Il 30 aprile scorso il BorussiaDortmund ha festeggiato con una video-call su Zoom l’anniversario del titolo del 2011. Fu un trionfo speciale, perché interrompeva un digiuno di 9 anni. E anche perché fu il primo trofeo conquistato da Jürgen Klopp, quando ancora i gialloneri erano considerati poco più che degli outsider, soprattutto se messi vicino al Bayern Monaco di van Gaal prima e di Heynckes poi.
Eppure quel pomeriggio del 30 aprile 2011, dopo la vittoria contro il Norimberga che aveva portato il Meisterschale al Westfalenstadion, in pochi credevano che un anno dopo il BVB avrebbe bissato il trionfo in Bundesliga e che a distanza di 24 mesi avrebbe sfiorato la vittoria della Champions League. Nemmeno lo stesso Klopp, da sempre ambizioso e altrettanto realista. Tanto che a margine di quella video-call a cui ha preso parte insieme ai giocatori della squadra del titolo del 2011, il tecnico ha affermato di percepire il suo gruppo come fosse una squadra delle giovanili.
“Li sentivo come se fossero una squadra di Under-19, portarli al titolo è stato fantastico”.
Gran parte di quella squadra, in effetti, era composta da giocatori sotto i 23 anni: Hummels, Subotic, Bender, Schmelzer, Großkreutz, Sahin, Kagawa, Götze, Lewandowski. La terza rosa più giovane della Bundesliga 2010/11 dopo Hoffenheim e Norimberga. Che era riuscita in un exploit. L’impresa più grande, però, fu dare seguito a quell’exploit. Perché ben presto il Dortmund si trovò a vivere un ciclo di vittorie e successi destinato a rimanere nella storia. Anche se, probabilmente, troppo breve. Soprattutto per quanto quel Borussia abbia dato al calcio tedesco e per come sia ricordato da tutti gli appassionati. Perché, di fatto, il BVB della stagione 2012/13 era la versione probabilmente più forte dell’era Klopp, iniziata nel 2008 e conclusa nel 2015. Veniva da un double in patria. Serviva solo la consacrazione europea. Ma ha avuto la ‘sfortuna’ di trovarsi di fronte un Bayern ingiocabile che conquistò ogni trofeo possibile da agosto a maggio.
Getty ImagesNel suo percorso verso la finale di Wembley, il Dortmund si era sbarazzato del City, dell’Ajax e del Real Madrid nella fase a gironi, senza mai perdere. Poi la vittoria agevole con lo Shakhtar, il miracolo firmato FelipeSantana contro il Málaga,il poker di Lewandowski in semifinale al RealMadrid. Per concludere la scalata dell’Everest, riciclando la metafora di Klopp, bastava solo battere il Bayern Monaco nella prima finalissima tutta tedesca di sempre in Champions League. “Solo”. In effetti il BVB nei sei incontri precedenti di Bundesliga non aveva mai perso contro il Bayern (ma le ultime due partite da dentro o fuori erano state dei bavaresi). Un dato ricordato anche da Robert Lewandowski proprio nei giorni precedenti la finale, quando i gialloneri erano visti come gli outsider.
“Negli scontri diretti in Bundesliga non ci hanno mai battuto negli ultimi tre anni. Tutta questa differenza tra noi e loro non riesco a vederla”.
In effetti la differenza nei 90 minuti fu poca a livello di gioco. Nonostante il Dortmund avesse dovuto giocare la finale senza MarioGötze. Più che un semplice forfait, un vero e proprio caso: il 23 aprile 2013 Bayern e Borussia ufficializzarono il trasferimento del classe 1992 a Monaco. Una settimana dopo, l’allora numero 10 del BVB giocò la sua ultima partita in giallonero, prima di guardare il finale (e la finale) dalla tribuna per dei problemi al bicipite femorale rimediati nella semifinale di ritorno contro il Real Madrid. Era tornato ad allenarsi a quattro giorni dal match, ma la sua sessione durò non più di 10 minuti. Out per la finale, contro il Bayern. Ovvero, contro il suo futuro. Apriti cielo. Durante i 90 minuti di Wembley, nonostante sieda in tribuna, sarà il volto maggiormente cercato dalle telecamere. Un anno dopo lo raggiungerà Lewandowski, a parametro zero, dopo un’estate di speculazioni a seguito della finale persa.
GettyPiszczek e Hummels, invece, rientrarono in tempo dai rispettivi infortuni e riuscirono a giocare nonostante non fossero al 100%. Difesa completata da Subotic e Schmelzer, una linea che per Klopp è stata sostanzialmente un’istituzione davanti a Weidenfeller. Bender e Gündogan a comporre il duo mediano, Blaszczykowski a destra e Großkreutz a sinistra al posto di Götze, con Reus trequartista dietro a Lewandowski. Qualcosa di simile a una macchina perfetta nella mente di Klopp, in grado di funzionare anche senza il numero 10.
Infatti, In campo fu spettacolo per tutto il match: una partita intensa con tante occasioni, decisa soltanto da tre goal nell’ultima mezz’ora: prima Mandzukic, poi Gündogan, infine il marchio indelebile di ArjenRobben, ‘Mr. Wembley’ come ancora oggi viene chiamato a Monaco. Lui che un anno prima aveva sbagliato il rigore in finale con il Chelsea e in Bundesliga contro il Dortmund nel Klassiker decisivo. Redenzione.
La coppa va in Baviera, il Dortmund torna con l’amaro in bocca e con il rimpianto per la presunta mancata espulsione di Dante a seguito del fallo da rigore su Reus per il goal dell’1-1. Klopp l’ha presa con filosofia.
“Posso solo dire che è stato fantastico. Londra è la città dei Giochi Olimpici. Il tempo era ottimo, tutto andava bene. Solo il risultato fa schifo”.

Sarà l’ultima cavalcata per il suo BVB, che l’anno dopo in Champions non andrà oltre i quarti di finale, eliminato dallo stesso Real Madrid della Decima, che qualche mese prima era stato ammutolito da Lewandowski. Mentre in Germania Guardiola cannibalizza ogni competizione lasciando agli avversari solo le briciole (ovvero, la Supercoppa). L’anno successivo, l’eliminazione per mano della Juventus. E una promessa, fatta proprio dopo la sconfitta a Wembley, che si infrange.
“Ho detto ai giocatori che torneremo in finale, tra due anni a Berlino sarà un’occasione buona per esserci”.
Quella finale il BVB non la giocherà mai: all’Olympiastadion ci andranno Juventus e Barcellona, mentre Klopp saluterà il Borussia Dortmund dopo 7 anni vissuti come in un sogno. Un addio con un misero settimo posto in Bundesliga dopo aver lottato anche per non retrocedere, uscendo proprio contro i bianconeri agli ottavi di Champions e perdendo anche la DFB-Pokal contro il Wolfsburg. Con due Meisterschale, due DFB-Pokal e due Supercoppe. Senza Champions League, ma, in ogni caso, con un posto nel cuore di ogni tifoso giallonero.




