Pubblicità
Pubblicità
Calcio scozzese HDGOAL

Il calcio scozzese ha più di un problema

Pubblicità

Al termine della stagione 2022/23, l’ennesima che ha visto trionfare il Celtic, il calcio in Scozia ha raggiunto un importantissimo traguardo supportato da dati a cui, però, non è corrisposta e continua a non corrispondere una logica e conseguente realtà dei fatti che, in molti, preferirebbero differente. Ci arriviamo.

Come reso noto dal sito ufficiale della SPFL, la Scottish Premier Football League, associazione che raggruppa tutto il calcio professionistico scozzese, per la prima volta dal 2013 circa 5 milioni di tifosi hanno seguito la propria squadra tra Premiership, Championship, League 1 e League 2 (precisamente 4,6 milioni, a cui si aggiungono i 400mila che hanno partecipato a gare di coppa). Un dato impressionante che ha superato i 4,9 milioni di spettatori totali registrati nella stagione 2018/19.

In altri termini, il calcio scozzese, nel 2023, ha raggiunto la vetta della speciale classifica relativa al seguito pro capite di tutto il calcio globale, con un rapporto di 21,3 spettatori ogni 1000 abitanti, che è superiore del 65% rispetto a quello dell’Olanda (al secondo posto con 12,9 spettatori ogni 1000 abitanti).

Eppure, questo importante risultato non è che un piacevole inganno dietro cui si cela la difficoltà, del sistema, di spiegare perché il calcio in Scozia, impantanato in affascinanti premesse, abbia più di un problema.

  • UN PRODOTTO DIFFICILE DA VENDERE

    L’ultima annata di Scottish Premiership si è conclusa con 670 goal siglati, il numero più alto da quando nel massimo campionato scozzese vengono disputate 38 giornate (228 match totali): stiamo parlando di 2,94 reti a partita. In sintesi, una breve spiegazione dell’inconsistenza dell’equazione “più si segna, più il calcio viene seguito”: anche perché, fuori dalla Scozia, il “prodotto calcio” rimane assai difficile da vendere.

    Dei 670 goal, va detto, 114 li ha realizzati il Celtic di Ange Postecoclou, su cui torneremo più tardi, e 93 li hanno siglati i Rangers. Alle due squadre di Glasgow, insomma, corrisponde il 30,9% delle reti totali dell’intero campionato. Non è certo una novità, questa.

    Una delle ragioni principali che si cela dietro ai problemi del calcio scozzese, ovvero il duopolio legato all’Old Firm, si lega strettamente alla commercializzazione del prodotto negli altri Paesi: il fatto che il calcio scozzese venga visto ingenuamente (e in maniera innocente, aggiungiamo) come “il calcio di Celtic e Rangers” e successivamente, ma solo dopo, “di tante altre squadre che completano il quadro” restituisce una prima e superficiale spiegazione del perché sia difficile aumentare l’appeal di una dimensione calcistica che non riesce a esprimersi al di fuori del confronto tra le due Big.

    A questo si aggiunge che il calcio scozzese viene ritenuto, ancora, un prodotto destinato principalmente al mercato britannico e poco attrattivo dal punto di vista europeo. Tuttavia, anche la commercializzazione in UK non va a gonfie vele: Sky Sports attualmente trasmette in diretta 48 partite stagionali della massima serie (a cui si aggiungono le finali Playoff, ma capirete che su più di 228 match totali non è che vada benissimo), con un aumento a 60 previsto per la stagione 2024/25.

    L’analisi della BBC all’indomani dell’accordo siglato per i diritti TV (nel 2018) ha definito quest’ultimo “tutt’altro che perfetto”, aggiungendo, però, che “in un mercato incerto, è tutt’altro che lo scenario peggiore”. Resta un netto gap, comunque, rispetto alle altre leghe europee: da queste basi è difficile fondare un sistema solido e appetibile.

  • Pubblicità
  • Rangers CelticGetty

    L'OLD FIRM, POI IL RESTO

    “È una partita che non tratta solo di calcio, chiaramente. La differenza la capivi subito quando lo spogliatoio dei Rangers, ai miei tempi sempre giocoso e in cui era impossibile essere seri (con Gascoigne o McCoist), prima dell'Old Firm diventava uno spogliatoio silenzioso. L’ho sempre paragonata, come aspettative e tutto, a una partita di Nazionali: ti segna la carriera”.

    La testimonianza di Marco Negri, capocannoniere della massima serie scozzese con la maglia dei Rangers (1997/98), intervenuto ai microfoni di GOAL Italia poco più di un anno fa, non è molto distante da quelle che potrete trovare con una semplice ricerca sul web. Nel 2023, il significato ultimo dell’Old Firm (con tutto ciò che rappresenta) dovrebbe essere già chiaro a tutti: due volti della stessa città, Glasgow, divisa non solo dalla fede calcistica, ma anche dalla fede religiosa (cattolici i tifosi del Celtic, protestanti quelli dei Rangers) e dall’ideologia politica (indipendentisti i tifosi del Celtic, unionisti quelli dei Rangers). E dal fiume Clyde, che separa geograficamente anche i due stadi: Celtic Park e Ibrox.

    Fatto sta che nella lista dei diversi problemi affrontati dal calcio scozzese rientra anche quello legato al Derby, pur omesso per paura di intaccare una partita da sempre avvolta, protetta, quasi conservata da un’aura di sacralità che, a lungo andare, sembra essersi ritorta contro le potenzialità di un confronto che avrebbe dovuto far da traino all’intero sistema.

    C’è l’Old Firm, per chi vive fuori dalla Scozia: poi tutto il resto. Pure negli episodi controversi che hanno caratterizzato la storia della rivalità tra Celtic e Rangers: la componente drammatica, poi altro, appunto. Come nel 1987, quando loShame Game”, la partita in cui l’Old Firm, come scrisse il giornalista Jim Reynolds sull’Herald,“è quasi morto di vergogna”, culminò con 3 espulsioni, 4 goal totali e altrettante accuse di “turbamento dell’ordine pubblico” (a Woods e Roberts dei Rangers e a Butcher e McAvennie del Celtic).

    Dal punto di vista strettamente calcistico, però, non si può prescindere da un’analisi critica del confronto diretto tra due club che hanno smesso di competere con “le altre” e che, dalla stagione 1985/86 (al netto degli anni che hanno fatto seguito al fallimento dei Gers), hanno dato vita a uno dei duopoli più importanti del mondo: 18 titoli vinti dai Rangers e 20 dal Celtic da allora.

    Sono passati 38 anni dall’ultimo successo di una squadra che non fossero gli Hoops o i Gers: era l’Aberdeen di un certo Alex Ferguson, vincitore anche nell’annata 1983/84. Insomma, 38 anni di vittorie di due sole squadre non solo stancano, ma aumentano, in uno strano circolo vizioso, il divario in termini di competitività tra le Big e “le altre”, soprattutto in un periodo storico in cui ai titoli e alle partecipazioni alle competizioni europee corrisponde una quantità di introiti non indifferente.

    Il Celtic, grazie alla qualificazione alla fase a gironi di Champions League 2023/24, ha guadagnato un totale di 32,3 milioni di euro (di questi si segnalano i 15 milioni fissi e i 6,5 milioni dei diritti TV) rispetto ai 17,4 milioni dei Rangers, che hanno fallito la qualificazione ai raggruppamenti e che si sono ritrovati ai gironi di Europa League.

    Avere la possibilità di incassare dai 15 ai 30 milioni (per indicare una forbice superficiale, ma concreta) permette a Celtic e Rangers, le principali due realtà per seguito (con un’incidenza importantissima anche all’estero), di investire per rafforzare la propria rosa con giocatori di livello superiore alla media, rendendo sostanzialmente impossibile “agli altri” una competizione per la vittoria finale.

  • Pubblicità
    Pubblicità
  • "LE ALTRE"

    Per fortuna, comunque, il calcio scozzese non è solo l’Old Firm. La prima immagine che Danny Boyle “spara” in faccia ai destinatari del suo film (ovviamente, si cita Trainspotting), vede apparire, quasi spezzando l’atmosfera intrisa di calma e monotonia, due gambe nell’atto frenetico della corsa: Mark Renton (Ewan McGregor) scandisce ritmicamente i tempi di una fuga accompagnata da “Lust for Life” di Iggy Pop, mentre le prime parole, “Scegliete la vita”, fanno la loro comparsa nella mente dello spettatore, inconsapevole di aver appena ricevuto un’eredità non indifferente.

    Il secondo messaggio che l’intro vuole lanciare è quello legato alla presentazione dei principali personaggi della pellicola: poco prima che l’orologio segni il minuto, li si può notare in abiti calcistici, posare di fronte a un pallone. Begbie indossa la maglia che ci serve per spiegare che c’è vita anche lontano da Glasgow: è quella dell’Hibernian.

    Eppure, chi conosce anche solo parte della storia del calcio scozzese, dovrebbe aver capito, a questo punto, dove si vuole andare a parare. A Edimburgo si consuma un’altra delle più accese rivalità calcistiche (a livello mondiale): quella tra gli Hibs e gli Hearts of Midlothian, gli Hearts. Anche in questo caso, si va oltre il pallone: si tratta di un confronto che si permea di un aspetto religioso (cattolica, la tifoseria dell’Hibernian; protestante, quella dei Maroons), ma che con gli anni ha assunto i caratteri di una rivalità “sociale” tra la società borghese degli Hearts, propri della convinzione di essere “il club di Edimburgo”, e la working class, gli underdog, dell’Hibernian, che rappresenta l’animoso sentimento di rivalsa del sobborgo di Leith.

    Calcisticamente, comunque, e in una visione più ampia della questione, Hibernian e Hearts,vanno messe superficialmente sullo stesso piano dell’Aberdeen. Al netto di poche sorprese (viene in mente il Kilmarnock, di recente, o il Motherwell nei primi anni Dieci del Duemila), sono queste le tre principali “altre squadre” del calcio scozzese, al momento: una sorta di miracolo è stato compiuto, ad esempio, dallo stesso Aberdeen nella stagione 2017/18, vinta poi dal Celtic. I Dons, al termine dello split (per i neofiti del genere: al termine della regular season le prime 6 si affrontano per il titolo, le ultime 6 per non retrocedere), sono riusciti a classificarsi secondi davanti ai Rangers, confermando il posizionamento della stagione precedente, ma con un significato diverso (contestualizzando, i Gers, un anno prima, erano appena ritornati in massima serie dopo gli anni di rinascita post-fallimento).

    Al termine dello split, nell’annata 2022/23, la classifica recitava: Celtic 99, Rangers 92, Aberdeen 57, Hearts 54 e Hibernian 52. Un divario di 42 punti tra la prima e la terza, di 35 punti tra i Gers e i Dons. Troppo.

  • Aaron Ramsey Kemar Roofe Eintracht Rangers Europa League 202122Getty

    FUORI DALLA SCOZIA SI FA FATICA

    L’ultimo punto della precedente analisi ci permette di collegarci a un altro tra i problemi affrontati dal calcio scozzese, almeno per ora: la scarsa competitività in ambito internazionale. Concetto che ben si sposa con quello di “rarità” dei casi in cui si è sfiorata la vittoria in una competizione europea.

    Negli ultimi 20 anni, solo Celtic e Rangers hanno raggiunto la finale di un torneo disputato fuori dalla Scozia: in Coppa UEFA/Europa League. Nel 2003, all’Estadio de la Cartuja di Siviglia, gli Hoops guidati da Martin O’Neill persero, ai supplementari, contro il Porto di José Mourinho, nonostante la doppietta di Henrik Larsson. Nel 2008, poi, toccò ai Rangers capitolare nell’atto conclusivo della competizione contro lo Zenit, dopo aver eliminato la Fiorentina in semifinale.

    Più recente, invece, è la delusione dei Gers in Europa League: nel maggio del 2022, sempre a Siviglia, la formazione di Giovanni van Bronckhorst si è arresa all’Eintracht Francoforte di Oliver Glasner ai calci di rigore, con la conclusione di Aaron Ramsey neutralizzata da Kevin Trapp, vero e proprio eroe del match.

    Ripercorrendo la storia delle diverse competizioni europee, l’unica volta in cui una squadra scozzese ha vinto la Champions League risale a 66 anni fa, quando il Celtic superò in finale l’Inter a Lisbona. Le immagini a disposizione, neanche a dirlo, sono in bianco e nero. L’ultimo successo europeo di un club scozzese è del 1983: l’Aberdeen di Ferguson. Va detto, comunque, che i Rangers, due edizioni di Europa League fa, avrebbero meritato di più, sfiorando la vittoria negata solamente da Trapp, prima dei calci di rigore.

    A novembre del 2012, il mondo viene spiazzato dalla grafica della UEFA trasmessa, in sovrimpressione, in tutte le TV e da un dato paradossale: nonostante l’11% di possesso palla, il Celtic di Neil Lennon riesce a battere 2-1 il Barcellona di Tito Villanova. I passaggi compiuti sono 166 contro 955, i tiri 5 contro 23: all’83’, però, Tony Watt regala al “Paradise” una delle gioie più grandi della storia del calcio scozzese. Il clamore mediatico generato da quel successo non bastò, però, per alimentare lo spirito di rinascita del sistema.

    Attualmente, come detto, il Celtic si trova nel girone della Lazio in Champions League, mentre i Rangers sono stati “retrocessi” in Europa League dopo essere stati eliminati dal PSV Eindhoven (facendo i conti con un complicatissimo avvio di stagione, culminato con l’esonero di Michael Beale, avvenuto a inizio ottobre).

    L’Aberdeen, terzo nella stagione 2022/23, è stato “sbattuto fuori” ai preliminari di Europa League dagli svedesi dall’Hacken, retrocedendo in Conference, competizione che non vede impegnati né gli Hearts, eliminati dal PAOK Salonicco ai Playoff, né l’Hibernian, che ha subito 8 goal in due partite dall’Aston Villa a un passo dalla fase a gironi.

    Viene da chiedersi, a questo punto, se un successo in ambito internazionale riuscirebbe a risollevare le sorti di un sistema che fa già fatica a esaltarsi all’interno dei propri confini o se risulterebbe quasi una “favola calcistica”, spunto già tirato in ballo proprio alla vigilia della finale di Europa League disputata dai Rangers nel 2022. Un’eccezione, insomma.

  • Pubblicità
    Pubblicità
  • QUANTO STA INCIDENDO LA BREXIT?

    Un altro problema con cui ha dovuto fare i conti il calcio scozzese è stato quello relativo agli effetti della Brexit, su cui non ci soffermeremo molto, ma che comunque conviene citare. Nel già difficile percorso delle squadre, in Scozia, di tesserare giocatori di livello si è inserito nel 2021 il complesso iter burocratico per i permessi dei lavoratori provenienti dall’estero.

    Sinteticamente (per quanto possibile), una delle principali problematiche della questione è stata legata alla concessione dei permessi in base a un sistema di punti che attinge all’esperienza del giocatore in questione. Nel 2021 veniva tenuto conto, ad esempio, delle presenze in Nazionale e di quelle a livello internazionale con i club: maggiori erano, più velocemente il Ministero dell’Inter avrebbe concesso il permesso di lavoro al calciatore extracomunitario. Questo ha semplicemente portato all’esclusione di parte delle società calcistiche scozzesi da una corsa al “potenziale crack”, già vinta in partenza da Celtic e Rangers.

    E, ovviamente, tutto ciò ha fatto lievitare il valore dei giocatori britannici, che non hanno bisogno di permessi di lavoro: così, gli Hoops e i Gers hanno potuto permettersi di investire all’estero (emblematico è il caso dei giapponesi del Celtic, costati relativamente poco, ma con grandissima resa), mentre “le altre” si sono trovate ancor più impantanate in un sistema in cui trovare nuovi metodi di scouting è di base assai difficile. Nonostante la situazione sembra essere migliorata (attingendo a mercati alternativi come quelli australiani, nordamericani o africani), tutto ciò potrebbe a lungo andare aver peggiorato un quadro già compromesso.

  • Scotland celebrate vs GeorgiaGetty Images

    C'È ANCORA SPERANZA

    Ange Postecoglou non è né “l’uomo della provvidenza”, né “il salvatore della patria”, che non è neanche sua, tra l’altro. L’importanza del suo lavoro al Celtic, però, va oltre i titoli vinti e rientra nella parentesi legata a tutto ciò che di positivo sta offrendo il calcio scozzese.

    L’australiano, attuale allenatore del Tottenham, che in poche settimane ha conquistato mediaticamente la Premier League (al di là del suo “I’m just copying Pep”, “Sto solo copiando Pep”, diventato un tormentone), è solo l’ultimo dei “prodotti” del sistema calcio in Scozia.

    Nell’ultimo decennio, non è stato raro assistere a un tecnico che, in corsa, ha lasciato la propria panchina per trasferirsi in Premier a stagione in corso (non è il caso di Ange, ovviamente): è successo a Brendan Rodgers, che nel febbraio del 2019 ha lasciato il Celtic per guidare il Leicester, ma anche a Steven Gerrard, l’uomo che ha riportato i Rangers al titolo e che, nel novembre del 2021, ha sostituito Dean Smith all’Aston Villa.

    Il lato positivo della questione è “l’altra faccia” del duopolio Celtic-Rangers: la possibilità di lavorare con relativa calma (pur con l’obbligo di vincere, s’intende). La politica portata avanti da Postecoglou agli Hoops potrebbe essere la “chiave” per un’iniziale rinascita del calcio scozzese: senza particolari pressioni dal punto di vista internazionale, e con i già citati problemi della Brexti, il Celtic ha potuto assecondare le volontà del suo tecnico che, nel corso della sua esperienza in Giappone, ha avuto la possibilità di visionare quei talenti che poi hanno rafforzato una delle due squadre di Glasgow (per ragioni di tempo citiamo in particolare Kyogo Furuhashi, che a settembre ha eguagliato una leggenda come Henrik Larsson, migliorandone le statistiche dopo 88 gare disputate col Celtic: segnatevi questo nome, insomma).

    C’è speranza? C’è speranza. La premessa è questa: il resto della frase implica un “ma”. C’è speranza, sì, ma non grazie al calcio scozzese, quanto all’importanza progettuale di un sistema che sta favorendo, dopo diversi decenni, l’esplosione della qualità dei giocatori scozzesi, resa emblematica dai risultati della Nazionale di Steve Clark.

    Non è proprio una buona notizia, se si pensa che, nei fatti, nell’ultimo Old Firm disputato a inizio agosto, solamente 5 dei 22 giocatori scesi in campo dall’inizio erano scozzesi: insomma, le due Big puntano su altro. Questo ci riporta al contesto italiano e al dibattito sui giocatori italiani in Serie A. La qualità dei giocatori scozzesi, però, si è alzata: nelle ultime convocazioni per le sfide contro Cipro e Inghilterra, disputate a metà settembre, 7 giocatori su 25 sono stati chiamati da squadre della Scottish Premiership. Il resto gioca in Inghilterra (9 in Premier, 6 in Championship), in Spagna (Kieran Tierney nella Real Sociedad), in Serie A (Lewis Ferguson del Bologna) e in Arabia Saudita (Jack Hendry all’Al-Ettifaq di Gerrard).

    La sconfitta contro l’Inghilterra è stata la prima da quella rimediata contro l’Irlanda in Nations League nel giugno 2022 (più di un anno prima), ma a restituire chiaro il senso del progetto ci ha pensato il cammino verso EURO 2024, finora perfetto (5 vittorie su 5, compreso il successo contro la Spagna). Non basta, però, per risollevare le sorti del calcio scozzese: affascinante, pregno di storia (e di storie) e di simbolismo, ma assai problematico.

  • Pubblicità
    Pubblicità