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Fredy Guarin Inter Serie A 15022015Getty Images

Strappi, polemiche, la fascia dell'Inter: Fredy Guarín, tutto nella stessa persona

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Diapositiva numero uno. Il 19 settembre del 2014, l'Inter è di scena in Ucraina per una gara dei gironi di Europa League. La squadra di Walter Mazzarri si impone per 1-0 sul Dnipro, a decidere è Danilo D'Ambrosio a una ventina di minuti dalla conclusione, ma è un'altra fotografia a rimanere impressa: quella sera la fascia di capitano finisce per la prima volta sul braccio di Fredy Guarín. Che dopo la partita si presenta davanti alle telecamere dicendosi “felice e orgoglioso, perché per me l'Inter significa moltissimo”.

Diapositiva numero due. Che poi in realtà è la numero uno, cronologicamente parlando. Un anno (quasi) esatto prima, 27 settembre 2013, l'Inter ha battuto per 2-1 la Fiorentina. Ma neppure la vittoria ha disteso gli animi nel contesto di un'atmosfera elettrica. Guarín era in campo anche quella sera. E ha giocato male, non per la prima volta. Tanto che il pubblico di San Siro, esigente come sempre, lo ha fischiato al momento della sostituzione. Il colombiano ha reagito, portandosi la mano destra all'altezza dell'orecchio e roteando l'indice. Fischiate, fischiate, era il senso del suo sfogo. La gente, naturalmente, l'ha presa ancora peggio. Anche dopo la goffa spiegazione post partita del colombiano: “Volevo dire ai tifosi che per noi dovevano essere il dodicesimo uomo”. Vabbè.

Diapositiva numero tre. Gennaio 2014, pochi mesi dopo quel fattaccio. Guarín sta riempiendo le valigie e si prepara a diventare un nuovo giocatore della Juventus. Al suo posto Mirko Vucinic, pronto a compiere il percorso contrario. Solo che il tifo interista insorge: non vuole il montenegrino, in generale non vuole giocatori dalla Juve, e non vuole privarsi del colombiano. Cori striscioni, il celebre "Fuori le mele marce dalla società". Madama che parla di “sconcertante accaduto” in un comunicato ufficiale. L'affare, alla fine, salta. Ed entra di diritto nella storia del calciomercato nostrano.

Diapositiva numero quattro. Il 1° febbraio del 2015, l'Inter ha appena perso a Reggio Emilia contro il Sassuolo. Un 3-1 che ha fatto piuttosto male. I giocatori di Roberto Mancini si portano sotto la curva occupata dai tifosi nerazzurri e scoppia la lite. Il più esagitato è Mauro Icardi, che dopo aver lanciato la propria maglia a un tifoso vede un capo ultrà strappargliela dalle mani. Racconterà tutto, nei dettagli, nella propria autobiografia. Accanto a lui c'è proprio Fredy, che si batte una mano sul petto, urla qualcosa, ha gli occhi spiritati.

Non è semplice raccontare in maniera lineare che cos'abbia rappresentato Guarín per l'Inter. Ne esce un ritratto folle, da artista schizofrenico. C'è di tutto e di più: momenti buoni e momenti da dimenticare, reti e liti, esultanze e sfoghi, alti e bassi in egual misura. Tutto nello stesso periodo di tempo, gennaio 2012-gennaio 2016. Tutto nella stessa persona. Tutto nello stesso calciatore. Il simbolo di quegli anni nerazzurri è lui, a ben vedere: sono le strane stagioni immediatamente successive al Triplete, con eroi da salutare in maniera tristemente costante e un presente e un futuro da ricostruire. I ricordi di gloria mischiati con l'ambizione di tornare al top. Due strade parallele che, in mezzo al dominio juventino, sembrano destinate a non toccarsi mai. Specialmente con Erick Thohir al comando.

Man mano che le stagioni si alternano, salutano tutti gli eroi di Madrid. Salutano Zanetti e Cambiasso, Maicon e Milito, Júlio César ed Eto'o. Nel 2013 chiude la carriera anche Dejan Stankovic. L'Inter è convinta di avere già in rosa il suo erede. E poco importa se un anno e mezzo prima, poco prima di firmare con i nerazzurri, Guarín diceva alla stampa portoghese: “O vado alla Juventus o resto al Porto”. Si riabiliterà parzialmente dopo lo scambio saltato con Vucinic, cavalcando l'onda dell'entusiasmo popolare: “Io a Torino non volevo andarci”.

Il Guarín interista è la dicotomia fatta calciatore. È il perfetto esempio di bipolarismo pallonaro. Ti entusiasma e ti irrita nello spazio di due domeniche, a volte pure nella stessa partita. C'è chi vede in lui il simbolo di un'Inter da vorrei ma non posso (e non riesco). Una squadra povera, a volte orgogliosa, lontana dallo strapotere juventino di quelle stagioni. Eppure, quando arriva a Milano, in molti gridano al colpaccio. Perché al Porto, dopo essere passato per il Boca Juniors e il Saint-Etienne, Fredy si è rimpinzato di trofei. E lo ha fatto da protagonista. Ha riportato i Dragoni sul tetto d'Europa, con l'Europa League del 2012 firmata Radamel Falcao. Un trionfo continentale che mancava dai tempi di José Mourinho.

Le prime magagne di un rapporto destinato a far discutere si palesano al suo arrivo in Italia. Guarín sbarca a Milano con un problema serio a un polpaccio che lo tiene ai box per un paio di mesi. Ma l'Inter decide di non mandare a monte l'operazione. Il colombiano esordisce così in Serie A solo all'inizio di aprile, ma è una stagione nata male e finita peggio. A Gian Piero Gasperini è subentrato Claudio Ranieri e a Ranieri è subentrato Andrea Stramaccioni: il record dei quattro allenatori del 1998/99 non è stato eguagliato, ma solo per un'inezia.

Però l'Inter decide di dar fiducia a Guarín. Il prestito diventa acquisizione a titolo definitivo. Che a sua volta si trasforma in fiducia, minutaggio, spazio in campo. Pure nella fascia di capitano. E nel rapporto a due vie di cui si è già discusso. Nel corso degli anni, accade un po' di tutto: la lite contro la Fiorentina, quella del Mapei Stadium, ma anche la rete decisiva in un derby contro il Milan. Settembre 2015, sette mesi dopo Reggio. La ruota è nuovamente girata. L'Inter si impone per 1-0 sulla squadra di Sinisa Mihajlovic e l'uomo partita è proprio lui: solito inserimento sulla trequarti, spostamento del corpo verso sinistra e tiro mancino – in tutti i sensi – piazzato alle spalle di Gigio Donnarumma.

Quello attuale è probabilmente il miglior Guarin di sempre all'Inter – scriveva Tuttosport qualche mese prima – un rendimento alto ma soprattutto continuo: le pause a cui aveva abituato tutti nei mesi scorsi sono calate e adesso il colombiano punta dritto al suo record di gol stagionali, 10, messo a segno due volte, col Porto nell'annata d'oro '10-11 e con l'Inter nel '12-13 sotto la guida di Stramaccioni”.

Il 2015 è l'anno in cui l'Inter pare poter rialzare la testa e tornare sul tetto d'Italia. È il miglior momento della squadra post Triplete. La Juve inizialmente perde a ripetizione, il Milan è un piccolo diavolo. L'avversaria principale è il Napoli. Però, pian piano, il cemento con cui Mancini ha costruito tante piccole mura si sfalda. E proprio a metà stagione Guarín prende e se ne va. In Cina, allo Shanghai Shenhua, in cambio di 13 milioni ai nerazzurri e 6 all'anno versati nel proprio conto corrente.

L'esperienza ai più grandi livelli di Guarín, in sostanza, si conclude in quello stesso momento. E da lì prendono forma facts, episodi e curiosità. Come quando firma col Vasco da Gama invece che col Flamengo, con cui non è giunto a un accordo economico. Diventa un beniamino dei tifosi, si tatua il simbolo del club sulla pelle, dice che “ci sono cose che vanno al di là dei soldi”. Però non è che sia una scelta fortunatissima: nel 2019 il Fla conquista campionato e Copa Libertadores, mentre dodici mesi più tardi il Vasco retrocederà in Serie B.

Così a fine 2020 Fredy torna in patria, ai Millonarios. Però inizia a metter su chili, presentandosi ad allenamenti e partite con un peso forma non esattamente da atleta. E dopo pochi mesi se ne va, senza lasciare traccia alcuna. Meglio pensare al dopo pallone, allora: all'inizio di quest'anno ha inaugurato il Club de Caballeros, attività di lusso di Medellín a metà tra barbiere, bar e ristorante. “Un giorno ci ho pensato, un giorno l’ho sognato, un giorno l’ho realizzato”, ha scritto su Instagram.

Era apparso decisamente meno sereno, Guarín, nell'aprile del 2021. La Polizia locale si è precipitata a casa dei genitori del calciatore, trovandolo fuori di sé dalla rabbia. L'accusa: violenza domestica. Fredy sarebbe stato sotto l'effetto di stupefacenti e alcool, portando agli estremi una lite col padre. Il video della furia con cui se l'è presa con gli agenti ha fatto rapidamente il giro del mondo. Il triste tramonto di un calciatore senza mezze misure.

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