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Zavarov alla Juventus: tra aspettative disattese e una Duna di seconda mano

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Il Mondiale di Messico 1986, oggi, assume un significato profondo. La recente scomparsa di Diego Armando Maradona, MVP della competizione che portò proprio l'Argentina sulla parte più alta del podio, fa male. Anzi, malissimo. Ma in qualche modo, purtroppo, bisogna andare avanti. Tra ricordi indelebili e la dura realtà.

E, a proposito di ricordi, per Olexsandr Zavarov ce n'è uno indimenticabile. Legato, appunto, a quella manifestazione. Con l'Unione Sovietica, selezionata dal colonello Lobanowsky, a proporre un calcio sopraffino. Eliminata solamente dal Belgio per 4-3: con due goal che, se ci fosse stata il VAR, non sarebbero mai stati convalidati. Altri tempi, altro calcio.

La Juventus, sempre a caccia dell'erede di Michel Platini, nel 1988 decide di assicurarsi "Sasha", così soprannominato in patria, portando il primo calciatore sovietico nella storia della Serie A.

L'identikit, d'altro canto, è presto spiegato: è reduce da un ottimo campionato europeo e si tratta di un centrocampista offensivo dotato di grandi doti tecniche; messe in mostra, peraltro, con la Dinamo Kiev. Musica per le orecchie di Madama, alla costante ricerca del fattore bellezza. Insomma, proprio come piaceva al presidente Giampiero Boniperti (e non solo).

Tuttavia, in poco tempo, si comprende come il matrimonio non sia dei più felici. La Juve, guidata da Dino Zoff, fatica maledettamente. E lo "Zar", dal canto suo, non riesce ad ambientarsi. Come? Isolandosi, non imparando la lingua e, soprattutto, non entrando nei meccanismi dello zoccolo duro italiano.

La casacca numero 10 della Juve pesa, eccome, e il diretto interessato non è in grado di sfoggiarla adeguatamente. Infatti, l'anno successivo, l'ex Dinamo Kiev arriva a ottenere la 9. Una scelta effettuata, soprattutto, per cercare di allontanare la pressione mediatica, costantemente a caccia di paragoni improponibili. 

Un'avventura ricordata così da Zavarov ai microfoni di 'TuttoJuve':

"Ho riscontrato delle difficoltà per il calcio diverso a cui ero abituato e per il cambio generazionale che c'è stato in quel periodo nella Juventus. E' stato veramente difficile adattarsi a quello stile di gioco. Un altro grande problema è stata la lingua, non capendo bene l'italiano ho fatto fatica ad ambientarmi. Però vedo il bicchiere mezzo pieno: questa esperienza mi ha aiutato tantissimo nel prosieguo della mia carriera. Anche quando, poi, ho appeso gli scarpini al chiodo. I compagni erano fantastici, prima che calciatori erano veri uomini. Ricordo bene, inoltre, quanto calorosi fossero i tifosi italiani. C'era un tifo incredibile".

Amante della musica, e dotato di ottima cultura in generale, Zavarov è una sorta di intellettuale prestato al pallone. E gli aneddoti, sicuramente, non mancano. Ogni riferimento alle parole del vulcanico Pasquale Bruno è puramente voluto:

"Vedevi girare queste bottiglie di vino, non si sa uscite da dove - ricorda l'ex difensore di Juve e Toro al 'Corriere della Sera' - negli autobus che ci riportavano dalle trasferte vicine. Puntualmente finivano in fondo, dove guarda caso c’erano sempre lui e Laudrup".

E poi come dimenticare la Fiat Duna, di seconda mano, utilizzata spesso e volentieri da Oleksandr per dirigersi al campo d'allenamento. Istrionico, originale, talentuoso. Ma, complessivamente, fallimentare all'ombra della Mole: 76 presenze e 13 goal. Troppo poco per entrare nella storia juventina. Il giusto, quindi, per passare al Nancy e finire nel dimenticatoio.

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