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Domenico Marocchino: la Juventus, le multe salate e i vizi, "Fumavo come una vaporiera"

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"Tutta la mia vita è stata un percorso al contrario. Per esempio quando giocavo fumavo come una vaporiera, quando ho smesso ho dimenticato le sigarette" - Domenico Marocchino

Aveva talento da vendere, corsa, dribbling e un bel piede, caratteristiche che lo rendevano un ala destra sgusciante e imprevedibile, in grado di ricoprire anche gli altri ruoli dell'attacco. Domenico Marocchino è stato uno dei talenti più fulgidi prodotti dal calcio italiano a cavallo fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, ma a causa dei tanti vizi, su tutti il fumo e le belle donne, oltre al gusto per la bella vita, peraltro da lui mai nascosti, la sua parabola sarà luminosa ma breve.

Cresciuto nel Settore giovanile della Juventus, dopo aver superato un provino, scalate velocemente le serie fino ad essere richiamato alla casa madre, vincerà con la Vecchia Signora 2 Scudetti e una Coppa Italia, e si toglierà la soddisfazione di esordire in Nazionale maggiore.

Ma una volta ceduto dal club bianconero, faticherà a ritrovare lo stesso livello di rendimento. Indossa anche le maglie di Sampdoria e Bologna, oltre a quella della Junior Casale, indossata anche ad inizio carriera assieme a quelle di Atalanta e Cremonese. Ritiratosi a 35 anni dopo aver giocato gli ultimi 4 in Interregionale nella Valenzana, oggi è diventato un apprezzato opinionista televisivo e radiofonico.

  • Il PROVINO CON LA JUVENTUS E I PRIMI ANNI DA PROFESSIONISTA

    Nato a Tronzano Vercellese il 5 maggio 1957, Domenico Marocchino cresce in una piccola cascina senza riscaldamento in cui dorme in una camera con i suoi nonni.

    "Sono diventato calciatore per dono - dirà in una videointervista con 'TelenovaMSP' nel 2022 - , chiunque ha delle propensioni date da madre natura. Io avevo la propensione di correre dietro ad un pallone. Da bambino però non pensavo a diventare un calciatore, volevo essere bravo a scuola. Mi piacevano tutte le materie letterarie, l'Italiano e tantissimo la Storia".
    "La prima volta che ho toccato il pallone è stato all'oratorio a 7-8 anni. Mi piaceva Beckenbauer, fra i calciatori italiani Gianni Rivera. Ascoltavo Tina Turner e Bruce Springsteen, degli italiani i grandi cantautori, Dalla, De Gregori e Venditti".
    "A 11 anni mi hanno messo in collegio dai Salesiani e poi dai Fratelli delle Scuole cristiane. Non ti facevano vedere la televisione per cui ho potuto approfondire la lettura e ho potuto leggere Sandokan di Salgari. In tutto sono stato in collegio 5 anni".

    La vita di Domenico Marocchino, che fino ad allora giocava nelle Giovanili della squadra locale del Tronzano, cambia all'età di 14 anni, quando il giovane piemontese sostiene un provino con la Juventus. Il test va bene e Italo Allodi, all'epoca general manager bianconero, lo chiama in sede per firmare il cartellino.

    Inizia così la favola calcistica di Domenico, che in bianconero si toglierà grandi soddisfazioni.

    "La mia prima maglia bianconera era di lana, a mezze maniche e con il numero otto: bellissima", ricorderà.

    Marocchino fa tutta la trafila nel Settore giovanile, rivelando il suo grande talento.

    "Ai miei tempi, la Juventus era già un'azienda. Per dirti cos’era, e cos’è, la Juve: a 17 anni vincemmo il campionato Juniores, e nell’euforia dei festeggiamenti qualcuno si portò a casa una maglia, cosa vietatissima. Otto anni dopo, quando ero già in Prima squadra, un vecchio dirigente delle giovanili mi incontrò in sede e mi disse: "Dì la verità, sei stato tu quella volta, vero?".

    Al momento di approdare in Prima squadra, però, Domenico è mandato a farsi le ossa. Gioca così prima con la Junior Casale in Serie C, facendo subito il titolare nel 1976/77 e realizzando 2 goal in 35 presenze.

    L'anno seguente eccolo in Serie B con la Cremonese: nuova stagione da titolare, nonostante la categoria più alta, e altri 2 goal in 34 partite di campionato più altre 4 apparizioni in Coppa Italia.

    Marocchino è pronto per la Serie A, che arriva nel 1978/79, quando l'ala destra passa all'Atalanta, con cui sotto la gestione di Battista Rota debutta nel massimo campionato il 17 dicembre 1978 (Atalanta-Fiorentina 0-0) all'età di 21 anni.

    In tutto colleziona 18 presenze e segna il primo goal nel massimo campionato il 21 gennaio 1979 portando provvisoriamente in vantaggio i suoi contro il Lanerossi Vicenza, che successivamente pareggerà con Paolo Rossi (1-1). A fine stagione la Dea chiude penultima al 15° posto e retrocede in Serie B, non così Marocchino, pronto ormai a far ritorno alla casa madre.

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  • IL RITORNO IN BIANCONERO, I GRANDI SUCCESSI E LA NAZIONALE

    Nel 1979 i dirigenti della Juventus richiamano a Torino Marocchino con la volontà di farlo diventare prima o poi il vice Causio e quindi arrivare a rilevare il campione leccese. Con una precauzione: assieme a lui tengono in rosa anche Pierino Fanna. Ad entrambi viene dato spazio, ma nessuno dei due, alla fine, si rivelerà all'altezza del vecchio Barone.

    Alto un metro e 86 centimetri per 80 chilogrammi di peso forma, pian piano Domenico riesce comunque a mettere in evidenza quelle che sono le sue qualità. L'esordio assoluto arriva in Coppa delle Coppe, il 19 settembre 1979 contro gli ungheresi del Raba Vasas Eto sconfitti 2-0 a Torino. Marocchino rileva tavola dopo 10 minuti del secondo tempo.

    In campionato bisogna invece attendere il 7 ottobre, giorno in cui Marocchino con la maglia numero 7 sulle spalle, parte titolare a San Siro contro il Milan, che si impone con il punteggio di 2-1. È solo l'inizio di un'avventura lunga quattro anni che lo porterà a vincere 2 Scudetti e una Coppa Italia con la Vecchia Signora e ad affermarsi come uno dei giocatori più talentuosi del panorama nazionale in quegli anni.

    La prima stagione è interlocutoria per l'ala vercellese, che va a segno 2 volte in 23 presenze in campionato punendo la Roma a dicembre (vittoria per 2-0) e l'Udinese a febbraio con un inserimento centrale di potenza da metà campo e un'azione conclusa aggirando il portiere avversario e depositando il pallone in fondo alla rete (successo esterno per 1-3), e aggiunge 3 presenze in Coppa Italia e 6 in Coppa delle Coppe.

    L'Inter di Bersellini a vincere lo Scudetto, mentre i bianconeri che devono accontentarsi del 2° posto e sono eliminati in semifinale sia in Europa, sia in Coppa Italia. I due anni successivi, tuttavia, saranno anche i migliori della carriera calcistica di Marocchino e molto positivi per la Juventus.

    Nel 1980/81 i bianconeri vincono il loro 19° Scudetto precedendo di 2 punti la Roma di Liedholm, non senza polemiche per il celebre goal annullato a Turone. Marocchino è fra i protagonisti, visto che colleziona ben 5 goal in 24 presenze in quella che sul piano delle cifre è la sua miglior annata in carriera.

    Trapattoni lo schiera da ala destra, ala sinistra, mezzapunta e persino seconda punta, ottenendo sempre un elevato rendimento. Quando il vercellese va a segno la Juventus vince: succede all'andata e al ritorno con l'Udinese (successi per 4-0 e 0-2) e al Comunale con il Brescia (2-0), il Perugia (2-1) e il Catanzaro (3-0). Alle prestazioni in campionato si aggiungono 6 partite in Coppa Italia.

    "Il primo Scudetto lo abbiamo vinto al Comunale all’ultima giornata contro la Fiorentina - ricorderà in un'intervista del 2010 al 'Guerin Sportivo' -. Segnò Cabrini con un sinistro volante, ma il merito fu mio che gli feci un assist perfetto. Fu un’azione caparbia, la palla sembrava persa. La recuperai, la difesi e poi crossai al centro dell’area. Ma la cosa più bella la feci a fine partita".
    "Fatta la doccia, me ne andai da solo nello spogliatoio del mio primo provino e mi fumai una fantastica Marlboro, con la mente leggera nel ricordo di quel giorno di dieci anni prima".
    "All'inizio - prosegue Marocchino nel suo racconto - non andavamo bene. Brady ancora non si era integrato. La squadra era un po' leggerina in avanti e Trapattoni pensò a me. Ma non solo per una questione di peso e centimetri. Gli facevo comodo tatticamente. Nel senso che io ero in grado di fare tutti e tre i ruoli dell’attacco. Anche la punta centrale, perché ero capace di difendere il pallone".
    "E poi c’è un’altra cosa: andavo a pressare. Mi venne così, d’istinto, fu una mia iniziativa. Ricordo che il Trap, tempo dopo, disse: 'Il pressing lo abbiamo fatto per la prima volta con Marocchino'. In quell'anno del primo Scudetto, quando iniziò a farmi giocare titolare, ebbi l'illuminazione: andavo a dormire un’oretta nel pomeriggio e iniziai a scalare le sigarette".

    Alla fine le prestazioni di grido consentono a Marocchino di relegare in panchina un campione come il vecchio 'Barone' Franco Causio.

    "Causio era un’istituzione e un professionista esemplare - dirà Marocchino al 'GS' -. Con me si comportò molto bene. Certo, l’aver perso il posto lo stizzì parecchio. Ma già l’anno prima avevo fatto diverse partite. Spesso giocavo a sinistra, con lo stesso Causio. C’era anche Fanna, uno che batteva i corner allo stesso modo, sia di destro che di sinistro, bravissimo ragazzo, oltretutto".

    Per Marocco, cui vengono dati tre soprannomi, il 1981/82 sarà l'anno della consacrazione, che segnerà anche l'apice della sua carriera a soli 25 anni.

    "Mi chiamavano "Mecu", ovvero "Domenico"in piemontese, poi "Marocco" e "Pennellone", il soprannome che mi aveva dato Brera e non mi dispiaceva affatto", ricorderà nell'intervista con 'TelenovaMS' del 2022.

    Marocchino gioca da titolare con grande regolarità e totalizza 29 presenze e un goal in Serie A (ancora all'Udinese, sua vittima preferita, nella goleada per 1-5 della terzultima giornata), 4 presenze e una rete in Coppa Italia (a Cava de' Tirreni nel girone iniziale contro la Cavese) e 4 presenze e un goal nel suo primo anno in Coppa dei Campioni (nella sconfitta per 3-1 in Belgio contro l'Anderlecht, andata degli ottavi di finale).

    "Nel campionato 1981/82 ho segnato meno - dirà - solo un goal, ma ho giocato con più continuità. È stato il mio campionato perfetto. Non mi era mai successo prima di avere così tanta consapevolezza nei miei mezzi e la piena fiducia dell’ambiente".

    Il 1982/83 sarà tuttavia il quarto e ultimo anno per Marocchino con la Juventus da professionista. L'ala piemontese aggiunge una Coppa Italia al suo palmarès, vinta il 22 giugno 1983 dopo aver superato per 3-0 ai supplementari, nella finale di ritorno, giocata interamente da Domenico, i rivali del Verona di Bagnoli, vittoriosi 2-0 al Bentegodi.

    "Marocco" partecipa a quella cavalcata con 9 presenze e un goal al Cibali contro il Catania, cui si aggiungono 22 presenze e una rete nell'ultima giornata di campionato (4-2 sul Genoa per Madama), e 9 apparizioni, inclusa la finale di Atene, nell'amara Coppa dei Campioni persa 1-0 con l'Amburgo.

    Sicuramente la delusione calcistica più cocente per Marocchino, entrato in campo al 56', a risultato già sfavorevole, al posto di Paolo Rossi.

    "Perdemmo perché giocai soltanto mezzora (ride). Un po’ mi dispiace, perché credevo di partire titolare. A ogni modo i motivi veri sono tre - sosterrà -. Primo: ci ha danneggiato il fatto di essere arrivati alla finale imbattuti. Non eravamo abituati alla sconfitta. Secondo: passarono troppi giorni tra l’ultima di campionato e la finale, ci ammosciammo. Terzo: facemmo una partita blanda, mentre quella era una gara da prendere a morsi. Ci voleva uno rabbioso, uno come Furino, che peraltro rimase fuori".

    Per colui che era stato una pedina fondamentale dei successi bianconeri in quegli anni, proprio la finale di Atene segna il cambio di orizzonte della società, che a causa dei tanti vizi decide alla fine di privarsene.

    "Succede che sul volo di ritorno mi capita una copia di un giornale. In prima pagina c’erano delle foto, tra cui la mia, con una croce sopra. Come dire: questi saranno ceduti. Vado dal dottor Giuliano. 'Sono tutte illazioni', fa lui. Bugia: mi avevano già venduto... Fu l'unica volta in cui mi arrabbiai un po' con la società".

    Il suo congedo dalla Juventus è così proprio la finale di ritorno della Coppa Italia vinta sul Verona.

    "Era diventata l’unico traguardo rimasto. Mi feci male, un risentimento muscolare. Boniperti mi lasciò andare in vacanza in anticipo. Me ne stavo bello per i fatti miei, quando arrivò una telefonata dalla sede. 'Torna che devi giocare la finale'. Pensai che fossero tutti impazziti. Ero fermo, malandato, non stavo in piedi e dovevo giocare? Oltretutto, dopo che all’andata il Verona aveva vinto 2-0".
    "Boniperti mi disse di non preoccuparmi: 'Ti marcherà Marangon, lo conosci. Lui ti viene addosso, tu lo scansi con un braccio e parti'. Feci una scommessa con il presidente. Il doppio del prezzo in caso di vittoria. L’accordo era che avrei giocato il primo tempo. Per cui, nell’intervallo, io mi metto una sigaretta in bocca e inizio a spogliarmi. Arriva Trapattoni e mi tratta malissimo: 'Devi tornare in campo'. 'Non ci penso nemmeno', dico io. Mi convinse Cabrini. E vincemmo la Coppa...".

    La gara del Comunale è l'ultima di 137 presenze e 12 goal (9 in Serie A, 2 in Coppa Italia e uno in Coppa dei Campioni) con l'amata maglia bianconera sulle spalle. Con il trasferimento alla Sampdoria del presidente Mantovani inizierà infatti per Domenico un rapido e imprevedibile declino.

    Gli anni d'oro alla Juventus gli erano valsi anche la chiamata in azzurro da parte del Ct. Enzo Bearzot. Il 5 dicembre 1981 Marocchino disputa a Napoli la gara di qualificazione ai Mondiali '82 vinta 1-0 sul Lussemburgo. Suo l'assist in avvio di gara per il colpo di testa vincente di Pruzzo.

    Ma il ragazzo non sarà confermato nei successivi impegni e perderà definitivamente il treno della Nazionale maggiore.

    "L'unica volta in Nazionale mi sentivo soffocare - rivelerà -. Chiamavo gli amici a Torino e chiedevo: 'Ma secondo voi posso scappare?'...".

    La partita del San Paolo resterà così per lui anche l'unica giocata con la Nazionale.

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  • I TANTI VIZI: FUMO, DONNE, RITARDI E MULTE SALATE

    A far propendere la società bianconera per la cessione di Marocchino nel 1983 sono i tanti vizi della talentuosa ala, che riusciva puntualmente a far andare su tutte le furie l'allenatore Giovanni Trapattoni e il presidente Giampiero Boniperti, che su di lui attuava 'una marcatura a uomo' fuori dal campo.

    Domenico, uomo schietto e senza peli sulla lingua, non ha mai nascosto le sue debolezze. Il fumo, innanzi tutto. Un brutto compagno per chi di mestiere deve correre più veloce degli altri e per il quale Boniperti, secondo quanto scrisse Gianni Mura su 'La Repubblica', avrebbe voluto inserire nel suo contratto una clausola: non più di 20 sigarette al giorno.

    "Quando giocavo fumavo sempre - ammetterà Marocchino al 'Guerin Sportivo' -. Potevano essere tre sigarette al giorno come quindici. Il Trap era una bestia. Zoff una volta mi disse: 'Moderati'...".
    "Fumavo nello spogliatoio e pure in pullman: mi mettevo nel sedile lungo in fondo – tanto per gerarchia i senatori stavano davanti, a giocare a carte – mi stendevo e soffiavo il fumo in una bottiglietta di plastica".

    Un'altra sua debolezza erano le belle donne, tanto da costruirsi la fama di "grande tombeur de femmes".

    "Ero giovane, mica potevo pensare solo al pallone. Cercavo di divertirmi, ma l’ho passata liscia poche volte. Boniperti mi conosceva benissimo, da quando ero un ragazzino. Appena tornai, mi fece pedinare - racconterà -. Lui aveva una cerchia di persone, per lo più militari in pensione, che pagava per controllare i giocatori, soprattutto di notte. Ma questa cosa l’ho scoperta un po' di tempo dopo".
    "Una domenica, prima di una partita con il Napoli, chiesi a De Maria (il massaggiatore, ndc) dei laccetti per tener su i calzettoni. Lì vicino c’erano anche Boniperti e Giuliano. De Maria mi dà i laccetti e poi mi dice: 'Vai a scaldarti'. E Boniperti: 'Ma lui si scalda con le more'. Io spalanco gli occhi e gli dico: 'Ma la mia fidanzata è bionda!'. Diavolo di un presidente, mi aveva beccato...".
    "Racconto questa: dopo la fine del campionato 1980-81, c’era ancora la Coppa Italia da giocare. Feci un esperimento: fare l’amore tutti i giorni. All’ultima partita, dopo settanta minuti, stramazzai al suolo dalla fatica...".

    Celebre è poi l'accoglienza ricevuta in Polonia nel ritorno della gara di Coppa dei Campioni 1982/83 con il Widzew Lodz da uno stuolo di giovani ragazze polacche. Secondo quanto riporta anche Gianni Mura, queste ultime esposero uno striscione con scritta in italiano: "Marocchino, vieni a ballare con noi in discoteca".

    Un'altra volta Domenico viene sorpreso a girare in piena notte per le vie di Torino.

    "Mi videro in giro che erano le tre - ricorderà -. Io dissi che era colpa del presidente. Era lui che voleva che i giocatori respirassero aria buona. Ed io lo avevo preso alla lettera. E giù multe...".

    Non mancavano gli scherzi, e conosciuta da tutti era anche la sua pigrizia, che spesso lo portava ad arrivare in ritardo agli appuntamenti.

    "Facevo arrabbiare il Trap dal primo giorno di ritiro all’ultimo - racconterà al 'Guerin Sportivo' -. Arrivavo a Villar Perosa per la preparazione in condizioni disperate. Per le vacanze ci lasciava un biglietto con il lavoro da fare. Non ho mai fatto niente. La prima settimana non parlavo con nessuno, soffrivo in silenzio, non avevo la forza di fare nulla".
    "Tranne che per i gavettoni, per quelli la forza c’era sempre. Peccato che una volta presi proprio la moglie del Trap. Eravamo a Villar Perosa, erano tutti acchittati, credo ci fosse una cena dall’Avvocato. Come nel calcio non devi guardare solo la palla, se fai un gavettone devi guardare gli spigoli della finestra: calcolai male l'angolo del braccio e le feci la doccia. Quell’acqua poteva arrivare solo dalla mia stanza, per fortuna per salire fin su c’erano molte scale e feci in tempo ad asciugarmi le mani, la prima cosa che mi toccò il Trap quando entrò in camera, trovandomi a letto: facevo finta di dormire…".

    Ma il suo rapporto con Trapattoni era di odio e amore.

    "Il Mister per me aveva un debole. La sera prima della partita saliva in camera, mostrava una pallina da tennis e diceva: 'La vedi questa cosa qui? Va presa al volo'. La faceva rimbalzare e la riprendeva subito. E poi, prima di uscire, minaccioso: 'E quella cosa là, invece, morde...' Trapattoni è un grande, lo dico davvero. Un maestro, soprattutto di tecnica. Era più allenato lui di tanti di noi. Credeva in quel che faceva".
    "La Juve dei miei due Scudetti gli somiglia molto. C’è una partita che secondo me è l’emblema della forza e della capacità di non arrendersi di quella squadra: Juventus-Perugia del 1981. A dieci minuti dalla fine stavamo perdendo 1-0. Alla fine si vinse per 2-1, il goal decisivo lo feci io di stinco, all’89’...".

    Il tutto nonostante le numerose multe che gli venivano comminate dalla società.

    "Ne ho pagate tante - ammetterà - al punto che già nel contratto lo scrivevamo e mettevano la cifra, tanto era un evento sicuro. La più salata è stata la volta che non mi sono svegliato ed ho dovuto inseguire il pullman della squadra...".
    "Dovevamo andare a Verona a giocare - racconterà -. Appuntamento come al solito al Comunale. Succede che non mi suona la sveglia. Trapattoni non mi vede arrivare, smadonna, si incazza. È tardi, allora dice all’autista di passare da casa mia".
    "Di preciso, non sapevano dove abitavo. Mai dare indizi al nemico. Ma conoscevano il quartiere. Immaginate la scena: il pullman della Juve che ciondola per Torino per recuperare un giocatore. Ma io stavo dormendo, quindi la comitiva prende l’autostrada per Verona".
    "Io intanto mi sveglio, mi rendo conto che sono in ritardo e mi fiondo allo stadio. Non trovo nessuno, solo il custode che mi fa: 'Devi raggiungere Verona con ogni mezzo'. Prendo l’autostrada e dopo un po' raggiungo il pullman. La cosa buffa è che i miei compagni che stavano in ultima fila (i vecchi erano doverosamente nei primi posti) mi facevano con le mani il gesto dei numeri...".
    "Indicavano i milioni (di Lire, ndc) della multa. Qualcuno faceva otto, altri cinque, altri tre. Alla fine sono stati cinque, senza fattura. Un salasso. Boniperti mi disse soltanto: 'Non ti sei fatto la barba'. Mi voleva bene".
    Non mancano nemmeno gli episodi curiosi, fuori dal campo e sul rettangolo verde.
    "È successo che abbia giocato per un campionato intero con una scarpetta rotta in punta dalla quale usciva il calzettone bianco. Così, ogni tanto, dovevo chinarmi per rimetterlo a posto. Un modo come un altro per tirare il fiato. La verità è che sono un pigro. A Cremona ho dormito per un anno con una cassetta di acqua minerale sotto il letto che si era rotto in due".
    "Una volta un mio compagno al quale avevo prestato la casa disse: 'Questo qua avrà sicuramente qualcosa di fresco da bere'. Dentro al frigorifero ci trovò due mocassini...".
    "In campo una volta ho calciato fortissimo verso la porta, il pallone è andato fuori, mentre la scarpa ha centrato l’incrocio dei pali; ho fatto un goal di testa in tuffo al Catanzaro (mi marcava Ranieri), io che di testa ho sempre preso pochi palloni e ho fatto diciassette palleggi consecutivi a San Siro contro il Milan finendo dentro il film 'Eccezziunale veramente'...".
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  • LA PARABOLA DISCENDENTE: DALLA A ALL'INTERREGIONALE

    Salutata la Juventus nell'estate del 1983, la carriera di Marocchino prosegue a Genova con la Sampdoria. Un'unica stagione da comprimario, che segna l'inizio del precoce declino: 14 presenze e una sola rete in A (nel pareggio per 1-1 in casa con la Lazio) e 4 gare in Coppa Italia.

    Nel 1984/85 non viene confermato e passa al Bologna, retrocesso in Serie B. L'atteso rilancio non c'è. In quattro stagioni in Emilia totalizza 78 presenze e 5 goalfra campionato e Coppa Italia, poi resta addirittura senza contratto a 30 anni. Riparte dal basso, firmando con la Junior Casale in Serie C2, vicino a casa: appena 13 presenze e un goal per poi scendere ancora, in Interregionale, alla Valenzana, per quattro stagioni con 64 presenze e 3 reti.

    Prima di appendere le scarpette al chiodo a soli 35 anni. Dopo aver dilapidato, senza dubbio, in grossa parte, il suo grande talento.

    "Ho fatto quattro anni alla Juve - commenterà -. Con la testa di oggi, ne avrei fatto come minimo il doppio. Mi è mancata la costanza. Quando scali la montagna, devi avere il coraggio di scendere. Ma io ho vissuto il calcio come uno sport, non come un lavoro. E sono un uomo felice".
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  • APPREZZATO OPINIONISTA IN TV E IN RADIO

    Lasciato il calcio, Marocchino abbandona anche il fumo, uno dei suoi grandi vizi. Fatta anche una breve esperienza da allenatore nella seconda metà degli anni Novanta con La Chivasso, l'ex talento della Juventus è diventato un apprezzato opinionista in tv e in radio, lavorando sia per la Rai sia per diverse emittenti private e contraddistinguendosi per la schiettezza dei giudizi e la profondità delle sue valutazioni.

    Nella vita privata è separato da sua moglie, dalla quale ha avuto un figlio, Andrea, nato durante gli anni in cui giocava al Bologna. Attualmente vive a Santhià, Comune della provincia di Vercelli. Fra un'analisi calcistica e un'altra, ogni tanto ripensa alla sua carriera da calciatore.

    "Penso che, per un giocatore, la Juventus rappresenti il culmine delle aspirazioni, nel senso che giocare nell’'nter, nel Milan, nel Torino, è bello, ma la Juventus ha un qualcosa di più, rappresentato da quel certo fascino che le deriva dal fatto che tutta l’Italia guarda a lei. Quindi, per me è stata una grossa soddisfazione e nello stesso tempo un notevole sacrificio perché sulle spalle si porta un fardello che non tutti sono degni di sostenere".
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