GOALL’espressione di Adrian Ricchiuti è un misto di incredulità e onnipotenza quando il pallone supera Dida e si insacca in fondo alla rete: San Siro fischia. Il Catania è appena andato sopra di due goal contro il Milan di Leonardo a pochi minuti dall’intervallo. È la dinamica dell’azione, però, a rendere la smorfia di Ricchiuti iconica: l’argentino innesca Maxi Lopez con un filtrante tra le linee, ma rimane indietro, con l’atteggiamento di chi da trequartista era stato da poco spostato in cabina di regia. Un’intuizione di Sinisa Mihajlovic che, di fatto, gli ha cambiato la carriera.
La “Galina de Oro” raggiunge il fondo, addomestica gentilmente il pallone come si fa con una lettera d’amore ribelle e fa partire un cross apparentemente verso nessuno: è lì che la giornata del club rossazzurro si è fissata nell’infinito scorrere del tempo. Andrea Pirlo si ferma e non si accorge dell’inevitabile: dietro di lui Adrian Ricchiuti si inserisce col passo di un attaccante esperto e si fa beffe di Luca Antonini, saltandogli davanti agli occhi con il suo metro e sessanta e qualcosa. Quel “qualcosa” che cambia tutto: allarga le braccia ed esulta. Il Milan rimonterà nella ripresa con una doppietta di Marco Borriello, ma il destino aveva già fatto il suo corso, mutando per sempre quello del “Chico”.
Sette anni dopo Ricchiuti è ancora in campo, ma allo Stadio Olimpico di Serravalle in una delle notti più importanti della sua storia calcistica: a San Marino si gioca il ritorno del primo turno dei preliminari di Champions League. La Fiorita ospita i nordirlandesi del Linfield, dopo lo 0-1 dell’andata. Intorno all’ora di gioco, Nicola Berardi, allenatore dei padroni di casa, toglie Marco Brighi per inserire l’argentino che, a 39 anni, fa il suo esordio nella massima competizione europea.
“È partito tutto dal direttore sportivo Bollini e dal presidente Gasperoni: volevano che giocassi per La Fiorita. È stato bello: tante volte uno gioca parecchio nel calcio italiano, ma vedere un paesino così piccolo, in un campionato che chiaramente deve ancora crescere tantissimo, disputare partite del genere è un pezzo significativo della storia del calcio”, racconta Ricchiuti a GOAL.
Quella canzone no, non può mica essere dimenticata facilmente: le note solenni della Champions in una serata che fa semplicemente da sfondo a un trascorso che lo ha visto crescere in ogni categoria, lasciando la sua impronta. Altro che “Chico”: le ha giocate tutte da quando è arrivato in Italia, con lo spirito del fantasista e la leadership del mediano, regista adattato.
Un “professore” atipico del centrocampo, anche dopo la carriera: ha studiato per fare l’allenatore, naturale trasposizione delle geometrie disegnate in campo da giocatore e trasmesse sapientemente ai ragazzini nel corso degli anni.
A qualcuno tra loro sarà stato raccontato di quel giorno di settembre del 2006, dopo un’estate vissuta a metà tra i caldi uffici italiani e gli stadi tedeschi, a far la spola tra uno dei casi più rilevanti della storia del calcio del nostro Paese e un Mondiale vinto dopo aver chiuso le valigie ed essere andati a Berlino, a prenderci la Coppa.
Difficilmente, tra gli alunni dei diversi “camp” tenuti da Ricchiuti, ci sarà stato qualcuno presente al Romeo Neri, se non in fasce: tutto esaurito, nessun posto libero. Questo quanto dichiarato: lo stadio, in realtà, era addirittura più pieno di quel che potesse sembrare o essere.
“È stato un momento particolare perché già dal ritiro l’unico che ci credeva era mister Acori. Abbiamo fatto una scommessa e per noi affrontare una squadra così blasonata, con tanti Campioni del Mondo, è stata una soddisfazione, come lo è stata per la città. Noi eravamo emozionati, sì, ma per Rimini era una giornata speciale: mi dispiace per quelli che non son potuti entrare allo stadio, ma non ci entrava più nessuno”, ha spiegato a GOAL.
Nel riscaldamento diverse sono le cose che si notano ad occhio nudo: la folta chioma bionda di Pavel Nedved, i capelli raccolti di Gianluigi Buffon e quelli più corti di Alessandro Del Piero. Tra le riserve, invece, Mauro Camoranesi: era la Juventus. Quella vera, ma in Serie B: la prima Juventus in Serie B, in assoluto.
Quel Rimini (che terminerà la stagione al quinto posto in classifica), comunque, non era una squadra qualunque: in porta giocava Samir Handanovic, in attacco profili come Jeda e Alessandro Matri. Ricchiuti, però, era il simbolo: aveva portato il club dalla Serie C2 alla Serie B in pochi anni, legandosi indissolubilmente a una città che lo ha sempre accolto come un figlio. C’era lui, insomma, nei piani di chi ha scritto il copione di quella giornata: lancio lungo, incomprensione tra Boumsong e Kovac, palla soffiata dal “Chico” e destro a battere Buffon per l’1-1.
Vuole togliersi la maglia, abbracciare il Neri intero che, nel frattempo, assiste alla più bella caccia all’uomo mai esistita: Ricchiuti scappa dai compagni, schizzati fuori dalla panchina come missili al decollo in stato d’emergenza, prende la via della pista d’atletica e semina il panico. La voce di Fabio Caressa, in telecronaca, viene coperta dalla gioia dei tifosi, conservata come i cimeli di quel match, nella memoria e nei musei.
“Gli scarpini di quel pomeriggio, grazie al magazziniere dell’epoca, sono dentro una teca. Quel pari però rimarrà nella storia del calcio mondiale”, racconta Ricchiuti a GOAL.
C’è un filo importante che lega le esultanze ai goal contro Juventus e Milan, pur distanti tra loro quattro anni: l’espressione di puro stupore impressa nel volto del “Chico”. Sorpresa, forse, è il termine adatto: nel corso della sua carriera Adrian Ricchiuti si è spesso trovato di fronte a eventi inattesi, effettivamente.
Poco dopo l’arrivo di Mihajlovic sulla panchina del Catania l’argentino ha già le valigie in mano: nel 4-3-1-2 pensato dall’allenatore serbo non c’è spazio per lui. Il posto sulla trequarti, chiaramente, è di Giuseppe Mascara: in attacco arriverà Maxi Lopez, attaccante da affiancare a Jorge Martinez. La via è segnata, almeno fino a quella partita di Coppa Italia contro il Genoa (vinta dai rossazzurri con doppietta di Plasmati) che cambiò tutto.
“Ricordo bene che ero già un giocatore di un’altra squadra: tante volte pensi come può cambiare la carriera di un giocatore da un momento all’altro. Sono stato bravo a non mollare e a voler continuare a giocare in Serie A”, spiega “El Chico”.
Quattro stagioni a ottimi livelli, con gioie indelebili fisse nella memoria di una città, quella etnea, che lo ricorda sempre come un fratello e non come uno straniero. Ricchiuti, o “Ricciuti”, nella trasposizione fonetica, è stato questo, per i catanesi. Uno dei simboli del salto ideale compiuto dall’arrivo di Sinisa in poi, coinciso con alcune delle vittorie più segnanti della storia rossazzurra.
“Il mister ha cambiato la mentalità del Catania: il dramma del calcio di adesso è vedere le squadre piccole non osare e perdere ugualmente. Mihajlovic ci aveva inculcato la mentalità di andare a vincere contro chiunque: non a caso, al di là dell’Inter, siamo andati a battere la Juventus a Torino”, racconta a GOAL.
E, ovviamente, quella rete al Milan che trascende le stagioni e lega i momenti più importanti della carriera del “Chico”: che in catanese sarebbe stato “u picciriddu”, ma che a Rimini rimarrà per sempre il numero dieci (e, più in generale, il capitano) della sfida contro la Juventus. Uno dei punti più alti della storia di un’intera città che, riguardando gli scarpini conservati nella teca, sogna ancora quel pomeriggio del 2006 e i volti dei Campioni del Mondo intrisi di sofferenza. E quello di Ricchiuti, tra incredulità e onnipotenza.
