molti problemi fisici per me".

Nel 1992/93 il Monaco chiude al 3° posto in campionato, ma otterrà comunque la qualificazione alla successiva Champions League in seguito al caso Valenciennes-Marsiglia e all'esclusione dell'OM in via preventiva da parte dell'UEFA.

Ma nel 1993/94 Rui Barros, dopo 18 goal in 113 presenze complessive in biancorosso, scaduto il contratto con il Monaco, rifiuta il rinnovo e lo Sporting (dove il club voleva mandarlo) e accetta proprio l'offerta del Marsiglia. Nonostante il secondo posto finale, maturato sul campo, in Division 1, l'OM è retrocesso d'ufficio in Division 2. Per il portoghese tascabile sarà di fatto un'annata da dimenticare, con 17 presenze e 4 reti, preludio al ritorno a casa con il Porto.

NOVE ANNI IN NAZIONALE

Il cammino in Nazionale di Rui Barros inizia già nel 1987, quando, alle gare con l'Olimpica, somma quelle con la Nazionale maggiore. L'esordio arriva il 29 marzo a Funchal contro Malta nella gara valida per le Qualificazioni ad Euro 88 che i lusitani pareggiano 2-2. Il ventunenne entra nel secondo tempo e indosserà la divisisa del Portogallo per ben 9 anni, senza riuscire a disputare però una fase finale di un grande torneo internazionale.

Nelle Qualificazioni ad USA '94 è l'Italia di Arrigo Sacchi a precludere ai lusitani l'accesso ai Mondiali. Chiude il 12 dicembre 1996, all'età di 31 anni, disputando da titolare la sfida di Qualificazione a Francia '98 contro la Germania, pareggiata 0-0. Saluta con un bottino personale di 4 goal in 36 presenze. 

Monaco-Juve Rui BarrosGetty

LEGGENDA DEI DRAGONI

"Il 22 aprile 1994 incontrai Da Pinto e firmai per 4 anni con il Porto. Sarei tornato l'estate seguente".

Tornato al Porto, la maglia biancoblù diventa per Rui Barros una seconda pelle. Il folletto portoghese contribuisce a vincere altri 5 Scudetti in 6 anni (1994/95, 1995/96, 1996/97, 1998/99, 1999/00) e due ulteriori Coppe del Portogallo (1997/98 e 1999/00), cui vanno aggiunte 4 Supercoppe Nazionali (1995, 1997, 1999 e 2000).

"Il titolo più bello è stato il quinto Scudetto. Quell'anno abbiamo fatto il Triplete, e non era mai accaduto prima nella storia del Porto".

Dopo il ritiro si forma come allenatore e nel 2005 è ingaggiato dal Porto come assistente del tecnico olandese Co Adriaanse. Quando quest'ultimo dà le dimissioni, allena ad interim la Prima squadra: vince due amichevoli in Inghilterra e la Supercoppa portoghese 2006 superando in finale il Vitoria Setubal.Ma il 21 agosto la società ingaggia Jesualdo Ferreira e Rui torna nel ruolo di vice.

Torna a guidare la Prima squadra nel gennaio 2016, in seguito all'esonero di Lopetegui, ma pochi giorni dopo cede il posto a Sergio Conceiçao. Il rapporto di lunga durata con i Dragoni prosegue dal 2018 con il nuovo ruolo di tecnico della Seconda squadra, che lo vede impegnato ancora oggi.

Nella vita privata Rui Barros è sposato con Luisa, più giovane di lui di 4 anni, conosciuta a 19 anni a Covilha. La coppia ha 4 figli.

"Era la mia vicina dell'alloggio dove abitavo a Covilha, ma aveva solo 15 anni. Non potevamo uscire insieme. Ci siamo conosciuti alle feste, ci siamo scambiati uno sguardo e soltanto quando lei compì 16 anni abbiamo iniziato a uscire insieme, senza che i suoi genitori lo sapessero (ride, ndr). Quando arrivai in Italia non eravamo sposati e questo era causa di scandalo. Così nel 1990 ci sposammo con rito civile e l'anno dopo, a Montecarlo, celebrammo quello religioso". 

Il ricordo dei suoi due anni alla Juventus è sempre forte per il portoghese.

"Vivere in Italia mi è piaciuto tanto. - assicura - Certo Torino era una città molto chiusa, molto buia, molto industriale, ma mi piacevano le persone, i ristoranti, la pasta, che amo ancora oggi. Ancora oggi vado in Italia molte volte. In campo l'atmosfera era passionale, coinvolgente. Lo stadio sempre tutto pieno, un'emozione".

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