Attaccanti che vedevano la porta come lui nella storia del calcio ce ne sono stati pochi. Ambidestro, veloce sul breve, bravo nel controllo palla, in acrobazia e nel colpo di testa pur non essendo un colosso (un metro e 76 centimetri per 77 chilogrammi di peso forma), José Altafini, conosciuto nella sua gioventù in Brasile come 'Mazola', ha caratterizzato con i suoi goal tre decenni, e il suo stesso nome è diventato sinonimo di bomber.
Con le squadre italiane ne ha segnati complessivamente 295 in 599 presenze (216 in Serie A, che gli valgono il 4° posto all-time fra i cannonieri del massimo campionato) ma fra Brasile, Canada, Svizzera e Nazionali (ha indossato sia la maglia della Seleçao, sia, come oriundo, quella dell'Italia) le reti da lui realizzate in carriera sarebbero oltre 630.
Nel suo palmarès figurano i Mondiali del 1958 vinti assieme a Pelé, due Scudetti e una Coppa dei Campioni con il Milan, una Coppa delle Alpi con il Napoli e altri 2 Scudetti conquistati con la Juventus. A livello personale è stato capocannoniere della Serie A, della Coppa Italia e della Coppa dei Campioni, torneo in cui condivide con altri 8 campioni, fra cui Lionel Messi, anche il record di aver realizzato 5 goal in una sola partita.
L'INFANZIA E L'ESPLOSIONE COL PALMEIRAS
José João Altafini nasce a Piracicaba, città dello Stato di San Paolo, nel Brasile Sud-orientale, il 24 luglio 1938. È figlio di emigrati veneti che in Sudamerica conducono una vita povera.
Sua madre, Maria Marchesoni, originaria di Lendinara, in provincia di Rovigo, fa la casalinga e la domestica per una famiglia benestante. Suo padre, Gioacchino, è nato a Piracicaba nel 1892, e lavora in uno zuccherificio. Ma il nonno, Luigi Riccardo Nazzareno, naque a Giacciano con Baruchella, località in provincia di Rovigo, di cui il futuro attaccante diventerà cittadino onorario.
José è il più piccolo dei 5 figli della coppia e si divide fra la scuola (ma per lo studio non è particolarmente portato) e lavoretti che svolge per aiutare la famiglia: fa il garzone dal barbiere o dal macellaio, l'operaio in una fabbrica di bibite, scarica camion di saggina, aiuta in lavanderia e lucida mobili per raccimolare qualche soldo. Nel tempo libero, come tanti coetanei, ha una grande passione: giocare scalzo con una palla fatta di stracci per le vie polverose della città.
"Sono nato in una città che allora faceva 180 mila abitanti - dirà Altafini alla televisione svizzera 'Marga Tv' -. Ho iniziato da bambino a giocare lì, prima per strada a piedi nudi, poi con il Clube Atletico Piracicabano, una squadra amatoriale. Il mio sogno tutte le sere prima di andare a dormire era diventare un calciatore della mia città. Questo non è stato possibile perché Dio mi ha dato di più, facendomi diventare un calciatore di Serie A".
Ogni tanto il giovane José ruba un po' di frutta dai campi e scappa via a gran velocità per non farsi prendere.
"Quando mi inseguivano dicevo: 'Col cavolo che mi prendete'- racconterà al 'Guerin Sportivo' -, la stessa frase che poi avrei detto ai difensori quando diventai un giocatore professionista. Rubavo per gioco e per necessità, perché in famiglia eravamo in tanti e i soldi non bastavano".
"Eravamo poveri - aggiungerà a 'La Gazzetta dello Sport' -, avevo solo una maglia e ogni volta mamma la doveva lavare".
"A tavola - ricorderà - il cibo era quasi sempre lo stesso: una bella scodella di 'feijaos e arroz', ovvero riso e fagioli".
"Odiavo la scuola - sottolineerà al 'Corriere della Sera' -. E comunque anche quando ci andavo ho sempre un po’ lavorato. Dai sette anni ho sempre lavorato perché così chiedeva mio papà Gioacchino. Lui non voleva che giocassi a pallone. Però devo dire che poi ha cambiato idea".
A stento Altafini arriva a conseguire un diploma di meccanico, concludendo l’Istituto professionale. Con i piedi sa fare decisamente meglio e il suo talento è sotto gli occhi di tutti quelli che lo vedono in azione. La svolta arriva nel 1955.
"A 17 anni Idillio Gianotti, un commerciante di Piracicaba, mi propose di andare a San Paolo a provare per il Palmeiras - rivelerà -. Non lo feci nemmeno finire di parlare: gli dissi sì e il giorno dopo partimmo".
"Il provino fu tutt’altro che entusiasmante - ricorderà José -, forse perché Gianotti aveva parlato tanto bene di me, chi mi vide quel giorno rimase un po' deluso. Ma anch’io avevo le mie buone ragioni: mi avevano schierato mezzala, che non era il mio ruolo. L’affare, a ogni modo, andò in porto e, come primo ingaggio, ebbi due vestiti, uno grigio e uno blu, e due camicie bianche: forse le prime della mia vita".
"Al Clube Atletico Piracicabano andò l'equivalente di 75 mila Lire. Allenatore della squadra ragazzi del Palmeiras era Alfredo Gonzales il quale, dopo avermi visto giocare un paio di volte, mi prese da parte e mi disse: 'Ragazzo, tu non sei una mezzala; tu sei un centravanti. Il tuo mestiere non è giocare per gli altri ma fare goal. Impara e diventerai grande".
L'esordio in Prima squadra nel Palmeiras è folgorante: il 29 gennaio 1956 entra nel secondo tempo di un'amichevole contro il Catanduva e, con una doppietta, stabilisce il record (tuttora imbattuto) del più giovane marcatore della storia del club biancoverde (17 anni, 6 mesi e 5 giorni).
"Entrai in campo con il Palmeiras sotto di 4 goal, e in 20 minuti segnai due reti e colpii due pali... Ho pianto come un bambino, quella partita mi procurò la promozione in Prima squadra. Seguendo i consigli di Gonzales e nel giro di un anno, passai dalla squadra ragazzi alla serie A".
"Al Palmeiras ero terzo centravanti: ero chiuso, quindi. Solo che io non ci stavo, tanto è vero che trasformavo ogni occasione che mi si presentava come l’ultima che avevo a disposizione".
Si capisce subito che Josè è un predestinato: il suo rendimento è sempre molto alto e gli viene anche assegnato un soprannome impegnativo.
"Un allenatore, Claudio Cardoso, vide la fotografia del Grande Torino nella sede del Palmeiras - racconterà José - e mi disse: 'Tu assomigli a Mazzola'. E da allora in Brasile mi chiamarono 'Mazola', con una sola 'z'. Io ho portato il nome di Mazzola con grande orgoglio e rispetto".
La somiglianza fisica con il grande Valentino è del resto notevole: i due hanno in comune il mento quadrato, l'attaccatura dei capelli rossicci e lo sguardo. Altafini non si lascia intimidire dall'accostamento e a suon di reti continua a fare la storia del Verdão.
Nel 1956 e nel 1957 disputa il Campionato Paulista, e totalizza 32 goal in 63 gare, che salgono a 85 in 114 partite se si considerano gli altri tornei e le gare amichevoli o non ufficiali. La media goal di 0,74 è ancora oggi la quarta di sempre nella storia della società di San Paolo.
"Ho giocato pochi anni al Palmeiras - commenterà -, perché nel 1958 sono venuto in Italia. Nonostante questo sono orgoglioso di essere considerato fra i più forti giocatori della loro storia".
"Ogni anno fanno una classifica dei giocatori più forti della loro storia, ed incredibilmente io sono sempre dentro".
Fra le prodezze di 'Mazola', se ne ricordano due in particolare. La prima è la cinquina che rifila al Noroeste (5-0), primato di reti in una singola partita con il Palmeiras che divide ancora oggi con altri calciatori.
José segna anche una doppietta nella celebre sconfitta per 7-6 contro il Santos di Pelé, valida per il Torneo Rio-San Paolo, del 6 marzo 1958.
"Dicono che sia stata la partita più bella di sempre di un campionato brasiliano - afferma Altafini a 'Marga Tv' -. Perdevamo 5-2 nel primo tempo, il nostro portiere uscì in lacrime e non voleva più rientrare. Tornammo in campo, pareggiammo 5-5 e ci portammo in vantaggio. Ma nel finale abbiamo perso 7-6 con una doppietta di Pepe. Fu una partita clamorosa, e purtroppo fra i tifosi 3 persone morirono di infarto".
'MAZOLA', IL BRASILE E I MONDIALI CON PELÉ
Le prestazioni di 'Mazola' non passano inosservate agli occhi del Commissario tecnico del Brasile, Vicente Feola, che lo vuole in gruppo a meno di un anno dai Mondiali. Così il 16 giugno 1957, a 18 anni e 327 giorni, Altafini debutta nella Seleçao in amichevole.
"Esordii in Nazionale col Portogallo, entrano nella ripresa, e segnai il 2° goal, servendo a Del Vecchio il pallone del 3-0. Il giorno dopo i giornali titolarono: 'Altafini una promessa'. Ora, invece, si esagera con gli apprezzamenti e non si ha pazienza verso i giovani calciatori".
Confermato nei 22 per i Mondiali in Svezia, 'Mazola' è il secondo più giovane della spedizione europea dopo Pelé. Parte titolare al centro dell'attacco verdeoro e l'8 giugno 1958 debutta nel torneo con una doppietta all'Austria (vittoria per 3-0). Viene confermato anche nella seconda partita con l'Inghilterra (0-0) ma qui si infortuna e deve stare a riposo. Nel decisivo match con l'Unione Sovietica il Ct. cambia volto alla squadra e lancia dal 1' Garrincha e Pelé con Vavá.
Proprio quest'ultimo firma la doppietta che porta il Brasile alla qualificazione come primo nel girone con 5 punti. Altafini torna in campo il 19 giugno nel quarto di finale contro il Galles (vittoria per 1-0). Nell'occasione giostra in attacco con Garrincha e Pelé. Sarà la sua ultima presenza in assoluto con la Seleçao: Feola gli preferisce Vavá in semifinale e in finale contro la Svezia.
Il 29 giugno 1958, grazie alle prodezze di Pelé in finale (5-2 sulla Svezia), anche Altafini si laurea campione del Mondo senza avere ancora compiuto 20 anni. Dopo quel trionfo, e il trasferimento al Milan in Italia, 'Mazola' non sarà più chiamato nella Nazionale verdeoro, chiudendo con 4 reti in 8 presenze.
"Didì, Vavà, Pelé? Ma c'era anche José - dice ironico a 'La Gazzetta dello Sport' -. A parte gli sherzi, era un bel Brasile e la rima del Quartetto cetra funzionava. Sembrava una squadra da Playstation, non sbagliava quasi mai, fenomenale".
GOAL E GRANDI VITTORIE CON IL MILAN
I Mondiali vinti con il Brasile nel 1958 segnano la svolta nella storia sportiva di José Altafini. Facendo il percorso inverso fatto dai suoi antenati, infatti, il centravanti torna nella terra d'origine, l'Italia, dove si affermerà come bomber prolifico dal tocco raffinato.
"Fui fortunato - spiegherà - perché prima dei Mondiali in Svezia, il Brasile fece una tournée in Italia. Giocammo prima a Firenze, per l'addio di Julinho. E poi con l'Inter a Milano. Io segnai 2 goal a Firenze e un goal in rovesciata a Milano. E lì naturalmente il Milan mi vide giocare e quella rovesciata fu la mia fortuna".
"Costai tanto all'avvocato Rizzoli, 140 milioni di Lire - ricorderà - che all'epoca, il 1958, erano una bella cifra. In questo modo battei il record di Jeppson, che era costato 105 milioni".
Altafini a 18 anni approda dunque in rossonero, dopo essere stato molto vicino alla Roma, che si era però fermata ad un'offerta di 90 milioni di Lire.
"Quando mio zio Marchesoni, che mi faceva da procuratore, mi comunicò che il Milan mi aveva comperato, fissammo la data di partenza attorno al ferragosto - racconterà -, e mi restavano da fare ancora parecchie cose prima di partire. Tra queste sposare la mia ragazza, Eleana D’Addio: il matrimonio fu celebrato nella cattedrale di Praça da Sé".
"Dopo un breve viaggio di nozze, partimmo in aereo con destinazione Milano, dove trovai ad attendermi il ragionier Carlo Montanari, allora General manager del Milan, che non mi ha più perdonato di averlo costretto a restare in città in uno degli agosto più caldi. Arrivai il 18 agosto 1958: avevo vent’anni, tanta voglia di sfondare ma anche, debbo confessarlo, un bel po' di paura perché sapevo di trovarvi il signor Viani, il vero padre e padrone di quel Milan, che mi descrivevano come un orco o giù di lì".
"In Italia - sottolineerà - non ero più Mazzola, mi hanno tolto il soprannome. Ero semplicemente 'Altafini'. Come se Pelé fosse stato chiamato 'Edson Arantes'. Ho dovuto ricominciare tutto da capo, e questo mi angosciò molto".
Se nella prima amichevole, con il Monza, Altafini si sente un po' un pesce fuor d'acqua con la sua nuova squadra, già nella seconda uscita contro il Lugano realizza 4 reti e si sblocca. Pian piano entra negli schemi dei rossoneri di Viani e si rivelerà un giocatore decisivo per la conquista dello Scudetto 1958/59, il 7° della storia del club.
Il nuovo acquisto debutta in Serie A a San Siro il 21 settembre 1958 contro la Triestina, sconfitta 2-0, e firma il primo goal alla 3ª giornata, realizzando la rete di apertuta nella sfida interna con il Bari (4-2 per i rossoneri).
Va subito a segno nel Derby della Madonnina contro l'Inter (1-1 alla 7ª giornata con reti di Altafini e Angelillo) e nel turno successivo a Torino contro la Juventus (doppietta nel pirotecnico successo esterno del Diavolo per 4-5).
Liedholm e Schiaffino sfornano per lui tanti assist, e a fine stagione i suoi goal saranno ben 28 in 32 partite (2° posto nella classifica marcatori dietro Angelillo). Sicuramente niente male per un debuttante, che aggiunge anche 4 goal in 3 gare di Coppa Italia.
Nelle due stagioni successive, il 1959/60 e il 1960/61, che vedono il Milan piazzarsi rispettivamente 3° e 2°, il brasiliano segna altre 42 reti in campionato e il 13 settembre 1959 fa il suo esordio in Coppa dei Campioni con doppietta al Pireo all'Olympiacos (2-2). In quell'edizione i rossoneri vengono tuttavia eliminati agli ottavi di finale dal Barcellona (0-2 a San Siro e 5-1 in Catalogna).
Fra le prodezze di José, spicca senza dubbio il poker rifilato all'Inter nel Derby del marzo 1960 terminato 5-3 per il Milan, mentre l'anno seguente sarà ricordato come quello dell'esordio con i lombardi di Gianni Rivera, che a sua volta svilupperà una bella intesa con il centravanti ex Palmeiras. Nel 1960/61 i suoi 4 goal gli valgono anche il titolo di capocannoniere della Coppa Italia.
Ma la stagione della definitiva consacrazione di Altafini è il 1961/62: José diventa il terminale offensivo ideale per gli schemi del nuovo allenatore Nereo Rocco. Segna 22 reti in 33 gare di Serie A, che gli valgono per la prima volta il titolo di capocannoniere della Serie A in coabitazione con Aurelio Milani della Fiorentina, dando un contributo fondamentale all'8° Scudetto rossonero. Fra i goal memorabile è il poker con cui il 12 novembre 1961 abbatte a San Siro la Juventus nella vittoria per 5-1 dei milanesi.
"Non ho mai letto da altre parti che un calciatore abbia segnato 4 goal contro tre squadre grandi come l'Inter e la Juventus in Italia e il Santos in Brasile - dirà con orgoglio -. Per me fu molto bello. Con l'Inter in particolare, perché erano sempre delle battaglie".
Fra il tecnico triestino e Altafini nasce un rapporto speciale.
"Mi chiamava Jose, con l'accento sulla 'o' - ricorda al 'Guerin Sportivo' -. Mi voleva bene, stravedeva per me, ero il suo attaccante ideal. Rocco era un grande psicologo. Lo spogliatoio lo ha inventato lui. Si appoggiava sugli anziani, Maldini in primis. Amava la disciplina ma su tutto c'era il desiderio di creare la giusta atmosfera di buonumore".
E non mancano gli aneddoti.
"Io scherzavo sempre, in campo no, ma fuori ero incontenibile. - assicura - Lo scherzo più bello a Rocco rimane quello dell'armadio, che poi replicai anni dopo con Liedholm, quando diventò allenatore del Milan. Ora Rocco si spogliava con noi e avevamo tutti il nostro armadio, piuttosto grande. Approfittando del fatto che il Paròn era andato a pranzo, io mi nascosi dentro il suo, tutto nudo. Quando venne ad aprirlo saltai fuori e gli feci prendere un colpo: gli si bloccò la digestione. Invece 'Liddas', glaciale come sempre, mi disse soltanto: 'José, questo non è il tuo armadietto' ".
Di contro, il rapporto con Gipo Viani si contraddistingue da subito come conflittuale. I due caratteri, allegro e pronto alla battuta quello di José, austero e severo quello del Direttore tecnico, si rivelano incompatibili.
Ad Altafini, come spesso accade ai sudamericani, manca un po' il Brasile, e per questo José cerca di colmare quel vuoto frequentando i locali e i night. Questo naturalmente a Viani non sta bene, e la leggenda narra che una sera il tecnico, andato a cercarlo in giro per Milano, lo abbia scovato e lui si sia nascosto dietro ad un divano.
Da quel giorno Viani lo avrebbe chiamato 'Coniglio', ma la circostanza non è mai stata confermata dall'ex attaccante, che invece attribuisce l'appellativo a quanto accaduto nella Coppa Intercontinentale del 1963 contro il Santos di Pelé.
"Vinciamo 4-2 a San Siro, ma là si mette male. Giochiamo in difesa, io sono solo davanti e non la prendo mai, perdiamo 4-2. Nicolò Carosio in diretta dice una stupidata inutile: 'Milan in difesa, Altafini non si vede'. In Italia intervistano Viani che dichiara: 'Abbiamo perso per colpa di quel Coniglio di Altafini'. È dura levarti di dosso certe etichette, se ti sono appicicate da una persona influente".
Sta di fatto che attorno ad Altafini si crea la fama di un attaccante che non ama i contrasti duri.
"Uno che ha paura di prenderle, gioca con i calzettoni abbassati e senza parastinchi? - chiede José - Uno che ha sempre fatto goal da vicino, da dentro l'area, teme lo scontro fisico?".
Social MediaIl 1962/63 vede Altafini protagonista in Europa, dato che il brasiliano diventa l'eroe della prima storica Coppa dei Campioni vinta dal Milan.
"Venni in Italia, vincemmo il campionato e fummo la prima squadra italiana a imporci nella Coppa dei Campioni - affermerà -. In Europa feci un altro record, che ha resistito a lungo, perché in quell'edizione ho segnato 14 goal in 9 partite (battuto da Cristiano Ronaldo nel 2013/14 con 17 goal in 11 gare, ndr)".
"In più - aggiunge - sono fra gli otto giocatori, fra cui Messi, che hanno segnato 5 goal in una partita di Coppa dei Campioni/Champions League".
Soprattutto è proprio Altafini a decidere con una doppietta la finalissima di Wembley contro il forte Benfica il 22 maggio 1963. Il primo tempo vede le Aquile portoghesi avanti 1-0 grazie a un guizzo del fuoriclasse Eusebio, poi i rossoneri sistemano le marcature e chiudono meglio gli spazi.
"Le panchine erano lontane - ricorda Altafini al 'Guerin Sportivo' - e si faceva fatica a comunicare con Rocco. Allora Maldini si prese la responsabilità di modificare l'assetto tattico, Trapattoni andò su Eusebio e Benitez prese Torres. Andò meglio, ci furono vari capovolgimenti di fronte ma all'intervallo eravamo sotto per 1-0".
"Perdevamo 1-0 con i campioni d'Europa. Loro avevano Eusebio e 8/11 della Nazionale portoghese. Negli spogliatoi Rocco striglia tutti, non solo il sottoscritto, perché ha la sensazione che ce la possiamo fare. Nella ripresa Coluña si fa male in un contrasto con Pivatellli, e noi ribaltiamo il risultato con la mia doppietta".
Rocco prende con sé José e lo pungola nell'orgoglio: "Ciò, Iose, el ga razon Gipo, ti sè un conejo", ovvero: "Allora José ha ragione Gipo, sei un Coniglio". E al 58' Altafini pareggia.
"Mi arriva un pallone, mi sembra da Rivera, ero dentro l'area e tirai di prima intenzione: collo destro e palla all'angolino, ma mi vengono i crampi. Ho sempre sofferto i campi morbidi come Wembley, sentivo un dolore pazzesco".
Il centravanti del Milan stringe i denti e al 66' trova le energie per siglare anche il 2-1.
"Raul perde palla a centrocampo, Rivera glielo soffia ma sono lì e lo porto avanti. Volo verso l'area avversaria, e dico a me stesso, rivolto ai difensori: 'Col cavolo che mi prendete'. La stessa frase che pronunciavo da bambino quando rubavo la frutta".
"Tento di aggirare Costa Pereira, spostando il corpo sulla sinistra, ma poi decido di tirare. Il portiere respinge ma la palla schizza di nuovo verso di me. Tocchetto di destro e goal! La gioia fu incredibile. Mi ricordo anche le parole di David, che venne da me e mi disse: 'Se non facevi goal, ti ammazzavo' ".
Al fischio finale il Milan esulta per il primo trofeo continentale conquistato. Non Altafini, che avrà sempre quel rammarico.
"Mi ero fatto male e passai tutta la notte con la borsa del ghiaccio - racconterà -. Lì per lì non mi resi neanche conto di quello che avevo fatto".
La finale di Wembley è sicuramente il momento più alto della carriera di Altafini, che in quell'anno totalizza complessivamente 31 goal in 46 presenze, ma sono solo 11 le reti in campionato in 31 gare (3° posto finale per il Diavolo).
Sfortunatamente per José, Rocco, ormai in aperto contrasto con Viani, lascia la squadra rossonera per andare al Torino. E per l'attaccante di Piracicaba i problemi si moltiplicano. In panchina arriva Luis Carniglia, che sarà poi sostituito con Nils Liedholm, alla presidenza al posto di Rizzoli approda Felice Riva.
La stagione 1963-64 è sostanzialmente l’ultima giocata interamente al Milan: dopo 38 presenze e 19 reti complessivamente messe a segno di cui 14 in campionato in 30 gare, e la beffa subita nella finale della Coppa Intercontinentale, José non la sente di rimanere con il contratto in scadenza, il cui rinnovo è continuamente rinviato dal presidente Felice Riva, e decide così di ritornare in Brasile.
"All'inizio della stagione 1964/65 - spiegherà Altafini - ci furono problemi per il contratto. Era cambiato il presidente, mi fecero delle proposte assurde, con l'ok di Viani. Allora andai in Brasile. Forzai un po' la mano, questo è vero, ma al Milan non volevo più stare. Purtroppo all'epoca noi giocatori non contavamo niente, eravamo proprietà delle società".
Anche senza Altafini, le cose si mettono tuttavia al meglio per i rossoneri, che prendono la vetta del campionato in attesa di sapere cosa decide Altafini dal Brasile. Dopo vari tentennamenti, e contro il parere di Gipo Viani, il Milan si riprende il fuggiasco Altafini: con il ritorno del figliol prodigo lo Scudetto sembra una formalità.
"Arrivai in Italia una domenica mattina e il mercoledì feci un'amichevole con il Lecco. Segnai, ma non ero in forma. In Brasile non mi ero allenato, ero in sovrappeso. Nonostante questo la domenica dopo mi fecero giocare contro il Vicenza. Si perse 1-0 e Viani a chi diede la colpa della sconfitta? A me...".
La giornata seguente, però, Altafini segna con il Torino uno dei goal più belli della sua carriera.
"Mi pare fossimo 1-1 - ricorderà -, e in area il centromediano del Torino, Puia, mi dava le gomitate. Ad un certo punto ho reagito e lui si è buttato per terra. Si creò tanta confusione e l'arbitro Lo Bello con un gruppo di giocatori andò dal guardalinee".
"Alla fine diede il rosso al mio compagno di squadra Benitez che lasciò il campo in lacrime e diceva: 'Non sono stato io...'. Mentre usciva dal campo avvicinò da me: 'Digli che sei stato tu', mi fece. 'No, no, io non dico niente', risposi. E poco dopo segnai in rovesciata...".
Il Milan si impone 1-2 fuoricasa con i granata, ma il successo non basta per sanara i contrasti. Altafine segnerà appena 3 reti in 12 partite e l'epilogo è negativo.
"Alla fine il Milan perse lo Scudetto a favore dell'Inter, e siccome la rimonta dell'Inter era coincisa con il mio ritorno, sappiamo a chi addossarono tutte le responsabilità. Altra grandissima sciocchezza, cui si aggiunge un pensiero amaro: oggi avrei potuto essere ancora davanti a Totti nella classifica dei marcatori all-time della Serie A. In quel campionato 1964/65 persi le prime 20 partite, avrei potuto fare almeno una decina di goal...".
"Viani - aggiungerà - mi fece una guerra pazzesca. Perdevamo e davanti a tutti dava sempre la colpa a me. 'Perdiamo per colpa di quello lì', diceva sempre. Una volta Amarildo replicò: 'Mica gioca solo lui...'. Io ero frastornato dalla situazione e non giocavo più tranquillo. Così chiesi di essere ceduto".
José saluterà i colori rossoneri nell'estate del 1965 dopo sei anni e mezzo e 246 presenze complessive e 161 goal, che lo rendono ancora oggi il 4° cannoniere di sempre della storia del Milan alle spalle di Nordahl, Shevchenko e Rivera.
In Serie A 'Mazola' si ferma a 120 goal in 206 partite (anche in questo caso 4° di sempre del Milan), mentre nelle Coppe Europee è 3° con 32 centri dietro soltanto a Filippo Inzaghi e Andriy Shevchenko.
ORIUNDO CON L'ITALIA
Chiuse precocemente nel 1958 le porte della Nazionale brasiliana, il rendimento elevato di Altafini fa sì che per lui si aprano quelle della Nazionale azzurra.
"In Brasile i giocatori che giocavano all'estero a quei tempi non li chiamavano in Nazionale - spiegherà José -. Tant'è vero che Julinho, che giocava nella Fiorentina ed era l'ala destra più forte, non lo chiamavano, e quando lo incontrammo nel 1958 era molto triste per questo".
"Dopo i Mondiali vinti nel 1958 - racconterà l'attaccante del Milan -, mio zio, che curava i miei interessi, andò dalla Federazione brasiliana per chiedere se sarei stato comunque convocato nel 1962. E i dirigenti gli dissero chiaramente di no".
"In quel momento io ero giovane e rimasi spiazzato. Di sicuro se fossi stato convocato, avrei vinto anch'io tre Mondiali, nel 1962 e nel 1970. Perché avevo soltanto 2 anni in più di Pelé".
Riconosciuto cittadino italiano grazie al passaporto del nonno, Altafini come Sivori, Angelillo e altri discendenti di italiani in Sudamerica, indossa la maglia della Nazionale azzurra negli anni 1961 e 1962. Colleziona in tutto 6 presenze, segnando 5 goal.
Fa il suo esordio il 15 ottobre 1961 a Tel Aviv nella gara di qualificazione a Cile '62 con Israele. Mantenendo fede alla sua fama da bomber, bagna subito il debutto con un goal nel 4-2 degli Azzurri. Con due doppiette propizia quindi i successi sulla Francia (2-1) e sul Belgio (1-3), entrambi in amichevole, prima di tuffarsi sui suoi secondi Mondiali della sua storia con 2 Nazionali diverse.
Ma il torneo in Cile nel 1962 è tutt'altro che esaltante per i colori azzurri. L’Italia, condizionata pesantemente anche dagli arbitraggi, viene eliminata nel girone dal Cile padrone di casa dopo la celebre 'Battaglia di Santiago'. A fare le spese del flop mondiale sono soprattutto gli oriundi, che vengono banditi dalla Nazionale.
Anche Altafini, ad appena 24 anni, dopo essere sceso in campo nei match con Germania Ovest (0-0) e Cile (2-0 per la Roja) vede concludersi anzitempo la sua carriera con le rappresentative Nazionali, dopo averne rappresentate due.
IL NAPOLI: DA IDOLO A CORE N'GRATO
Con la storia fra Altafini e il Milan ormai ai titoli di coda, il bomber di Piracicaba è uno dei pezzi da novanta del calciomercato estivo 1965. L'italo-brasiliano sembra destinato a ripartire da Torino, sponda bianconera.
"Dovevo andare alla Juventus - rivelerà -, in cambio di Bercellino più 150 milioni, ma venne il Napoli che pagò cash e arrivai in azzurro, dove trovai fra gli altri Sivori e in seguito Dino Zoff".
Il patron partenopeo, l'armatore Achille Lauro, deve staccare un assegno da 280 milioni di Lire per assicurarsi le prestazioni dell'ormai ex centravanti del Milan e strapparlo alla concorrenza bianconera. La società del presidente Roberto Fiore è la regina del calciomercato estivo, perché oltre all'italo-brasiliano acquista anche dalla Juventus il geniale argentino Enrique Omar Sivori, Pallone d'Oro del 1961.
"Quando firmai con il Napoli mi presi un bel rischio - dirà José al 'Guerin Sportivo' - perché l'anno prima la squadra era in Serie B. Inizialmente ero un po' preoccupato, ma l'atmosfera cambiò quando mi fecero sapere che avevano acquistato anche Sivori. Mi sentii rinascere e quando lo vidi gli dissi: 'A me non importa di essere il re di Napoli, quello fallo tu. Basta che mi fai segnare tanti goal'. Fra me e lui si creò un'alleanza perfetta".
Al rapporto speciale con Sivori è legata anche la scelta di portare sempre i calzettoni abbassati.
"Una domenica in cui era assente andai in campo con i calzettoni giù - racconta -. Feci un partitone e da allora ho giocato sempre così in suo onore".
La squadra azzurra, guidata in panchina da un altro oriundo, l'italo-argentino Bruno Pesaola, detto 'Il Petisso', e trascinata in campo dai suoi due fuoriclasse, si trova proiettata all'improvviso nelle posizioni di vertice della classifica di Serie A.
I primi 3 anni sono esaltanti per Altafini a livello personale e di squadra. Il debutto è datato 5 settembre 1965, quando i campani piegano 4-2 la SPAL con uno dei quattro goal realizzato dal nuovo acquisto. Nel 1965/66 'Mazola', tornato al top del rendimento, segna 22 goal in 41 partite in gare ufficiali (14 reti in 34 match in campionato), e il Napoli si piazza 3° in Serie A e nel mese di giugno del 1966 vince la Coppa delle Alpi, precedendo nella classifica finale la Juventus.
La seconda stagione in Campania, il 1966/67, lo vede autore di 18 goal totali in 33 gare (16 in 27 presenze in Serie A), con il Napoli 4°. Ma l'annata in assoluto migliore per la squadra azzurra è il 1967/68, con i partenopei al 2° posto alle spalle del Milan campione. Per Altafini sono 17 i goal totali in 34 presenze, 13 in 29 partite considerando il solo campionato.
"Napoli è una città esplosiva. Dalla mattina alla sera si parla di calcio - racconterà José -. Nel nostro tempo, con Sivori, abbiamo portato allo stadio 80 mila spettatori, vale a dire 20 mila in media in più di oggi, e 10 mila in ogni trasferta. La partita domenicale era come una festa nazionale, si fermava tutto e si viveva per il calcio".
Altafini è uno degli idoli della squadra e il 31 dicembre 1967 va a segno, ancora una volta contro il Torino, che evidentemente lo ispira, eseguendo una spettacolare rovesciata.
"Se andavi in centro la gente ti fermava - ricorda - , ma se andavi in periferia bloccavano tutto. Era una festa continua, sono stato benissimo negli anni di Napoli".
Dopo l'addio di Pesaola nell'estate del 1968, e la rivoluzione societaria che porta alla presidenza prima Antonio Corcione, quindi Corrado Ferlaino, qualcosa cambia. Sivori saluta dopo la vittoria sulla Juventus (2-1) il 1° dicembre, e le medie realizzative di Altafini si riducono.
Per il centravanti sono 8 goal totali in 28 partite (5 in 21 presenze in Serie A) nel 1968/69, con la squadra 7ª, poi 11 reti in 26 gare nel 1969/70 (8 in 15 gare in campionato) e un 6° posto finale, 11 goal in 36 gare (7 in 25 partite in Serie A) nel 1970/71, stagione che vede gli azzurri risalire al 3° posto con l'arrivo di Angelo Benedicto Sormani dal Milan.
Intanto il nome del centravanti del Napoli affolla anche le pagine dei settimali scandalistici: viene infatti alla luce del sole la love story fra il centravanti e Annamaria Galli, moglie del suo compagno di squadra in rossonero e in azzurro Paolo Barison.
José già ai tempi del Milan si innamora follemente della donna, per la quale durante la sua permanenza al Napoli lascia la prima moglie Eleana, e Annamaria a sua volta lascia il marito, dal quale aveva avuto tre figli, per vivere assieme al centravanti. La storia desta scandalo nell'Italia bachettona degli Anni Sessanta, nella quale ancora non esiste l'istituto del divorzio.
"Con Barison eravamo compagni di squadra e amici al Milan e poi al Napoli - chiarirà Altafini a 'Il Corriere della Sera' nel 2018 -. Quando è scoccata la scintilla, i nostri matrimoni, che già traballavano all’epoca del Milan, erano praticamente finiti. Io stavo ancora con Eleana, che avevo sposato a 17 anni in Brasile e mi ha dato due figlie. Con Anna ci siamo sposati nel 1973 e siamo ancora insieme. Voglio dire, è stata una cosa seria".
Sul piano sportivo, invece, nell'estate del 1971 sono in tanti a pensare che l'epopea di Altafini sia ormai agli sgoccioli. Così il presidente del Napoli, Ferlaino, propone al centravanti un contratto a gettone. L'italo-brasiliano accetta, a condizione di liberarsi gratuitamente a fine stagione.
Se gli azzurri si piazzano all'8° posto in Serie A, Altafini dimostra di poter essere una punta ancora valida a 33 anni, e chiude ancora in doppia cifra complessiva, con 10 goal stagionali in 36 gare, di cui 8 in 29 partite in Serie A.
Saranno gli ultimi in maglia azzurra: in estate, infatti, l'esperto centravanti cambierà squadra trasferendosi a parametro zero alla Juventus.
"Anni dopo, quando segnai al Napoli con la Juventus, mi diedero del 'Core n'grato' - ricorderà Altafini - . Ma la verità è questa qui. L'ultimo anno al Napoli avevo un contratto a gettone, con la clausola che a fine campionato ero libero".
"A fine campionato mi vennero a cercare 5 squadre: la Fiorentina, la Sampdoria, la Roma e la Juventus, e, dopo che avevo già firmato con i bianconeri, il Milan. Io sono andato via dal Napoli, ma nessuno mi ha trattenuto o mi ha detto: 'Josè, resta qua' ".
L'addio al Napoli, dopo sette stagioni con 97 goal in 234 presenze, di cui 71 in 180 apparizioni in Serie A, è così inevitabilmente amaro.
BOMBER PART-TIME ALLA JUVENTUS
Nell'estate del 1972 Altafini arriva dunque alla Juventus assieme al suo compagno di squadra Dino Zoff.
"Scelsi la Juventus - dirà - perché faceva la Coppa dei Campioni e non la giocavo da 7 anni".
A Torino, nella terza esaltante fase della sua esperienza italiana, José si ritaglia il ruolo di bomber di scorta alle spalle dei titolari Bettega e Anastasi, e nonostante non sia un titolare è protagonista dei due Scudetti vinti dalla Vecchia Signora nel 1972/73 con Cestmyr Vycpalek e nel 1974/75 con Carlo Parola.
Superate le difficoltà iniziali, segna con regolarità sorprendente goal pesanti subentrando dalla panchina: il 3 dicembre 1972 è grazie a lui che la Juve rimonta la Fiorentina e si impone 2-1, il 7 gennaio 1973 sblocca il risultato contro l'Inter nello 0-2 di San Siro.

Ancora, è Altafini il giustiziere della Roma il 21 gennaio 1973 e tiene i bianconeri in corsa per il Tricolore. La Vecchia Signora chiude in crescendo ed è ancora il vecchio José, il 20 maggio 1973, a siglare di testa l'1-1 all'Olimpico con i giallorossi, prima che Cuccureddu realizzi il definitivo 1-2 e formalizzi il sorpasso bianconero al Milan, caduto nella Fatal Verona. È subito Scudetto, con 12 goal in 35 gare, di cui 9 in 23 presenze in campionato.
Nel 1974/75, a 37 anni, José decide la sfida Scudetto con il Napoli.
"A Torino si gioca lo scontro diretto a poche giornate dalla fine del torneo - ricorda -. A due minuti dalla fine, Cuccureddu prende il palo e il pallone arriva a me. Porta a due passi, spalancata. Ricordo che ebbi un attimo di indecisione, tanto che negli spogliatoi Boniperti mi disse che aveva quasi avuto l'impressione che non volessi segnare. In realtà il pallone stava girando su se stesso, e dovevo stare attento a come colpirlo per non buttarlo fuori".
"Zampata, goal del 2-1 per noi e Napoli fuori dalla lotta Scudetto. Ed io, ingiustamente, per i tifosi del Napoli divento l'ingrato. Ma la verità è che avevo fatto soltanto il mio dovere".
"A mia moglie Napoli piace moltissimo - rivela -. Qualche volta dopo quel giorno sono tornato ma non mi hanno mai perdonato. Come Higuain, ma lui è stato ceduto per 90 milioni, mentre io andai via gratis senza che nessuno mi trattenesse".
Il longevo Altafini colleziona anche in quella stagione 13 reti in 35 presenze, con 8 centri in 20 gare di Serie A.
In mezzo ai due Scudetti bianconeri, nel 1973/74 (10 goal in 34 gare totali), la cavalcata europea in Coppa dei Campioni, che lo vede ugualmente protagonista. È l'italo-brasiliano, infatti, con la Juve sotto 2-0 con gli ungheresi dell'Ujpest Dozsa, a riaprire i giochi siglando il 2-1 e dando il là al 2-2 finale che avrebbe qualificato i piemontesi.
Ancora, è sempre Altafini a travolgere con una doppietta nell'andata delle semifinali al Comunale gli inglesi del Derby County (3-1 per la Juventus il risultato). In finale, ad Atene, però, José non riesce a ripetersi: la sconfitta per 1-0 contro l'Ajax di Johan Cruijff resta una delle delusioni maggiori della sua carriera.
L'ultima stagione della sua lunga carriera italiana è il 1975/76. Ormai relegato ai margini della squadra (appena 2 reti in 17 apparizioni, di cui una in 10 partite di Serie A), Altafini a 37 anni dice basta, salvo poi ripensarci.
Chiude la proficua parentesi juventina con un bilancio di 37 goal in 119 presenze, di cui 25 in 74 gare di Serie A.
GLI ULTIMI ANNI FRA CANADA E SVIZZERA
Abbandonata l'Italia nell'estate del 1976, Altafini varca l'oceano e firma con il Toronto Italia. La compagine vince la regular season della National Soccer League canadese ma perde la finale playoff con il Firtst Portuguese.
Altafini ha ancora voglia di scendere in campo e successivamente raggiunge un accordo con gli svizzeri del Chiasso per la stagione 1976/77. La squadra, che milita in Seconda Divisione, non ad ottenere la promozione (che arriverà solo l'anno seguente, senza José, con un 2° posto finale).
Altafini ci rigioca per un breve periodo nel 1979, e stavolta può festeggiare a fine anno la salvezza nel massimo campionato, che arriva anche grazie ai suoi goal. Il bomber italo-brasiliano, ormai sovrappeso, chiude a 43 anni suonati ancora in Svizzera nel Mendrisiostar, compagine della Seconda divisione elvetica, nel 1981/82.
"In Svizzera ho lasciato degli amici - assicura -. Nel 1976/77 feci 14 goal e allo stadio veniva a vederci tanta gente. Il mio rimpianto è non esser riuscito a portare la squadra in Serie A. Però mi sono divertito e dimostrai che non ero venuto a svernare".
E non mancano anche qui gli aneddoti.
"In Svizzera giocavamo il sabato e la domenica venivo a Torino a vedere la Juventus. Un giorno nel mio primo anno a Chiasso, Gianni Agnelli mi disse: 'Perché non hai firmato per un altro anno?'. E io: 'Adesso me lo dice Avvocato?'".
GettyIL MITO: DALLA TV AL CINEMA
Appesi gli scarpini al chiodo, Altafini si dedica con successo alla televisione, caratterizzandosi come grande innovatore con il suo modo unico e inimitabile di guardare il calcio con allegria.
"Lavoravo con una televisione privata a Milano con Luigi Colombo - ricorda José -. E un giorno lui mi fece: 'Senti c'è da fare una partita del torneo Juniores a Montecarlo. Vorresti fare la seconda voce?'. Sono andato e dovetti lavorare con un giornalista di Telemontecarlo che non aveva mai fatto calcio, e che dunque in quell'occasione fece svarioni".
"Colombo mi chiese nuovamente la disponibilità per un'altra partita (la finale di Football League Cup 1981, Liverpool-West Ham, ndr), al che gli feci: 'Guarda, vado solo se vieni tu'. E così sono nate le due voci in telecronaca. Ho imparato tanto dal compianto Beppe Viola, ho appreso molto da lui e dai telecronisti brasiliani, che raccontano con allegria. In Italia non erano abituati. Quando gridai "golasso!" la prima volta, un tifoso chiamò in rete dicendo che non dovevo dire parolacce...".
Altafini lavora così come seconda voce e conduce rubriche per Telemontecarlo, Tele +, Sky, Rai Sport e Gazzetta Tv, diventando un volto familiare per tanti tifosi e appassionati. Accanto al suo amico Pierluigi Pardo ha anche prestato la sua voce alla serie di videogiochi PES, nelle edizioni dal 2009 al 2011, e il suo commento con le proverbiali frasi ha riscosso successo presso il pubblico dei videogiocatori.
"Ho inventato il golasso e il manuale del calcio", ricorderà.
Con Pardo ha anche pubblicato nel 2009 il libro 'Incredibile amici!', mentre la sua voce è nota anche dagli amanti dei cartoni animati: nel 2011 ha interpretato infatti la voce del bulldog Luiz nel film di animazione 'Rio', doppiato anche nel sequel 'Rio 2 - Missione Amazzonia'. Per quest'ultima interpretazione Altafini si è aggiudicato persino il 'Leggio d'oro' come 'voce rivelazione cartoon' ".
Il suo personaggio compare anche nel film 'Pelé', uscito nel 2016, ma le vicende d'infanzia in esso narrate sono di fantasia.
"Io e Pelé - svela a 'La Gazzetta dello Sport' - ci siamo conosciuti quando lui aveva 17 anni, io 19, e partimmo per la Svezia. Sua madre ci disse: 'Comportatevi bene, siete i più piccoli!'. L’unica cosa positiva (sorride, perché José è fatto così, ndr) è che l’attore che mi interpreta è un messicano molto bello".
Poi la decisione di farsi da parte quando in tv vorrebbero metterlo in panchina. José, il bomber che i brasiliani chiamavano 'Mazola' e che nel 1963 fece vincere al Milan la sua prima Coppa dei Campioni, oggivive ad Alessandria con la sua seconda moglie Annamaria.
"Io non ho la pensione da calciatore, non sono riuscito a farla - spiega al 'Corriere della Sera' nel 2018 -. Ho versato solo tre anni di contributi. Quando ero andato a chiedere il riscatto mi avevano chiesto 70 milioni di lire di arretrati e ho detto: 'Ciao amici...' Quando giocavo lo stipendio più alto lo prendevo alla Juventus. L’ultimo anno percepivo 67 milioni di lire lorde, 42 per cento di tasse, una casa ne costava 100. In Brasile al Palmeiras erano 400 cruzeiros al mese, circa 100 euro... Quando arrivai al Milan, mio zio Angelo e io abbiamo commesso un errore grandissimo: contratto in cruzeiros brasiliani. Una moneta che in quegli anni si è svalutata tantissimo".
L'ex centravanti attualmente percepisce soltanto un assegno sociale da 700 euro al mese e per questo continua a lavorare.
"Faccio il testimonial per l'Italgreen, azienda che vende campi in erba sintetica. L'erba sintetica è il futuro, altro che il fango dove giocavo io. Devo lavorare, bisogna sempre lavorare a questo mondo, chi si ferma è perduto".
Pochi gli amici rimasti nel mondo del pallone:
"Avevo un rapporto speciale con Morini: eravamo amici, uscivamo insieme e andavamo in vacanza insieme. Parlo con Sormani, e ho potuto parlare con Anastasi prima che mancasse".
Ripensando ai tempi in cui giocava, José assicura:
"Non eravamo noi più lenti, ma il gioco di allora era più lento. Il problema del calcio di oggi è che ci sono giocatori guadagnano troppo e i procuratori. Bisognerebbe regolarizzare queste due cose".
"Nel calcio italiano - sostiene - potevo fare molto di più, se fossi stato più maturo e meno bambino quando arrivai. Ma resta il neo del nome che mi tolsero, non fu semplice".
Nonostante tutto, José non ha mai perso il suo sorriso, divenuto quasi proverbiale.
"Ridere è un'eredità di mia mamma - rivela -, che scherzava sempre. Grazie a lei ho questo carattere. Devo lavorare per vivere ma sono contento. Ho un angelo custode, uno spirito guida che mi protegge e mi sveglia tutte le mattine. Sono cattolico ma credo anche nello spiritismo. In Brasile c’è questo sincretismo. Credo nello spirito guida e nei medium".
Da cui il suo ultimo desiderio:
"Quando non ci sarò più - dice al 'Corriere della Sera' - voglio le ceneri sul Po, così arriveranno in Polesine e io tornerò da dove sono venuto, alle mie radici".
