Cesarini GFXGoal

Perché si chiama Zona Cesarini? La storia di Renato Cesarini, il 'Cè'

"Mancavano pochi secondi alla fine, dirigeva lo svizzero signor Mercet. A un certo punto ebbi la palla. Avevo addosso il terzino Kocsis, un tipo che faceva paura. Non potendo avanzare passai alla mia ala, Costantino. Allora ebbi come un’ispirazione, mi buttai a corpo morto, tirai Costantino da una parte, caricandolo con la spalla, come fosse un avversario, e fintai, evitando Kocsis. Il portiere Ujvari mi guardava cercando di indovinare da quale parte avrei tirato. Accennai un passaggio all’ala dove stava arrivando Orsi, Ujvari si sbilanciò sulla sua destra, allora io tirai assai forte, sulla sinistra, il portiere si tuffò, toccò la palla, ma non riuscì a trattenerla. Vincemmo per 3-2. E non si fece nemmeno in tempo a rimettere il pallone al centro...".

Con queste parole, Renato Cesarini, geniale mezzala sinistra italo-argentina, raccontava il suo goal più celebre: quello segnato da 'oriundo' con la maglia dell'Italia di Vittorio Pozzo, il 13 dicembre 1931, al Filadelfia di Torino, che al 90' regalò la vittoria agli Azzurri nella sfida della Coppa Internazionale contro l'Ungheria per 3-2. Quando la palla varcò la riga di porta il cronometro segnava per l'esattezza 89 minuti e 52 secondi.

Non era il primo che il giocatore, allora venticinquenne e in forza alla Juventus, realizzava nei minuti finali di gara: qualche mese prima, sempre con la Nazionale, aveva firmato all'85' il pareggio di Berna contro la Svizzera (1-1), mentre in campionato, con la maglia bianconera, aveva chiuso al 90' i giochi nel derby piemontese contro l'Alessandria (3-0).

Accadde così che la domenica successiva, il 20 dicembre 1931, il giornalista Eugenio Danese, colui che nel 1937 avrebbe ideato la prima trasmissione radiofonica dedicata alla Serie A, coniò il termine 'Zona Cesarini' per indicare una rete segnata al 90' dal nerazzurro Visentin alla Roma, marcatura che gli valse la doppietta personale e diede il successo alla formazione milanese.

Da allora in avanti l'espressione, forse mutuata dal bridge, sarebbe stata utilizzata per definire i goal segnati nei minuti o nei secondi finali di una partita, ma anche, diventando di uso comune ed entrando ufficialmente nel Dizionario della lingua italiana, per indicare in generale un'azione provvidenziale condotta in extremis. Cesarini, senza poterlo immaginare, con quel goal all'Ungheria era destinato all'eterna memoria più che per i tanti successi ottenuti in Italia e in Argentina da calciatore e da allenatore.

In totale sono stati 5 i goal da lui firmati negli ultimi minuti. Dopo la rete che lo rese celebre, e che era stata la terza messa a segno allo scadere, nella sua carriera ne realizzò altre due: una il 20 novembre 1932 a Roma contro la Lazio (goal del definitivo 4-0 per la Juventus), e l'ultima il 19 gennaio 1933 a Torino nella goleada contro il Genova, gara terminata 8-1 in cui il 'Cè' realizzò una doppietta.

"Con questo punto, - scrisse il quotidiano 'La Stampa' il giorno seguente - ottenuto proprio dal giocatore che ha la fama di segnare allo scoccar del tempo, la partita si chiude".

Ma se è vero che i goal allo scadere gli diedero fama eterna, 'Tano', come lo chiamavano in Argentina, è stato molto di più: geniale ed estroso sul campo, bizzarro e sopra le righe fuori, grande allenatore dopo il ritiro.

Renato Cesarini Chacarita JuniorsWikipedia

DA SENIGALLIA ALL'ARGENTINA E RITORNO

Renato Cesarini nasce a Senigallia, in provincia di Ancona, esattamente nella frazione di Castellaro, l'11 aprile 1906. I suoi genitori, padre ciabattino e madre casalinga, emigrano in Argentina in cerca di fortuna quando lui ha soltanto nove mesi.

Fanno la rotta degli emigranti, Genova-Buenos Aires, a bordo del bastimento Mendoza, portandosi un rosario e uno spicchio d' aglio. Dopo un viaggio di 30 giorni si stabiliscono nel Barrio Palermo, il quartiere dei poveracci della capitale argentina. 'El Tano', come lo chiamano in sudamerica, cresce nella periferia di Buenos Aires e fin da bambino pratica il calcio nelle strade polverose della città.

Eterno sorriso dipinto sul volto, un'istintiva carica di simpatia e gran voglia di vivere, il pallone è per lui solo uno dei suoi svaghi. Ama infatti il divertimento, ma con la palla fra i piedi ci sa fare e per questo entra a 15 anni in una squadretta, la Borgata Palermo. Il talento lo porta presto all'Alvear e quindi al Chacarita Juniors, con cui debutta nella Prima divisione argentina a soli 24 anni.

'L'Italiano', altro nomignolo che gli viene dato, si impone come mezzala sinistra di talento e grazie alle sue prestazioni il 29 maggio 1926 a soli 20 anni debutta con l'Argentina contro il Paraguay. Con l'Albiceleste colleziona 2 presenze e un goal, gioca anche per un breve periodo con il Ferro Carril Oeste, per poi tornare al Chacarita e ricevere nel 1929 la chiamata della Juventus.

A caldeggiare il suo arrivo a Torino è 'Mumo' Orsi.

"Tiengo amigo muy bravo, mio amigo Cè", furono le sue parole al dirigente Mazzonis, ovvero: "Ho un amico molto forte, il mio amico Cè".

La Juventus ascolta il suo campione e offre a Cesarini quarantamila Lire di ingaggio e quattromila Lire di stipendio al mese. L'affare si chiude e Cesarini torna in Italia un pomeriggio del mese di novembre del 1929, in condizioni molto diverse rispetto a quando era partito. 

Al suo sbarco a Genova, come racconta 'Hurrà Juventus' nel numero di febbraio 1967, veste con giacca e pantaloni molto stretti, camicia rosa carico, cravatta in technicolor, sciarpa di seta, gemelli d' oro, borsalino, un piccolo cappello in testa e una valigia piena di variopinte cravatte.

Renato Cesarini Juventus

LA JUVE DEL QUINQUENNIO: SUCCESSI, BELLA VITA E MULTE

Il suo ambientamento in seno alla sua nuova squadra è immediato e totale: prima delle innegabili, ma non ancora conosciute, doti del giocatore, vengono alla ribalta le qualità dell’uomo: schietto, gioviale, arguto, generoso oltre ogni immaginazione. In pochi giorni 'Il Cè' diventa l’amico di tutti e il beniamino dell’allenatore juventino, lo scozzese mister Aitken, l’uomo che per primo aveva portato in Italia gli elementi tecnici del Sistema e che tentava di insegnarlo ai bianconeri.

I primi mesi a Torino sono entusiasmanti per l'elevato rendimento: destro fatato e ciuffo ribelle, Cesarini rileva Cevenini III nel ruolo di mezzala sinistra e segna 10 goal in 16 gare, dimostrando al Barone Mazzonis che la Juventus aveva speso bene i suoi soldi. Debutta in Serie A in trasferta a Napoli (Napoli-Juventus 2-2) e presto impone in campo la sua legge, dando un contributo importante ai 5 Scudetti consecutivi vinti dal 1930 al 1930 dai bianconeri, passati sotto la guida di Carlo Carcano.

In tutto colleziona 147 partite e 53 goal fra Serie A e Coppa dell'Europa Centrale, la Champions League dell'epoca, nella quale nel 1932 si laurea anche capocannoniere con 5 reti. Probabilmente avrebbe potuto anche vincerla se nella semifinale di ritorno con lo Slavia Praga un lancio di pietre in campo da parte dei tifosi italiani per l'atteggiamento ostruzionistico dei cechi non avesse portato alla squalifica di entrambe le squadre da parte del Comitato organizzatore, spianando la strada al successo del Bologna.

"Non ho mai più visto nessuno come lui, né in Italia, né all'estero. - disse di Cesarini il leggendario terzino Virginio Rosetta a 'La Stampa' - Era solido e scaltro, robusto e intelligente, il suo numero di maggior spicco era il colpo di testa. Riflessi fulminei, un'allegria contagiosa, una generosità senza limiti. Una volta a Praga, in un match di Coppa, Cesarini entrò duro contro la mezzala dei rivali e l'allenatore dei cecoslovacchi si gettò nella mischia, brandendo minacciosamente una bottiglia. Logico che intervenissi per difendere Renato, ma l'ala sinistra degli altri tentò di aggredirmi alle spalle. Non ebbi bisogno di cercar riparo, come mi voltai l'ala sinistra era a terra, punita da Renato». 

Se in campo il rendimento del 'Cè' è elevato, e quando è in giornata mette in crisi gli avversari, fa discutere invece la sua vita fuori dal rettangolo di gioco, visto che l'italo-argentino non rinuncia alla bella vita: adora i locali notturni, l’eleganza, le carte da gioco, le donne di classe, lo champagne. E si sente a suo agio in smoking come in maglietta e pantaloncini.

Cambia camicia tre volte al giorno, dorme in lenzuola di seta, fuma quotidianamente un pacchetto di sigarette, sostiene di imparare l'italiano dalle maitresse e apre una tangheria in piazza Castello, con due orchestre e i musicisti vestiti da gauchos, sopra il Bar Combi, che apparteneva alla famiglia del portiere bianconero. La sera va lì a suonare e a ballare. Logico che con una vita così sregolata si becchi tante multe, ma le paga regolarmente, al limite facendosele scontare.

Juventus 1931/32 Serie AWikipedia

Sovente fa tardi agli allenamenti, giocando a poker fino all'alba, becca multe, le paga, se le fa anche un po' scontare, ma non rinuncia alla sua vita di divertimenti, sostanzialmente infischiandosene dello stile che il presidente Edoardo Agnelli e lo stesso Mazzonis cercano di inculcargli.

Raccontano che una volta Agnelli lo abbia trovato in un ristorante in orario di allenamento. Il numero uno bianconero gli fece mandare allora una bottiglia di champagne dal cameriere, per ricordargli chi era che comandava. Cesarini, in tutta risposta, gliene rimandò cinque, con tanto di biglietto profetico: "Domani vinciamo e segno". Avrà ragione lui.

Celebre è poi il fatto che per un periodo girasse per Torino con una scimmietta sulle spalle. In pochi però sanno la vera storia dell'animale:

"Un giorno per strada Cè incontrò un poverello che sbarcava il lunario vendendo i pianeta della fortuna, - racconterà Rosetta a 'La Stampa' - e che aveva con sé un pappagallo e una scimmietta. Renato, senza batter ciglio, comprò le due bestiole. Al pappagallo insegnò qualche nota del ritornello di 'Tripoli, bel suol d'amore', e fu poi costretto a disfarsene con una certa urgenza per le proteste di chi non apprezzava di esser svegliato nel cuore della notte dalle esibizioni canore di Loreto. La scimmia, invece, aveva preso l'abitudine di sedersi alla finestra e di bombardare i passanti con quanto le capitava sotto mano. Finché un giorno intervennero le guardie. Cesarini allora andò in giro per una settimana, finché non trovò il vecchietto, primo padrone della scimmia. E gliela ridiede con le lacrime agli occhi".

In un'altra occasione, scommette con Orsi che la Juventus avrebbe rimontato l'Ambrosiana-Inter nel giro di qualche settimana. Ancora una volta la sua previsione si realizza e i due devono rasarsi i capelli a zero. 'Mumo' manda avanti l'amico, salvo poi rifiutare il taglio, beffando il povero Cesarini, che nella partita con il Brescia, essendo estate, è vittima di un leggero collasso per un'insolazione.

ORIUNDO IN NAZIONALE

Oltre che con la Juventus, il Cè indossa per 11 volte anche la maglia della Nazionale italiana, dove può militare come oriundo, e segna 3 reti, fra cui due, come si è detto, nei minuti finali, che lo consegneranno alla gloria. Ma il rapporto con il C.t., Vittorio Pozzo, è da subito molto difficile per gli eccessi del ragazzo di Senigallia. Un aneddoto che ha quasi dell'incredibile lo racconta il compagno di squadra Luigi Bertolini:

"Si doveva affrontare la Spagna a Bilbao, durante una tournée nella penisola iberica. - racconterà il centrocampista - Furoreggiava a quel tempo, nelle file spagnole, una mezzala di nome Cirri. Era una specie di Del Sol e Suárez messi insieme. Vittorio Pozzo, che era solito rifuggire dai ripieghi tattici e dagli accorgimenti difensivi, meditò la maniera di annullare la mente della squadra spagnola piazzandogli alle costole Cesarini con il compito di non perderlo mai di vista, di marcarlo a distanza ravvicinata. 'Dove lui va, tu devi andare', disse il Commissario tecnico a Renato".

"Cesarini rispettò le direttive, cancellando dalla gara il pur valido Cirri. Ma lo fece in un modo così deprimente per lo spagnolo che Cirri che, a un quarto d’ora dal termine, con i nervi a pezzi, lasciò volontariamente il terreno di gioco. E Cesarini gli andò appresso, fra lo stupore di tutti, seguendolo negli spogliatoi. Pozzo, annichilito, a fine gara tentò di rimproverare Cesarini con una certa durezza, ma ne venne disarmato da quel matto di Renato, che replicò con angelico candore: 'Quando una sentinella ha una consegna, deve rispettarla fino in fondo' ". 

Pozzo non ama troppo le sue bizze e la natura ribelle, e anche per questo la sua avventura in Nazionale si chiude l'11 febbraio 1934, senza la gioia di partecipare ai Mondiali vittoriosi del 1934.

IL RITORNO IN ARGENTINA

Cesarini, di per sé intollerante alle regole ferree, mal sopporta la durezza crescente del regime fascista, ed è fra i pochi giocatori che si rifiutano apertamente di fare il saluto romano. Concluso il quinquennio d'oro della Juventus, decide, come altri oriundi, di far ritorno in Sudamerica, consapevole di non poter più indossare la maglia azzurra. Milita ancora nel Chacarita, poi chiude a 31 anni nel River Plate, dove con Peucelle, Bernabé Ferreyra, Moreno e Pedernera, forma un quintetto d'attacco di livello assoluto.

Renato Cesarini River Plate 1943Wikipedia

'LA MAQUINA' DEL RIVER E IL DOUBLE CON LA JUVENTUS

Due anni dopo il ritiro dalle scene, intraprende la carriera da allenatore e guida per cinque anni, fino al 1944, proprio i Millonarios, dei quali diventa una sorta di istituzione. Cesarini fa giocare alla squadra un calcio innovativo, precursore, in un certo senso, del calcio totale che l'Olanda praticherà negli anni Settanta. È la cosiddetta Maquina, basata su una variante del WM e su 5 giocatori offensivi: le due mezzali Labruna e Moreno, le ali Muñoz e Loustau, e quello che fu il primo finto nove della storia, Adolfo Pedernera.

A conferirgli l'appellativo di Maquina fu il giornalista sportivo Borocotó, uruguaiano di nascita, che dopo la gara con il Chacarita Juniors scrisse su El Gráfico:

"I ritmi, il buon allenamento, il morale di cui è dotata la squadra e il valore individuale dei suoi componenti, tutto ha contribuito perché il River di oggi dia la sensazione d'essere una macchina".

La squadra, guidata dal Cè, vince 2 campionati argentini consecutivi, nel 1941 e nel 1942. Cesarini è ribattezzato 'La Bibbia del Calcio'. Nel 1946, finita la Seconda Guerra Mondiale, decide di tornare in Italia nella sua Juventus. Sono però gli anni del Grande Torino, una squadra troppo forte per chiunque, e così deve accontentarsi di due secondi posti. È lui a far esordire in Serie A, nel 1947, Giampiero Boniperti.

Va di nuovo in Argentina, per allenare Banfield e Boca Juniors, ma il richiamo del River è troppo forte e così torna ai Millonarios nel 1950, diventando tecnico delle Giovanili e lavorando con i futuri talenti. Fra gli altri scopre Omar Sivori, trovando in lui il figlio che non aveva, come del resto 'El Cabezón' vedeva un padre putativo oltre che un allenatore.

"Ragasso, la pelota te la devi portare anche nel letto", gli dice spesso.

Nel 1958 fa il suo terzo ritorno in Italia, allenando il Pordenone in Serie C. Ma il richiamo della Juventus è troppo forte: così nel 1959 affianca Carlo Parola nelle vesti di Direttore tecnico della squadra. In due stagioni, nelle quali torna ad allenare Sivori, ed è l'unico a riuscire a gestirlo al meglio, conquista 2 Scudetti e una Coppa Italia, cogliendo il primo 'Double' della storia bianconera nel 1960/61.

"Cesarini era la persona più competente che ci fosse al mondo in fatto di calcio", sosteneva, e lo chiamava 'Maestro'.

Fa una breve esperienza al Napoli, poi va in Messico per guidare dal 1962 al 64 i Pumas UNAM. Allena infine la Nazionale argentina nel 1967/68. Ma l'ex mezzala sta male. Gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Subisce così un delicato intervento chirurgico alla testa. 

Chi lo aveva incontrato negli ultimi tempi diceva che 'Tano' ripeteva spesso:

"Missione compiuta".

Ancora una volta le sue saranno parole profetiche. Sebbene i medici siano moderatamente ottimisti sulle possibilità di ripresa, un'embolia cerebrale, la notte del 24 marzo 1969, se lo porta via per sempre all'età di 62 anni nella sua casa di Buenos Aires. Le sue spoglie mortali saranno sepolte nel cimitero bonarense della Chacarita, che prende il nome dal rione nel quale ha sede il club nel quale Cesarini diventò una stella del calcio mondiale.

Ma la fama dell'unico giocatore che ha dato il nome ad un lasso temporale ed è diventato un modo di dire, resterà immutata nei decenni a venire, oltrepassando il millennio. In tanti usano ogni giorno, ancora oggi, l'espressione Zona Cesarini, rinnovando, spesso inconsapevolmente, la memoria dell'estroverso italo-argentino e delle sue imprese.

"Cesarini, quello della zona Cesarini, proprio lui - scriverà lo scrittore Alessandro Baricco nel 2015 -: quando dai il tuo nome a un pezzetto di Tempo - il quale è solo di Dio, dice la Bibbia - qualcosa nella vita lo hai fatto".

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