Francesco Totti, capitano e trascinatore di quella squadra. Oppure Gabriel Batistuta, bomber principe dei giallorossi in grado di mettere a segno ben 20 goal. O Vincenzo Montella, autore di 13 reti, una più pesante dell’altra. È davvero raro ricevere una risposta differente dalle tre appena citate di fronte alla domanda “Qual è stato il giocatore più determinante per lo Scudetto conquistato nel 2001 dalla Roma di Capello?”.
Ma c’è anche una quarta opzione che – no – non riguarda nè gli instancabili esterni Cafu e Candela, nè “The Wall” Walter Samuel nè tantomeno lo stesso Fabio Capello.
La risposta che molti romanisti danno a questa domanda ha gli occhi a mandorla e i capelli a spazzola ed è “Hidetoshi Nakata”. Uno che in campo, in quel campionato “magico” per i giallorossi, è sceso in campo appena 15 volte, trovando la rete soltanto in due circostanze. Ed entrando di diritto nel cuore dei tifosi giallorossi per un “non goal”, ancor più che per un goal.
Nakata è sempre stato il classico “antidivo”. Ma lo è stato davvero, non solo in apparenza. Anche all’apice della propria carriera, Nakata odiava apparire, rilasciare dichiarazioni, persino essere fotografato. Non ha mai compreso fino in fondo la sua stessa celebrità e vedeva il calcio come un mestiere da svolgere con la massima professionalità e non come una porta d’ingresso per la celebrità. E chi è stato a stretto contatto con lui ci mette la mano sul fuoco: nessun “personaggio”, Nakata era davvero disinteressato a tutto ciò che succedeva attorno a lui al di fuori dal campo d’allenamento e dal campo di gioco.
Insomma, il suo modo di essere non è assimilabile a coloro i quali, al giorno d’oggi, non perdono occasione per ribadire di non aver alcun profilo social, salvo poi controllare ogni commento sul proprio conto attraverso profili fake. A Nakata non importava proprio nulla dei giudizi dei giornalisti, delle voci di mercato, a volte non era informato nemmeno sulla classifica. Poco professionale? Beh, non proprio, a sentire i suoi compagni di squadra dell’epoca.
Ma basta conoscere la sua storia per rendersi conto della singolarità del calciatore più famoso di sempre nel Paese del Sol Levante.
È infatti lui la stella più lucente del Giappone che, per la prima volta nella sua storia, riesce nell’impresa di accedere alla fase finale di un Mondiale. È il 1998, la kermesse iridata si svolge in Francia e il Giappone si presenta con una selezione di calciatori sconosciuti in Europa e noti soltanto all’interno dei confini del proprio Paese. Dopo quel Mondiale, nulla sarà più così.
GettyPur chiudendo il Mondiale con 0 punti all’attivo, ma senza mai sfigurare, il Giappone mette in vetrina i suoi talenti migliori e il Perugia di Luciano Gaucci, all’epoca avvezzo ai primi colpi di mercato ad effetto, punta proprio su quel ragazzino che, alla faccia della sua timidezza, ai Mondiali di Francia si era presentato con una chioma ossigenata bionda. Comincia così l’avventura di Nakata in Italia, sotto un alone di scetticismo alimentato dai più conservatori, convinti che quell’acquisto fosse stato soltanto un’ottima mossa di marketing che avrebbe attirato sulla Serie A e sul Perugia l’attenzione (e gli yen) dei tanti innamorati di calcio europeo presenti in terra nipponica.
A Nakata basteranno però pochi minuti per mettere a tacere i più scettici. Nel giorno del suo debutto, il calendario gli regala la sfida con la Juventus, squadra amatissima nel Paese del Sol Levante. Migliaia di sostenitori giapponesi si recano addirittura al ‘Curi’ per assistere all’esordio del loro beniamino nel campionato più amato in Giappone e Nakata non perde occasione per ricambiare affetto e attenzioni: nella ripresa, col numero 7 sulle spalle, realizza una doppietta che non basta al Perugia per portare a casa punti (il punteggio finale sarà di 3-4), ma basta a lui per dimostrare sin da subito di che pasta è fatto.
(C)Getty ImagesÈ l’inizio di una stagione magica per “Hide”, che riuscirà a chiudere il campionato in doppia cifra. Non male per un trequartista in forza a una neopromossa e al debutto assoluto nel calcio europeo.
Nonostante un’estate ricca di titoli sulle pagine dedicate al calciomercato, Nakata ricomincia ancora da Perugia ma a gennaio Gaucci cede alle lusinghe (e ai miliardi) di Franco Sensi che pagandolo ben 30 miliardi di lire più Alenichev, riesce a portarlo alla Roma. Stavolta nessuno osa parlare di “colpo mediatico”, di sponsor e di marketing, ma l’enigma è di carattere tattico: in quel ruolo, infatti, nella Roma gioca un certo Francesco Totti. Dove giocherà Nakata?
Fabio Capello, che aveva premuto parecchio con la proprietà del club giallorosso per arrivare al gioiello nipponico, strappa il sì del giocatore convincendolo durante una cena organizzata in un ristorante di Chianciano. Leggendario diventerà l’undici composto con le briciole di un grissino dal tecnico friulano. “Tu giocherai qui”, dice a un incredulo Nakata indicando la briciola che si muove come vertice basso del centrocampo.
“Giocherai nel ruolo di Falcao?”, gli chiedono i cronisti presenti il giorno del suo arrivo a Roma. “Mi dispiace, non so chi sia”, la risposta di Nakata. Bene ma non benissimo, avremmo commentato oggi.
Già, perchè come detto, per Nakata il calcio non è mai stata una passione a tuttotondo, bensì un lavoro. Un lavoro per il quale dava tutto e che gli piaceva parecchio. Ma un lavoro.
Intanto, a proposito di lavoro, la società che detiene i suoi diritti d’immagine si dà subito da fare: via alla vendita in Giappone delle maglie della Roma con dietro il nome di Nakata. Prezzo di vendita? 1000 dollari. Pezzi venduti? Tutti, ovviamente. Neanche a dirlo.
Getty ImagesIl debutto in maglia giallorossa avviene al Bentegodi, in una sfida vinta contro il Verona. L’idea di Capello è chiara: Delvecchio, Montella e Totti compongono il tridente, Nakata è la mente del centrocampo tra i polmoni di Tommasi e Di Francesco. La Roma gira, Nakata un po’ meno. Il primo goal, in maglia giallorossa, arriva – ironia della sorte – proprio contro il Perugia, proprio nello stadio che lo ha accolto. La Roma, però, getta alle ortiche il doppio vantaggio e la gara alla fine si chiuderà sul 2-2, con doppietta decisiva di Renato Olive.
Al termine di quella seconda parte di stagione, i goal in maglia giallorossa saranno solo 3, lo Scudetto andrà alla Lazio e l’avventura di Nakata alla Roma sembra già prossima alla conclusione.
All’inizio della stagione successiva, la Roma si presenta ai nastri di partenza con un obiettivo chiaro: vincere lo Scudetto. Sensi regala a Capello un bomber come Batistuta e completa l’organico con Samuel ed Emerson che, ancora non affermati ai massimi livelli, si riveleranno due autentici campioni. Il pubblico giallorosso, da una parte su di giri per i colpi di mercato ma dall’altro ancora arrabbiato per il titolo appena conquistato dai rivali biancocelesti, chiede a Sensi un ultimo sacrificio: l’acquisto di un portiere.
Nell’estate appena conclusa, Francesco Toldo era stato l’indiscusso eroe di Euro 2000. È lui l’uomo giusto, ne sono convinti tutti. La Fiorentina chiede però che nell’operazione rientri anche Nakata, e alla fine non se ne fa niente. I giallorossi si affidano ancora ad Antonioli, mentre Nakata parte per il ritiro austriaco con la squadra.
Il giapponese chiede ed ottiene una stanza singola nel ritiro di Kapfenberg. Il motivo? Ha un sito internet personale da gestire: www.nakata.it, all’epoca, esisteva davvero. Ed era uno dei pochissimi domini di proprietà di un calciatore. Nakata passa la notte ad interagire con tutti i suoi fans nipponici e, con la stessa onestà, risponde anche alle prime domande dei giornalisti: “No, non credo che farò ancora il centrocampista. Andarmene? Possibile, se non ci sarà spazio per me”.
Apriti cielo! A Roma, nel frattempo è arrivato anche Batistuta e dunque, se i posti lì davanti restano sempre 3, i giocatori a contenderseli sono ben 5. In più, a complicare ulteriormente le cose, è la regola che impone ai club italiani di schierare un massimo di 3 calciatori extracomunitari a partita. Samuel, Cafu e Batistuta sono tre intoccabili, che cannibalizzano così i 3 slot disponibili. Hidetoski Nakata e il centrocampista brasiliano Marcos Assunçao devono quindi accontentarsi delle briciole.
Il giapponese raccoglie qualche gettone approfittando di alcuni impegni con le rispettive Nazionali dei compagni sudamericani, di qualche stop per squalifica e di qualche stop precauzionale che frena Gabriel Batistuta. Tuttavia, la stagione di Nakata è opaca: fino al 21 aprile disputa appena 4 gare da titolare in campionato, per un totale di 384 minuti (più recuperi).
Poi, a 8 giornate dal termine del campionato, tocca a lui. Totti rimedia un giallo “strategico” nella sfida contro il Perugia per cancellare la diffida in vista del derby con la Lazio e salta così la trasferta di Udine. La contemporanea (casuale?) squalifica di Samuel, libera anche lo slot da extracomunitario e Capello può dunque lanciare Nakata che con un goal meraviglioso contribuisce al successo del “Friuli”.
Svolto il suo compito, Nakata assiste dalla panchina al derby pareggiato per 2-2 con la Lazio (“quello del goal di Castroman”), ma torna protagonista la settimana successiva.
La Corte Federale emana una sentenza che porta all’eliminazione della distinzione tra calciatori comunitari ed extracomunitari, aderendo – in ritardo - alla normativa comunitaria. In pochi se ne curano, almeno fino alla domenica successiva.
La Roma, infatti, può così schierare simultaneamente i suoi 5 extracomunitari ed è questo ciò che accade al Delle Alpi. Nell’undici iniziale ci sono solo i soliti Samuel, Cafu e Batistuta ma, al minuto 59 e sul punteggio di 2-0 in favore della Juventus, Capello si toglie lo sfizio di mandare in campo Assunçao e Nakata. Il brasiliano sosituisce Cristiano Zanetti, il giapponese prende il posto di un incredulo Totti.
Ma a rimanere increduli saranno un po’ tutti quando il numero 8 giallorosso rimette in partita la Roma sorprendendo Van der Sar con un destro straordinario che termina la sua corsa all’incrocio dei pali. È il minuto 78 e una gara che sembrava senza storia, poichè letteralmente dominata dalla Juve, cambia volto. E al 91’, si trasforma definitivamente: Nakata riceve da Candela e calcia ancora dalla distanza, Van der Sar respinge male sui piedi di Montella che fa 2-2 e fa decollare l’Aeroplanino. È la rimonta che vale lo Scudetto, che al termine della stagione la Roma conquisterà con appena 2 punti di vantaggio sui bianconeri.
Getty ImagesLe immagini che fanno seguito al goal di Montella al Delle Alpi riassumono tutta la personalità di Nakata: mentre i compagni urlano, corrono e si abbracciano, lui rientra a passo lento verso il centrocampo, visibilmente infastidito dai buffetti di congratulazioni. Ma non c’è nulla di polemico nella sua esultanza. C’è semplicemente la reazione di chi ha svolto bene il proprio lavoro, ma non per questo pretende applausi o se ne compiace a tutti i costi. Così come raccontato da Francesco Totti nell’autobiografia scritta a quattro mani con Paolo Condò.
"Corro da Nakata per abbracciarlo e baciarlo, gli sono già addosso tutti, lui ha il consueto sorriso quieto, quasi si schermisce. Gli urlo nelle orecchie ‘Sei un mito Hide!‘, più volte, e alla fine lui si volta, esclama ‘Grazie!‘ e poi si allontana, secondo me un po’ infastidito dal contatto fisico, dalla carnalità esibita di un gruppo di giocatori che hanno appena segnato il goal Scudetto e ora si abbracciano in uno stato di estasi".
Nel finale di stagione, Nakata trova il modo di rendersi ancora utile alla causa: suo è infatti l’assist decisivo per il goal di Montella che vale il successo sull’Atalanta. Capello gli regala poi la meritata passerella nel giorno del match scudetto contro il Parma, mandandolo in campo a dieci minuti dal fischio finale per partecipare alla festa. Ma siamo certi che a Hide di quel gesto simbolico importava poco o niente. Al punto che, durante i festeggiamenti nello spogliatoio, da buon “antidivo” convinto, Nakata si farà notare ancora una volta a suo modo.
"Canti e balli mi coinvolgono subito, brindo con tutti e resto stupefatto e divertito da Nakata che in quel caos si è seduto in un angolo e sta leggendo un libro. Un marziano".
Nel racconto della festa Scudetto di Francesco Totti c’è tutto Hidetoshi Nakata.
È questo il suo ultimo atto da giocatore della Roma: i giallorossi acquistano Cassano dal Bari e cedono il giapponese al Parma di Tanzi per la cifra record di 60 miliardi di lire. A Parma, però, Nakata si esprime solo ad intermittenza, pur riuscendo ad aggiungere al suo palmares la Coppa Italia. Dopo due stagioni e mezzo lascia il club gialloblù per vestire la maglia del Bologna, poi prova l’esperienza in Premier, al Bolton, ma dopo appena una stagione dice basta col calcio.
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Ha soltanto 29 anni, ma ne ha già viste troppe e decide di smettere. Nessun infortunio, nessun problema fuori dal campo, nessun crollo delle prestazioni.
"Ho smesso perché non mi piaceva più l’ambiente. Lasciato il calcio, mi sono messo in viaggio. Ho girato in tutto il mondo, cento nazioni in tre anni. Dopo una carriera di soli hotel e stadi, volevo vedere nuovi posti. Ovunque mi riconoscevano non tanto perché fossi famoso io, quanto per la popolarità planetaria del calcio. Ho capito la grandezza di questo sport, la sua forza comunicativa. Mi sono detto: devo usarla per scopi benefici. Così ho creato una fondazione, dove lavoriamo con le onlus locali. Poi dovevo conoscere il mio paese. Mi chiedevano spesso del Giappone e io ne sapevo poco. Spesso mi vergognavo di questa mia ignoranza. Così decisi di scoprirlo a fondo, in questi anni l’ho setacciato tutto. Non il volto iper tecnologico delle città. Volevo conoscere quello della tradizione, del saper fare artigianale…".
Questo il suo testamento calcistico. Inattaccabile. Sicuramente coerente.
"Se tutti i giapponesi cominciassero a giocare come lui, dovremmo iniziare a preoccuparci. Meno male che per il momento i giapponesi si occupano d’altro…".
Questa frase, attribuita a Diego Armando Maradona, è forse un po’ iperbolica ma rende l’idea del valore assoluto del ragazzo venuto da lontano e che, probabilmente senza essersene mai reso conto, è entrato nel cuore dei tifosi della Roma per resterci per sempre. Proprio come quel Falcao, del quale – almeno si spera – abbia appreso qualcosa nell’arco dei 18 mesi trascorsi nella Capitale.