GOAL16 aprile 2010, 20 aprile 2010. Sono i due momenti chiave di un'annata registrata nella memoria del calcio, nei secoli dei secoli. Due battiti racchiusi in quattro giorni. Inter-Juventus 2-0, Inter-Barcellona 3-1. L'Inter che si tiene faticosamente stretta la testa della classifica di Serie A, poi sfida col petto in fuori il Barça dei fenomeni e si impone anche lì, prendendosi un pezzettino di finale di Champions League. Maicon Sisenando Douglas, probabilmente, non immagina di poter essere decisivo in entrambe quelle serate. O almeno: non immagina di poter essere così decisivo. Eppure segna una rete e poi ne segna un'altra, entrambe rivestite del valore del platino. L'apice di una carriera vissuta costantemente a mille all'ora.
Quel sombrero su Amauri non l'ha dimenticato nessuno. Quel controllo col ginocchio, nemmeno. E figuriamoci quel destro al volo sparato dritto nella porta di Gigi Buffon. “Il mio goal più difficile – l'ha definito Maicon – arrivato in un momento decisivo della stagione”. Già. E poi il bis al Barcellona di Zlatan Ibrahimovic, il grande ex, salpato per la Catalogna per trionfare anche in Europa ma – ahilui – sempre nel posto giusto al momento sbagliato. Perché il Triplete il Barça lo ha messo in fila 12 mesi prima, ma quello è l'anno dell'Inter. Di Mourinho, di Milito, di Sneijder, di Eto'o. E di Maicon, il Colosso.
In totale sono 248 le presenze del brasiliano con la casacca dell'Inter. Una ventina le reti realizzate. Parecchie per uno che di mestiere dovrebbe tenere d'occhio una piccola fetta di difesa. Una la mette a segno al Milan nell'indimenticabile 4-0 del settembre 2009, il derby in cui il nuovo acquisto Sneijder viene frettolosamente schierato da Mourinho e detta legge. Un'altra, sempre al Milan, un paio d'anni dopo nel 4-2 che regala il primo Scudetto alla Juventus di Conte: Maicon parte dalla propria metà campo, abbassa la testa, si ingobbisce e sorprendentemente fa partire un missile che si incastra sotto l'incrocio rossonero. Se quello con la Juve è stato il suo goal più difficile, questo lo ha definito “il più bello, perché è raro vedere un tiro del genere”.
GettyÈ raro anche che uno si chiami come si chiama lui: Maicon Douglas. Più o meno come Michael Douglas, l'attore. La leggenda narra che i suoi, quel giorno all'ufficio anagrafe, calchino volutamente sull'assonanza con Michael per avere un pezzetto di Hollywood in casa. “Una gran cavolata”, ha detto Maicon anni fa alla 'Gazzetta dello Sport', rovinando una bella storia con la verità. Non è una leggenda, invece, il fatto che il futuro terzino rischi la vita quando ha solo 10 anni, centrato in pieno da un'auto davanti alla propria abitazione. Rimedia una frattura a una gamba, viene portato in braccio dal padre Manoel perché la famiglia non può permettersi un paio di stampelle o una sedia a rotelle. La medesima sorte era toccata al fratello Elton molti anni prima, quando Maicon non era ancora nato: lui no, non ce l'aveva fatta.
È una storia di vita che pian piano si va a intrecciare con quella calcistica. All'inizio, Maicon pare uno come tanti altri. Effettua un provino col Grêmio, che lo scarta perché - udite udite - è troppo magro: altre lacrime, altro scoramento. “Pensavo che la mia carriera fosse già finita”. Non è così, perché lo chiama il Criciúma, allenato da papà Manoel: "Pingo", ovvero goccia, come lo chiamano in famiglia per la sua corporatura minuta, gioca nelle giovanili e viene spostato dalla trequarti alla fascia destra della difesa. Lo nota il Cruzeiro, che ben presto lo fa esordire in prima squadra. Conquista il campionato del 2003 (100 punti in 46 partite), ma fa la riserva di Maurinho così come il collega Maxwell lo è di Leandro sulla corsia opposta. Nessuno può ancora immaginare chi e cosa diventeranno i due di lì a pochi anni.
Maicon diventa titolare nella stagione successiva, gioca in Libertadores, viene convocato dal Brasile di Carlos Alberto Parreira. E alza la Copa America di Lima al termine di un'epica finale contro l'Argentina, quella in cui la nazionale di Bielsa trova il 2-1 all'87' ma viene ripresa nel recupero da una girata letale di Adriano, prima di essere definitivamente superata ai calci di rigore. Maicon si prende il posto a competizione in corso, perché all'inizio il lateral direito titolare è Amantino Mancini. Che però è un esterno offensivo e in difesa proprio non può starci. Sono forse le settimane più importanti della carriera di Maicon, che vede finalmente decollare la propria carriera. Perché nel frattempo lo chiama il Monaco, che ha appena perso una finale di Champions League. Il ragazzo scampato a un incidente, che pensava di aver già chiuso col calcio a 15 anni, salpa per l'Europa.
Non finisce qui, perché Maicon nel Principato rimane appena due anni. Il tempo di crescere, crescere, crescere. Sceglie il numero 13, perché “in Francia dicono che porti sfortuna e io volevo dimostrare che non era vero”. Impara nozioni tattiche prima con Didier Deschamps e poi, dopo l'esonero dell'attuale commissario tecnico francese, con Francesco Guidolin. Il tecnico di Castelfranco Veneto punta su di lui, lo corregge nei movimenti difensivi. Anni dopo il brasiliano dira: “Mi ha insegnato tanto, mi è rimasto nel cuore”. Anche se, come rivelato dal figlio di Guidolin, “mio padre non pensava che potesse diventare così forte”.

Poi, ecco l'Inter. Ecco la svolta. Maicon arriva nell'estate del 2006, quella in cui gli equilibri del calcio italiano stanno cambiando, in cambio di 6 milioni di euro. Pochissimi. Sbarca in Italia in sordina, perché le attenzioni sono tutte per gli altri tasselli di quello squadrone che Massimo Moratti, sfruttando anche la caduta in B della Juve, sta costruendo. Ibrahimovic, Vieira, il campione del mondo Grosso. Maicon, invece, in Germania neppure c'è stato. Inizialmente a destra gioca Javier Zanetti. Ma Mancini comprende immediatamente le potenzialità di questo brasiliano dal costo ridotto e dal rendimento elevatissimo. Lo schiera una volta, due volte, poi non lo toglie più dal campo. Spostando Zanetti altrove: a sinistra, a centrocampo. È la seconda Inter dei record dopo quella del Trap: macina punti, vince 17 volte di fila (primato storico), mette in bacheca uno Scudetto che mancava da quel lontano 1989, se si vuol evitare di tenere in considerazione quello assegnato a tavolino l'anno prima.
In quegli anni ruggenti, Maicon è il Frecciarossa che non fa fermate. Mai. È il Forrest Gump che corre, corre, corre e ancora corre. È Beep Beep che scappa da Willy il Coyote. Solo che teoricamente Willy il Coyote dovrebbe essere lui, e non l'esterno che gli deve faticosamente star dietro. Anche quando segna, a volte continua a correre come se una forza misteriosa lo spingesse a non arrestarsi mai, neppure per esultare. San Siro s'inventa un coro e lo urla durante ogni partita: “Quanto è forte Maicon/quanto è forte Maicon”. Nella sua prima stagione italiana trova la rete due volte, ma gli assist sono ben sette, replicati nel 2007/08. Cross precisi e potenti, botte micidiali da fuori, corsa e pure un buon apporto difensivo: nel suo repertorio c'è di tutto e un po' di più.
Sono lui e Dani Alves a contendersi il titolo di miglior terzino destro del mondo. Il collega del Barcellona comanda nella Seleção, forte anche del prestigio di giocare nella macchina da guerra di Pep Guardiola, ma Maicon dà continuamente spettacolo. Nel 2008, nei mesi in cui si sostiene la candidatura al Pallone d'Oro dello straripante Zlatan Ibrahimovic versione nerazzurra, Massimo Moratti va oltre dicendo che “ci sono altri giocatori in lista, per il loro rendimento costante e per il talento formidabile che possiedono, come Maicon”. Il brasiliano dovrà accontentarsi del diciassettesimo posto del 2010, l'apice della sua carriera, l'anno nel quale disputerà il suo primo Mondiale in Sudafrica, con tanto di incredibile goal da fondo campo contro la Corea del Nord.
José Mourinho, l'uomo che prende le redini dell'Inter nel 2008 e in due anni la condurrà sul tetto d'Europa, stravede per lui. Quando emigrerà al Real Madrid, un secondo dopo il trionfo contro il Bayern, il primo a cui penserà sarà proprio Maicon. Che nel biennio col portoghese gioca sempre e raramente riposa. Il Colosso è regolarmente in campo anche a Siena, il 20 dicembre del 2008. Quella sera fa tutto lui: una rete nel primo tempo, un'altra nel finale. Dopo il guizzo decisivo, esulta togliendosi la maglia e festeggiando a petto nudo sotto lo spicchio di sostenitori nerazzurri. Mou si stacca dalla panchina e corre a far festa, come aveva fatto qualche anno prima col Porto all'Old Trafford. Raggiunge Maicon, lo abbraccia furiosamente. Ma è una scena che cela ben altro, come racconterà a 'DAZN' lo stesso Mourinho.
“Mi dicevano che Maicon prendeva sempre il quinto giallo per essere squalificato prima di Natale e andare in vacanza in Brasile. Sono andato da lui e gli ho detto che se fosse stato ammonito non sarebbe andato in vacanza. Io non sono un pirla... Lui mi ha detto: e se segno posso andare? No, solo se ne fai due. Ha fatto doppietta, si è fatto ammonire per essersi tolto la maglietta ed è andato in vacanza. Ha anche avuto una settimana in più”.
Getty ImagesPoi c'è chi va oltre. Come Ianis Zicu, meteora che dal 2003 al 2007 è di proprietà dell'Inter ma colleziona una manciata di presenze solo col Parma, nonostante la nomea di “nuovo Hagi” o “nuovo Mutu”. Tra un prestito e l'altro, i cancelli della Pinetina li varca pochissime volte. Ma nel 2017 spara:
“Nell’Inter di Mourinho c’era un giocatore che spesso si presentava ubriaco all’allenamento del lunedì: era Maicon. Mourinho chiamò tutti i ragazzi e chiese loro cosa si poteva fare. Allora si decise di spostare l’allenamento dalla mattina alla sera affinché Maicon avesse il tempo per recuperare. Sono cose che in una squadra possono capitare”.
“Non so nemmeno chi sia Zicu, non l'ho mai visto e non ho mai giocato con lui all'Inter - è la risposta immediata e seccata di Maicon - Per questo non capisco il perché di queste accuse, forse per ottenere un po' di notorietà. Non è assolutamente vero nulla di tutto ciò, non sono mai arrivato ubriaco agli allenamenti. Se davvero fosse stato così non avrei mai vinto tutti quei trofei con la maglia nerazzurra".
Dopo l'Inter, la parabola di Maicon inizia ad assumere una fase discendente. Trattenuto nel 2010 nonostante la corte serrata del Real di Mou (ma un anno dopo dirà: “Non ho mai pensato di andarmene” ), il Colosso vive le stagioni dell'inesorabile declino post Triplete. Fa il suo, nel 2012 segna di nuovo alla Juve, ma l'ambiente è cambiato. Così in quella stessa estate se ne va al Manchester City di Mancini, campione d'Inghilterra in carica, per la modica cifra di quattro milioni di euro più altri due di bonus: pare l'affare del secolo per gli inglesi, si rivelera un flop totale anche a causa di un serio infortunio a un ginocchio. Tanto che più di un sito inglese lo inserisce di diritto tra i dieci, o venti peggiori acquisti dell'era Mansour. A fargli compagnia, gente dimenticata come Wilfried Bony o Eliaquim Mangala.
Un anno dopo sbarca alla Roma a costo zero, tra l'entusiasmo generale di chi non ha mai dimenticato le sue galoppate milanesi. Appena arrivato, dice che “la Roma ha una tifoseria particolare, più appassionata delle altre”. Con Rudi Garcia in panchina, è un fiorire di vittorie: dieci di fila nelle prime dieci giornate del 2013/14. Ma lo Scudetto andrà ancora una volta alla Juventus. Come l'anno dopo, e l'anno dopo ancora. Maicon parte bene, nella prima stagione nella Capitale gioca 28 volte, poi si spegne a poco a poco. Ha superato la trentina, gli scatti non sono più quelli di una volta. Ha ormai capito che il grande calcio inizia a non fare più per lui.
Nel 2016 gli scade il contratto, ma la Roma gli consente di allenarsi con i suoi vecchi compagni in attesa di una nuova sistemazione. Che arriva, però soltanto un anno dopo. Maicon torna a Florianópolis, dove aveva giocato col Criciúma, ma stavolta per indossare la maglia dell' Avaí. Esordisce con due autoreti nella stessa partita (!) e non brilla. Poi di nuovo il Criciúma, in Serie B. E infine quel bizzarro ritorno in Italia, chiamato dai veronesi del Sona accanto al cantante Enrico Ruggeri. L'operazione marketing non va esattamente a buon fine e Maicon riempie nuovamente le valigie dopo meno di sei mesi: va al Tre Penne, San Marino. Che lo annuncia in pompa magna: “Il colosso è tornato in Europa”. Gioca i preliminari di Champions League, ma viene eliminato subito. Scampoli finali di una carriera vissuta a mille all'ora. Capolinea arrivato a luglio 2021: il Frecciarossa della fascia destra, ha percorso gli ultimi chilometri.




