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Roma-Parigi-Milano-Reggio: il viaggio di Menez, una 'Coney Island'

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Jeremy Menez ha sempre vissuto una 'Coney Island'. Ossia una situazione che, se si fosse verificata o meno, avrebbe potuto rendere tutto migliore, anche se non c'è modo di saperlo. Questa metafora e citazione l'abbiamo presa in prestito da 'Russian Doll', una serie Netflix che nella sua seconda stagione ci fa capire come sia inutile chiedersi come sarebbe oggi il presente se il passato fosse stato differente.

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E' dunque inutile chiedersi cosa sarebbe potuto essere oggi Jeremy Menez se non fosse stato... quello che è stato. Ossia Jeremy Menez. Cosa sarebbe potuto essere senza quella fastidiosa svogliatezza che ogni giorno della sua carriera ha fatto a botte col suo straordinario talento. Cosa sarebbe potuto essere se avesse fatto le scelte giuste o se non avesse detto quello che ha detto. Ma stavolta no, non lo faremo. Non faremo l'ennesimo pezzo sui rimpianti, sulle occasioni sprecate e su i 'se avesse avuto la testa'.

Inutile soffermarsi troppo sul perchè uno che è a tratti è stato protagonista assoluto col PSG e il Milan sia finito a giocare (con tutto il rispetto possibile) alla Reggina (oggi a 36 anni), mentre quelli della sua stessa generazione (Benzema, Cavani, Suarez), alcuni dei quali considerati potenzialmente meno forti di lui, continuavano a fare la differenza ad alti livelli. Poi vedi che di quella stessa generazione fanno parte anche Ben Arfa, Kevin Constant e Nasri, che insieme a Menez hanno vinto l'Europeo Under 17 nel 2004. E allora pensi a una maledizione.

Quando Menez a 21 anni è arrivato a Roma dopo le esperienze con Sochaux e Monaco ha portato con sè un video su YouTube da quasi 300 mila visualizzazioni con le sue magie. Al punto da venire soprannominato 'Houdini'. Questo tipo di video ha rovinato non poche carriere (una su tutte quella di Mastour), perché la gente poi si aspettava che quelle robe lì il proprio beniamino le facesse davvero. E che le facesse sempre. Menez per esempio le faceva - chiedere alla difesa dell'Udinese che ancora lo sta cercando all'Olimpico - ma il problema è che per il resto della partita risultava spesso essere un uomo in meno.

Anche Totti, da sempre sensibile a questa tipologia di giocatori, aveva intravisto in Menez qualcosa di maledettamente fantastico.

"Mi ha preso subito sotto la sua ala protettrice, così come i suoi genitori. Abbiamo instaurato un vero rapporto di amicizia: mi faceva troppo ridere. Mi ha subito messo a mio agio, era una persona molto aperta. Abbiamo sempre giocato a poker con la squadra, ci siamo divertiti. Poi in campo Totti era impressionante, metteva tutti in porta con un tocco. E mi coinvolgeva. Gli piaceva giocare con me".

Nonostante le pause, nonostante i blackout, nel 2011 il PSG ha deciso di riportarlo a casa. Una chiamata impossibile da rifiutare, nonostante altre chiamate insistenti come quelle di Antonio Conte.

"Dissi no alla Juventus. Ricordo ancora le chiamate di Conte per convincermi a firmare - ha confessato qualche anno dopo a 'La Gazzetta dello Sport' - Giocare a Parigi era il mio sogno, per questo scelsi di andar via da Roma".

Ed è proprio a Parigi che Menez ha vissuto probabilmente il momento più alto della sua carriera, nonostante abbia investito in pieno la rivoluzione economica operata da Al-Khelaifi, con tutte le conseguenze possibili. A tratti devastante con Ancelotti in panchina, ha chiuso la stagione 2011-2012 con 9 goal e 22 assist in tutte le competizioni. Ventidue. Praticamente ingiocabile negli ultimi 30 metri.

Poi è andata come è sempre andata nella storia calcistica di Menez. Un'uscita a vuoto di qua, un'altra pausa di là, un problema sotto e un altro sopra che alla fine portavano a un estenuante divorzio. Stessa cosa al Milan, dove numericamente Menez ha raggiunto l'apice. 16 goal in campionato, tra cui uno di tacco al Parma che nessuno dimenticherà mai. Autentico trascinatore di una squadra certamente lontano dai livelli in cui è oggi e forse per questo motivo perfetta per lui. Quel Milan lo ha lasciato libero di giocare, libero di essere sè stesso nel bene e nel male, senza chissà quali pressioni. Libero di essere Jeremy Menez, anche se per una sola stagione.

Menez PS

Quella dopo, infatti, tra un'ernia con cui fare i conti e le sue solite paturnie non è praticamente esistita.

"Ho fatto il coglione con Montella, abbiamo litigato e poi non abbiamo avuto un buon rapporto per colpa mia. Allora ho deciso di andarmene".

La versione rossonera di Menez è stata l'ultima realmente giudicabile della sua carriera. La tappa a Bordeuax è ricordata più che altro perchè ci ha quasi rimesso un orecchio all'esordio in amichevole. Per non parlare del trasferimento in Turchia prima e a Città del Messico poi, dove tra poche presenze e un grave infortunio al ginocchio l'unica cosa positiva si è rivelata l'accoglienza all'aeroporto, in entrambe le occasioni delirante, per un giocatore al quale volente o nolente non si è mai smesso di credere.

È successa la stessa cosa quando il suo interrail, dopo Roma, Parigi e Milano si è fermato nella stazione di Reggio Calabria. Menez a Reggio, tutto vero. Impossibile non esaltarsi. Impossibile non provare qualcosa, una sensazione, bella o brutta che sia. Del resto, che storia è? Sicuramente una storia alla Menez, di uno che ha fatto sempre quello che ha avuto voglia di fare, come quel goal di tacco al Parma.

"Negli allenamenti mi dicevano che ero forte come Kakà. Durante le partite mi prendevo delle pause. Ho fatto troppe cavolate, ma sempre quello che mi passava per la testa. Quando sento la fiducia di tutti e mi sento bene ti posso fare tutto in campo. Sono fatto così".

È il suo presente. Figlio di un passato che non si può cambiare. Perchè allora non sarebbe Jeremy Menez, ma qualcun altro.

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