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I quattro anni di Mihajlovic all'Inter: giocatore e allenatore in seconda di Mancini

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Ogni giocatore ha delle caratteristiche, il proprio cavallo di battaglia da sfoggiare con orgoglio come un Rolex d'oro ad una serata di gala: quello di Sinisa Mihajlovic lo conosciamo tutti, ossia il calcio di punizione, di cui negli anni è diventato uno degli specialisti più illustri resistendo anche alla freschezza tecnica delle nuove leve, incapaci (Andrea Pirlo e pochi altri a parte) di tenere il passo realizzativo del mago serbo.

Non è affatto un caso, quindi, che le sei reti con la maglia dell'Inter Mihajlovic le abbia segnate tutte su punizione, entrando nel cuore dei tifosi nerazzurri in poco tempo e soprattutto a fine carriera, quando le sirene del ritiro sembravano aver messo in secondo piano la sua immensa classe: invece il livello è sempre rimasto lo stesso, garantendo ai meneghini un rendimento d'élite nonostante le tante primavere.

Di anni Mihajlovic ne ha 35 quando, nel 2004, chiude il ciclo vincente alla Lazio iniziato nel 1998 con Sven-Göran Eriksson in panchina e costellato di trofei, sette per l'esattezza: uno Scudetto, due Supercoppe italiane, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea. Insomma, il pedigree del vincente e di chi non deve più dimostrare nulla al grande pubblico, che già conosce a fondo la caratura tecnica del giocatore.


Un biglietto da visita più che soddisfacente da presentare ai cancelli della Pinetina, dove ad accoglierlo trova l'ex compagno di mille battaglie - e grande amico - Roberto Mancini, da poco tempo scelto da Massimo Moratti per riportare l'Inter ai fasti passati. Probabilmente è proprio il 'Mancio' a 'consigliare' al patron l'acquisto di Mihajlovic, il rinforzo perfetto che abbina la qualità all'esperienza: una mossa del genere si verificherà un anno più tardi con la firma dell'attempato - ma non per questo 'bollito' - Luis Figo, ma questa è un'altra storia.

Intorno a Mihajlovic si forma un alone di mistero, dettato soltanto dai dubbi su un fisico messo a dura prova da qualche infortunio precedente: nessun dubbio, ovviamente, sull'esplosività di un mancino che non sarebbe sbagliato considerare patrimonio del calcio italiano ed europeo, valevole - da solo - il prezzo del biglietto di una partita. Poiché d'altronde, come le grandi opere d'arte, anche le pennellate d'autore su un campo da calcio hanno il loro prezzo.

Mihajlovic conosce benissimo il suo status all'interno della rosa interista, quello di riserva di lusso pronta eventualmente a dare il proprio contributo quando il gioco si fa duro. La prima Inter di Mancini è affetta da una rarissima 'pareggite' (sette 'X' di fila in campionato tra ottobre e novembre 2004) e a volte serve il sinistro del serbo per sbrogliare la matassa: il primo goal arriva a San Siro nel 2-2 contro il Bologna, il secondo regala tre punti d'oro a ridosso di Natale al cospetto del Brescia.

Mihajlovic Inter 2004/05Getty

Il 'Meazza' ha da poco iniziato a fare diretta conoscenza con la balistica di Mihajlovic, esternata in tutta la sua massima espressione la sera del 12 febbraio 2005: a Milano arriva la Roma, sua ex squadra e avversaria in tanti derby con la maglia della Lazio, oltre che vittima preferita assieme all'Udinese. Il giallo e il rosso, evidentemente, sono due colori che in Mihajlovic suscitano uno scoppiettio di cariche motivazionali, la nota 'molla' pronta a scattare nella mente di un atleta.

Processo che spalanca orizzonti di sconfinata onnipotenza calcistica, destinati a rimanere impressi nella corteccia cerebrale dei possessori di un palato finissimo, ai quali non resta che alzarsi in piedi e, magari, sfilarsi anche il cappello. I tifosi dell'Inter, quella sera, avranno pensato di comprarsene uno appositamente per questo motivo, per omaggiare il talento innato di Mihajlovic che 'buca' Pelizzoli per due volte: la prima da posizione quasi impossibile - non per lui - per un mancino, la seconda allo scadere e sfruttando anche la negligenza di una barriera troppo 'leggera'.

Di quella gara, ancora oggi, si ricorda però il siparietto andato in scena con Adriano, protagonista di un 'pari e dispari': oggetto del contendere un altro calcio di punizione, conquistato proprio dal brasiliano grazie ad un fortunato gioco di dita. Col senno di poi, e considerato l'esito, possiamo tranquillamente affermare che per l'Inter sarebbe stata meglio una vittoria di Mihajlovic, vicino alla clamorosa tripletta da palla inattiva (impresa già riuscita ai tempi della Lazio).

Un successo importante per l'Inter, che chiude il campionato al terzo posto alle spalle di Juventus e Milan e si assicura la qualificazione ai gironi di Champions League: prima di andare in vacanza, però, c'è la grande occasione di concludere la stagione con la vittoria di un trofeo, il primo dopo sette lunghi anni di digiuno. La circostanza è la doppia finale di Coppa Italia, ironia della sorte ancora con la Roma tra i piedi.

L'andata finisce 0-2 in favore dell'Inter, trascinata dalla doppietta di un Adriano in formato 'Hulk': risultato vantaggioso in vista del ritorno, dove basterebbe anche perdere con una rete di scarto per alzare la coppa al cielo di San Siro. Ma perché rischiare se in squadra si hanno campioni come Mihajlovic, che con la Roma sembra avere un conto in sospeso? Osservazione più che legittima, che Mancini avrà fatto notare ai suoi ragazzi nella marcia d'avvicinamento alla gara: "Se c'è una punizione, la batte Sinisa", frase fittizia o forse no.

Al minuto 52 il risultato è ancora fermo sullo 0-0 e alla Roma di Bruno Conti serve necessariamente un goal per alimentare la speranza di una complicata, quanto clamorosa, rimonta; a tormentare i pensieri del tecnico giallorosso vi è però una punizione da distanza abbastanza siderale, 30 metri più o meno, che Mihajlovic si contende con un altro specialista, Julio Cruz: 'contende' forse è una parola grossa, perché l'argentino finta soltanto di andare al tiro, lasciando l'onere al compagno che esplode il mancino.

Stavolta niente 'bim bum bale giù!' con l'assente Adriano: la traiettoria piega le mani di Curci che respinge debolmente e sul palo interno, col pallone che rotola nell'unico posto possibile, ovvero in rete. La Curva Nord e lo stadio intero sono in visibilio per la prodezza che sigilla il trionfo dell'Inter e spezza il digiuno, che nel caso della Coppa Italia durava da ben 23 anni: la stagione, nata con aspettative diverse per quanto riguarda Serie A e Champions League, può dirsi salva.

L'annata seguente sarà anche l'ultima di Mihajlovic con gli scarpini tra i piedi, più complicata dal punto di vista personale ma non meno memorabile: l'8 aprile 2006 regala il successo all'Inter sul campo dell'Ascoli e - a 37 anni, un mese e 19 giorni - diventa il marcatore più anziano della storia nerazzurra, primato poi sottratto da Javier Zanetti nella stagione 2010/11. A maggio ci sarà la seconda Coppa Italia consecutiva (senza il serbo in campo negli ultimi due atti) contro la solita Roma, e in estate la giustizia sportiva regalerà a Mihajlovic il suo secondo Scudetto dopo quello con la Lazio. Il quadro del palmares nerazzurro è completato dalla Supercoppa italiana vinta nel 2005 ai danni della Juventus.

Mancini Mihajlovic Moratti InterGetty

Il futuro di Sinisa è comunque già tracciato e porta alla panchina, assist perfetto per Mancini che dal 1° luglio 2006 se lo ritrova in veste di allenatore in seconda, l'occasione perfetta per porre le basi di quella che si sarebbe poi rivelata una fruttuosa carriera da solista. Agli ordini del 'Mancio', quella estate, ci sono anche Patrick Vieira e Zlatan Ibrahimovic, strappati a prezzo di saldo alla Juventus appena retrocessa in B dopo lo scandalo si Calciopoli: entrambi possono considerarsi dei 'nemici' sportivi di Mihajlovic, che con loro ha avuto degli screzi passati alla storia.

Dagli insulti reciproci col francese in un Lazio-Arsenal del 2000 al contatto fin troppo ravvicinato con lo svedese in un Juventus-Inter della stagione precedente: le premesse non sono incoraggianti, ma l'esperienza insegna che mettere da parte l'acredine a volte è la cosa migliore da fare per il bene del gruppo, proprio ciò che i tre protagonisti mettono in atto. Ed effettivamente l'Inter vola fin dalle prime giornate in testa alla classifica, dove rimarrà fino alla fine col punteggio record, per il club, di 97 punti, 22 in più rispetto alla Roma seconda.

L'idillio rischia di rompersi irrimediabilmente soltanto al termine del leggendario Milan-Inter 3-4 di fine ottobre: Vieira si fa male alla caviglia e chiede il cambio alla mezz'ora del primo tempo, ma Mancini gli chiede di stringere i denti a causa di un problema occorso anche a Ibrahimovic; il francese resta in campo dolorante fino al triplice fischio quando, mentre tutti gli altri festeggiano, si becca con Mihajlovic strattonandolo e urlandogli un "vaffa" che non ha bisogno di tante spiegazioni.

Residui di vecchie ruggini gettati prontamente nel dimenticatoio, con lo scopo di preservare un gruppo che, anche senza Mihajlovic a calciare le sue proverbiali punizioni, proseguirà un ciclo vincente culminato con il trionfo in Champions del 2010: due anni dopo l'addio di Sinisa, coinciso con la fine del rapporto tra Moratti e Mancini, spinta ulteriore per dare il via ad una carriera in proprio e che lo ha spesso portato ad essere accostato alla panchina dell'Inter, vissuta - almeno per ora - soltanto all'ombra dell'amico di sempre.

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