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Dener Augusto de SousaYouTube

La storia di Dener, il "Neymar degli anni 90" che morì in un incidente a 23 anni

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Guarda quello: si addormenterà guidando, sta morrendo di sonno”.

La sera del 18 aprile 1994, Luciana Gabino ha un brutto presentimento. E gli dà forma attraverso poche parole, timide ma mirate. Guarda l'ospite di casa che russa sul sofà e scuote la testa. Perché di lì a poco quell'ospite dovrà prendere l'auto e trasportare suo marito da San Paolo a Rio de Janeiro. Sono 400 chilometri circa, non una passeggiata. Luciana non vorrebbe che partissero: “Avevo chiesto loro di restare”, racconterà in seguito. Ma non viene ascoltata. Il marito ha un ricco contratto da firmare, una nuova vita da iniziare.

Poche ore più tardi, poco dopo le 5 di una notte maledetta, una Mitsubishi Eclipse va a schiantarsi contro un albero nei pressi della Lagoa Rodrigo de Freitas, a Rio. A bordo ci sono Otto Gomes Miranda, il conducente, e Dener Augusto de Sousa, il passeggero. Dener è il marito di Luciana. Ed è un giocatore del Vasco da Gama, anche se il suo cartellino è della Portuguesa, club di San Paolo. Non è uno qualsiasi dei cruzmaltinos: è la stella della squadra. E uno dei calciatori più forti di tutto il Brasile. Nell'incidente non ha scampo: viene strangolato da quella cintura di sicurezza che avrebbe dovuto proteggerlo, e che invece gli provoca un'asfissia fatale. L'uomo al volante, Otto, a cui verranno amputati entrambi gli arti inferiori, si è effettivamente addormentato. Come aveva tristemente presagito Luciana.

In quella notte tra il 18 e il 19 aprile 1994, un paio di settimane prima di ritrovarsi costretto ad affrontare lo choc della perdita di Ayrton Senna, il Brasile piange la scomparsa della propria stella più lucente. Addirittura più di Ronaldo, il giovanissimo attaccante del Cruzeiro destinato a diventare Fenômeno di fama mondiale. Ha appena compiuto 23 anni, Dener. Ha un passato pieno di cose da raccontare e un presente di gloria certa. Tanto che a Rio sta andando per firmare con lo Stoccarda, formazione tedesca che ha visto in lui il nuovo craque su cui costruire il futuro. All'incontro con i tedeschi, però, non arriverà mai.

Il calcio brasiliano perde l'arte di Dener”, annuncia il presentatore del telegiornale della Rede Globo a cui tocca l'ingrato compito di comunicare la notizia. “Era il giocatore che, come talento, più si è avvicinato a Pelé”, dice un paio di giorni più tardi Pepe, suo allenatore alla Portuguesa ed ex compagno del Re al Santos, alla 'Folha de São Paulo'.

Non è un'esagerazione. Chi lo guarda giocare ne rimane immediatamente folgorato. Dener esordisce nella Portuguesa nel 1989 sostituendo la leggenda Roberto Dinamite. Che lo vede all'opera e si stupisce genuinamente: “Ma davvero ha 18 anni? Pare ne abbia il doppio”. Ed è vero, perché in campo il ragazzino non ha paura di nulla. Il suo è puro futebol arte, come i grandi della storia del paese. È una mezza punta, un attaccante rapido. Ha una tecnica spaventosa, anche e soprattutto in velocità. Parte, dribbla, sogna in grande. Oggi sono in tanti a definirlo “il Neymar degli anni novanta”. I tifosi del Vasco da Gama, il suo ultimo club prima di trovare la morte, gli dedicheranno un coro diventato celeberrimo, definendolo “una via di mezzo tra Garrincha e Pelé”.

Dener sarebbe diventato come Pelé – ha raccontato a 'Lance' l'ex centravanti Jardel, che con lui ha fatto coppia al Vasco – Purtroppo c'è stata quella fatalità, abbiamo perso una persona meravigliosa e un giocatore straordinario. Sarebbe stato un altro Pelé, un Neymar, un Fenômeno”.

La storia di Dener ricalca quella di tanti fuoriclasse brasiliani. Nasce in una famiglia povera, sogna di sfondare col pallone ma intanto si divide tra calcio, nelle giovanili della Portuguesa, e futsal, il calcio a cinque. Per un paio di mesi viene testato dal San Paolo, senza essere approvato. E così torna alla base. Dove diventa un beniamino. Nel 1991 è lui la stella della Lusa che, per la prima volta nella propria storia, conquista la Copa São Paulo grazie a un 4-0 in finale sul Grêmio del Puma Emerson. Sempre in quell'anno, già promosso stabilmente in prima squadra, mette a segno una rete antologica contro l'Inter di Limeira, saltando tre avversari in sequenza prima di superare il portiere avversario: una prodezza che verrà unanimemente definita la più bella mai vista al Canindé, lo stadio del club paulista. Verrà avvicinata un paio d'anni dopo da un'altra magia simile, stavolta contro il Santos: tunnel sul primo avversario, altri due saltati in velocità, dribbling sul portiere e tocco a porta vuota. Sono le due perle più preziose della collezione.

Paulo Roberto Falcão, uno che di arte se ne intende, lo nota e se ne invaghisce. Nel '91 è lui il commissario tecnico di un Brasile in ricostruzione dopo la precoce eliminazione dai Mondiali italiani. E in un paio di occasioni chiama anche Dener. Che non ha nemmeno 20 anni quando esordisce con la maglia verde e amarela. È un battesimo di fuoco: contro l'Argentina, a Buenos Aires, con la Seleção sotto nel punteggio. Roba da far tremare i polsi anche a chi ha una decina d'anni più di lui. Però finisce 3-3, e la rete del pari firmata da Carlos Alberto Bianchezi, l'altro Careca dell'Atalanta,nasce proprio da una sua avanzata palla al piede, che in seguito l'ex nerazzurro definirà “impressionante”. Ha detto Falcão a 'Lance' qualche tempo fa: “La velocità con cui portava palla, la sua qualità, mi fanno venire la pelle d'oca ancora oggi”.

Dentro il campo Dener è irriverente, bambinesco, allegro. Giusto per capire il personaggio: una volta dice a 'Globoesporte' che “a volte fare un bel dribbling è più bello che segnare”. È il manifesto perfetto del proprio calcio. Fuori è un ragazzo timido, ma al contempo non ha la testa giusta. Si è già comprato l'automobile dei sogni, la Mitsubishi Eclipse con cui andrà incontro alla morte, ma non ha mai stipulato un'assicurazione sulla vita. Assieme a Luciana, la sua prima ragazza divenuta in seguito sua moglie, ha già tre figli. Inizia a fare la conoscenza di personaggi di dubbia morale. Tradisce la consorte con altre ragazze. E anche alla Portuguesa non tutti apprezzano il suo modo di essere. A volte ritarda agli allenamenti, altre volte non si presenta senza dare spiegazioni, inventa scuse su scuse. “Era senza vergogna, ha fatto morire almeno tre volte la nonna”, ha ricordato ridendo un dirigente del Grêmio. Un giorno arriva al campo con una... forbice infilata nei calzettoni, minaccia nemmeno troppo velata a un difensore che durante la seduta precedente aveva fatto volare qualche calcione di troppo.

Una volta – ha raccontato Pepe – Capitão, il giocatore più esperto della rosa, è venuto da me e mi ha detto: 'Sono qui in nome della squadra: le chiediamo di avere un po' di pazienza con Dener, anche se a volte scompare, non viene ad allenarsi o arriva in ritardo'. Ed era vero. È stata la prima volta che ho fatto un'eccezione per un giocatore, ma ne valeva la pena: ci risolveva le partite”.

Le magie alla Portuguesa sono il lasciapassare per i grandi club. Nel '93, intanto, lo prende in prestito per qualche mese il Grêmio. Dove nessuno ha dimenticato la sua devastante prestazione nella finale della Copinha di qualche anno prima, da miglior giocatore e mattatore totale. A Porto Alegre, Dener incanta ancora e conquista il suo primo trofeo da calciatore professionista: il campionato gaúcho. E lo fa da protagonista.

L'anno successivo è al Vasco da Gama. Ci gioca solo per pochi mesi, prima della tragica morte. Ma intanto fa in tempo a disputare un'amichevole a Rosario contro il Newell's Old Boys. La Lepra che, a quei tempi, in rosa ha Diego Armando Maradona. Che dopo la partita fa questione di conoscere quel ragazzino senza pudore e senza paura, che durante la partita ha fatto ammattire gli argentini con le sue iniziative personali: “Dite a quel moretto di aspettare, voglio fargli i complimenti”. Ricorda Edinho, figlio di Pelé e uno dei migliori amici di Dener, che il Diez “non faceva così con chiunque, ma era rimasto ammirato dal suo modo unico di giocare a calcio”.

Era al livello dei migliori attaccanti che ho visto giocare – ha detto Ricardo Rocha, suo compagno al Vasco e attuale commentatore tecnico in Brasile – di Romário, di Bebeto, di Careca. Tutto in lui era straordinario. Faceva cose geniali, fuori dal normale. Quando era in giornata, era sempre il migliore in campo”.

L'ultima partita con la maglia del Vasco da Gama, e nel mondo dei vivi, è datata il 17 aprile 1994. Due giorni prima di morire. Il clássico del Cariocão contro il Fluminense finisce 1-1. Dener porta la maglia numero 10 sulle spalle, come sempre, ma non segna. E nel finale viene espulso dopo aver litigato con l'ex bresciano e genoano Branco. Il Vasco lo vincerà, quel campionato. Senza mai perdere con il proprio craque in campo: 17 partite, 10 vittorie, 7 pareggi. La squadra di Jair Pereira rimedierà l'unica sconfitta cinque giorni dopo la sua morte, contro il Flamengo. Gara nella quale i tifosi rossoneri, come accadrà anche in seguito, intoneranno cori beceri sulla sua scomparsa (“Dener è già morto, ora manca solo Valdir”, altro idolo vascaíno).

Quasi trent'anni dopo la tragedia della Lagoa, Dener è ancora vivo. Nella memoria di chi lo ha visto giocare e nei racconti a chi non ha mai assistito alle sue gesta. Nel 2016 è uscita la sua prima biografia: 'Dener, o deus do drible'. Gliel'ha dedicata lo scrittore Luciano Ubirajara Nassar, le cui parole aiutano pienamente a comprendere chi fosse davvero “il dio del dribbling”.

Dener era molto più bravo di vari campioni del mondo. Per la sua creatività, la sua velocità, la sua capacità di improvvisazione. Non aveva bisogno di giocare nel Palmeiras, nel San Paolo o nel Santos. Dal 1990 a oggi, nessuno ha fatto quello che ha fatto lui. È il miglior giocatore del mondo dal '90 ai giorni nostri, più forte di Zidane, di Romário, di Ronaldinho, del Fenômeno Ronaldo. Più forte di Neymar e di Messi. Io ho visto giocare Pelé, so di cosa parlo. Ha avuto una vita breve, ma ha mostrato tanto. Ha compiuto la propria missione sulla terra: mostrare un'arte pura e nobile. È stato una cometa”.
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