"Molti portieri ti fanno vincere la partita, e Peter ce ne ha fatte vincere più di qualsiasi altro (Ryan Giggs)".
Chi fra gli attaccanti se lo è trovato di fronte da avversario difficilmente se lo è dimenticato. Per qualcuno ha rappresentato un incubo. Il grande Marco Van Basten gli ha dedicato addirittura un capitolo della sua autobiografia, 'Fragile'. Basterebbe questo per capire la grandezza di Peter Schmeichel.
Il portierone danese è stato uno dei migliori interpreti nel suo ruolo del secolo scorso, e se si eccettuano i rispettivi titoli Mondiali, fra club e Nazionale ha vinto praticamente tutto, scrivendo una pagina di storia del calcio danese con la conquista a sorpresa degli Europei nel 1992.
A livello di club i suoi anni migliori gli ha vissuti in Inghilterra con la maglia del Manchester United, club del quale è diventato una vera icona e cui ha dato un apporto determinante in una stagione di grandi successi. Nella sua carriera, a dispetto di una stazza notevole, è riuscito anche a segnare 11 goal: di testa, al volo, su rigore e in acrobazia.
DAGLI ESORDI ALL'AFFERMAZIONE NEL BRØNDBY
Peter Schmeichel nasce a Søborggård, nella municipalità di Gladsaxe, in Danimarca, il 18 novembre 1963. È figlio di Antoni, jazzista polacco, e Inger, un'infermiera danese. I genitori, che si erano conosciuti per motivi di lavoro nel porto di Gdynia, decidono di mettergli anche un secondo nome, quello di suo bisnonno Bolesław.
Trascorre l'infanzia a Buddinge, nei pressi di Copenaghen, e per i primi 6 anni ha così una doppia nazionalità, ma in seguito mantiene esclusivamente quella danese. L'amore di Peter per il ruolo del portiere è precoce, dato che a 8 anni inizia a giocare con la squadra locale dell' Hoje Gladsaxe e ricopre da subito il ruolo di estremo difensore.
Nella sua autobiografia spiega di non ricordarsi il reale motivo, supponendo che forse sia stato il suo allenatore a relegarlo fra i pali per contenerne in un certo qual modo l'estrosità. Ci riuscirà però solo in parte, visto che fin da subito si capisce che quel ragazzone che arriverà ad essere alto un metro e 93 centimetri per un peso che oscillerà fra i 96 e i 103 chilogrammi, fin da giovanissimo spicca, oltre che per le sue parate, per la capacità di comandare la difesa.
"Dirigevo, urlavo, avvisavo i giocatori, li spostavo da una posizione all’altra […] - scriverà nella sua autobiografia 'Schmeichel: The Autobiography' - cercando di coprire gli spazi vuoti ancora prima che si determinassero".
Grazie alle sue qualità, la sua squadra per 2 anni non subisce reti, e così Peter è ingaggiato dal BK Hero, società che vantava uno dei migliori Settori giovanili della Danimarca. Qui fa tutta la trafila e completa la sua formazione. Nel 1979 il club, in seguito alla fusione con il Gladsaxe BK diventa Gladsaxe-Hero BK. In panchina della Prima squadra arriva Svend Aage Hansen, un incontro che si rivelerà molto importante per Peter sotto tanti aspetti (diventerà anche suo futuro suocero).
In quelli anni Peter, prima di diventare professionista, gioca a calcio e lavora: dapprima in una fabbrica di tessuti, poi come addetto delle pulizie in una casa di riposo, quindi come responsabile vendite di una ditta di pavimenti.
Hansen, sul finire della stagione 1980/81, con il Gladsaxe-Hero ormai retrocesso in Terza Serie danese, decide di far esordire in Prima squadra a tre giornate dalla fine del torneo il diciasettenne Schmeichel contro l'IF Skjold Birkerød. A vincere sono questi ultimi per 1-0, ma Peter gioca una buona gara e l'indomani si guadagna gli elogi dei giornali.
Il portiere è convinto dal suo mentore a restare per altri due anni, rifiutando anche una proposta del B 1903. Grazie alle buone prestazioni nel 1983 passa in Prima divisione all' Hvidovre, giocando da subito come titolare. La sua scalata, da quel momento poi, è inarrestabile, visto che nel 1987 a 24 anni si trasferisce in un grande club nazionale come il Brøndby.
In 5 anni in cui difende la porta gialloblù Schmeichel conquista la bellezza di 4 titoli di Danimarca e una Coppa nazionale nel 1988/89. Intanto dal 1987 inizia a giocare anche nella Nazionale, con cui nel 1988 partecipa agli Europei. Qui incrocia nel Girone l'Italia di Vicini. Le sue parate mettono in difficoltà gli azzurri, che nel primo tempo non trovano il vantaggio. Soltanto i goal lampo nella ripresa dei nuovi entrati Altobelli e De Agostini daranno il successo all'Italia, che poi avanzerà fino alle semifinali.
Un'ulteriore vetrina per il portierone danese è
la Coppa UEFA 1990/91, che vede il Brøndby protagonista.I danesi raggiungono le semifinali, in cui sono opposti alla
Roma di Ottavio Bianchi.In Danimarca i giallorossi non vanno oltre lo 0-0, con il portierone danese naturalmente sugli scudi con le sue prodezze. Il copione sembra ripetersi anche nel match di ritorno all'Olimpico.
Dopo il vantaggio iniziale di Rizzitelli, i danesi ottengono il pari con un autogoal di Nela, e Schmeichel cala la saracinesca. Sembra letteralmente insuperabile, salvando in almeno 10 occasioni la porta dalle offensive capitoline. Soltanto un guizzo di Völler in Zona Cesarini lo farà capitolare, regalando la qualificazione in finale alla Roma.
Getty ImagesSCHMEICHEL RE D'EUROPA: QUANDO VAN BASTEN PIANSE
La fase gloriosa della carriera di Schmeichel inizia però nell' estate del 1992, quando la Danimarca si ritrova per caso a giocare gli Europei in Svezia per sostituire la Jugoslavia, squalificata dall'UEFA. I danesi sono inseriti nel Gruppo A con i padroni di casa, l'Inghilterra e la Francia. In apparenza un girone di ferro, e nessuno prende in seria considerazione la Nazionale di Møller Nielsen.
Invece accade il miracolo: quella squadra, messa in piedi in fretta e furia richiamando i giocatori dalle vacanze, che deve incassare anche il forfait di Michael Laudrup, il suo fuoriclasse, stupisce tutti.
"Mi raccomando, non fare brutta figura", dice il Ct. a Peter prima della sfida inaugurale con gli inglesi.
"Dopo quella partita non eravamo semplicemente contenti di esserci. - dirà a 'UEFA.com' - Eravamo convinti di meritare la vittoria. Se poi si rivedono le immagini, si nota che abbiamo le maglie e i calzoncini un po' troppo stretti. Erano le divise dell'Under 21 che c'eravamo fatti prestare per giocare...".
Nel girone il pari all'esordio con i Tre Leoni, seguito dal k.o. di misura con la Svezia, rimanda tutti i discorsi alla terza gara con la Francia, un vero spareggio. Ma tutti credono che la Danimarca, in quel momento ultima, sia destinata ad'uscire.
Invece accade il primo miracolo: Schmeichel ingaggia una sfida personale con Papin, negandogli a più riprese la doppietta, e i goal di Larsen ed Elstrup proiettano la Danimarca in semifinale. Le due gare di semifinale e finale saranno fra le partite più importanti in assoluto giocate dall'estremo difensore danese nella sua lunga carriera.
Contro un'Olanda forse superiore dalla cintola in su anche a quella del 1988, tiene a galla i suoi per 120'. Nonostante un leggero errore sul primo goal di Bergkamp, e provvidenziale in un paio di occasioni a dire di no a quest'ultimo e a Van Basten. I suoi compagni fanno il resto, rimontano due volte gli olandesi si va ai calci di rigore.
GettyDove Schmeichel sale in cattedra, dando al Cigno di Utrecht, che batte il 2° rigore per i suoi, una delle delusioni più brucianti della sua carriera.
"Sono pronto a calciare il rigore. Il portiere danese Peter Schmeichel attende sulla linea di porta. Ho dosato bene la rincorsa. Questo è il mio ultimo tiro dopo centoventiminuti di una partita sfiancante, visto che siamo andati in svantaggio due volte, qui a Göteborg. Ma se vinciamo andiamo in finale [...]. Aspetto il fischio dell’arbitro, ma ho ancora un mucchio di pensieri per la testa. Devo dare il buon esempio [...]. Ora che sono di fronte a Schmeichel entra in gioco la stanchezza dei centoventi minuti che sento nelle gambe. Quella reattività che ti permette di temporeggiare, osservare fino all’ultimo e rubare il tempo al portiere è offuscata dalla stanchezza".
"Mentre prendo la ricorsa, a tu per tu con Schmeichel, ho già deciso cosa fare. Tutte le analisi sono valide quando si parla di rigori, ma alla fine non c’è un metodo sicuro al cento per cento. Non me la sento di aspettare, quindi opto per un approccio pragmatico. Prima di prendere la ricorsa ho già deciso di mirare forte all’angolino alla mia destra. Non cambio idea. Il tiro non è niente di che, Schmeichel si distende nell’angolo giusto e arriva sul pallone. Ecco fatto, complimenti a me...".
Il tiro di Van Basten è deviato da Schmeichel. Il centravanti dell'Olanda, che racconta con queste parole nella sua autobiografia 'Fragile' quei drammatici momenti, è distrutto e scuro in volto. Spera in una parata di Van Breukelen, che non arriva. L'Olanda è eliminata e in finale va la rivelazione Danimarca. Lo sconforto si impossessa degli olandesi, gli occhi di Marco diventano lucidi e sul suo volto scende una lacrima.
"Non si può sottovalutare l’importanza dell’aspetto psicologico durante le partite di calcio. - spiega Schmeichel nella sua autobiografia. - Per me è fondamentale che gli avversari siano intimiditi dalla mia presenza tra i pali. Non conta se si tratta di un bomber che, superando la difesa, è arrivato al faccia-a-faccia con il sottoscritto, oppure di un centrocampista che approfitta di un tiro a lunga gittata. Indipendentemente da chi mi trovo di fronte, so che lui ha capito al volo che mi troverà preparato al cento per cento per il confronto, che sono pronto a fare qualunque cosa, sfruttando la mia potenza, per evitare che segnino".
Per nulla appagato di quanto fatto in semifinale, il portierone danese si ripete nella finalissima con la Germania, orfana di Lothar Matthäus. È letteralmente insuperabile, e la sua parata su un gran tiro di Klinsmann è quella che considererà sempre la migliore della sua carriera.
"Dopo quella parata, - rivela a 'UEFA.com' - i miei compagni hanno capito che ero in gran forma".
Con un portiere così, la Danimarca vince 2-0 anche con i tedeschi e da cenerentola dell'Europeo corona la sua straordinaria favola conquistando il primo titolo internazionale della sua storia. A fine anno Schmeichel si piazza anche al 5° posto nella graduatoria del Pallone d'Oro.
"Abbiamo iniziato a renderci conto dell'impresa soltanto a Copenaghen, quando abbiamo festeggiato con tutta la Danimarca. È stato incredibile. È lì che ci siamo detti: 'L'abbiamo fatto davvero, non è un sogno' ".
AllsportMANCHESTER UNITED: TITOLI, RECORD E SCONTRI
Quando gioca un Europeo da protagonista, Schmeichel veste già da un anno la casacca del Manchester United e ha già vinto con la sua nuova squadra una Supercoppa europea. A portarlo ai Red Devils nel 1991 è Sir Alex Ferguson, che vuole farne uno dei punti di forza della squadra. Il futuro è tutto dalla sua e il portierone danese dà un apporto fondamentale alla squadra per tornare a primeggiare dopo decenni in patria e in Europa.
In Inghilterra è ribattezzato 'The Great Dane', ovvero 'Il Grande danese'. Non si limita alle parate, ma guida con le sua urla i difensori, come aveva fatto fin da giovane, e grazie all'abilità nei rilanci, di piede o con le mani, diventa spesso in fase di possesso l'uomo in più dello United, introducendo un concetto che sul piano tattico sarebbe arrivato solo nel nuovo millennio.
"Quando ho modo di gestire la palla, cerco di creare qualche possibilità di contropiede. - dichiara - Non ci riesco sempre, ma immancabilmente questa tecnica obbliga gli avversari a girarsi e dirigersi verso la loro porta, cosa che per loro può risultare sia faticosa sia demotivante".
Fra i pali, poi, perfeziona il suo stile, diventando, se possibile, ancor più impenetrabile.
"Ho introdotto lo 'star jump', un esercizio che facevo quando giocavo a pallamano, nel calcio. - racconta - È un metodo molto efficace per aumentare le possibilità di parata. Se resti sulla linea e qualcuno effettua un tiro di testa, le probabilità di raggiungerlo sono limitate, dunque questa tecnica aiuta a coprire quanto più possibile lo spazio della porta".
A Manchester Schmeichel resta 8 stagioni, e vince 5 Premier League, 3 FA Cup, 4 Charity Shield e una Coppa di Lega. Numeri che parlano da soli, assieme ai suoi record, come i 22 clean-sheet che fa registrare nel 1992/93, quando i Red Devils tornano campioni d'Inghilterra dopo 26 anni.
Le super parate si sprecano: nel 1996, gioca una partita senzazionale nello scontro di vertice con il Newcastle, compiendo un vero e proprio miracolo su un colpo di testa da distanza ravvicinata di John Barnes.
Nel dicembre 1996 in trasferta contro il Rapid Vienna, in una gara valida per la fase a gironi di Champions League, Schmeichel compie un prodigioso intervento su colpo di testa di René Wagner da distanza ravvicinata. La parata viene accostata da molti a quella che celebre di Gordon Banks su Pelé. I goal però Schmeichel sa anche segnarli: il più spettacolare è quello che realizza con una rovesciata nel 1997 nel replay del 4° Turno di FA Cup, ma gli viene annullato dall'arbitro per fuorigioco.
GettyLa stagione d'oro è quella dello storico 'treble', realizzato nel 1998/99. In FA Cup Schmeichel neutralizza con un gran volo sulla sinistra un rigore battuto all'ultimo da Bergkamp nel replay della semifinale contro l'Arsenal , risultando determinante per raggiungere la finale.
La gioia più grande però per il portiere resta la storica Champions League vinta nel 1998/99, cui dà un duplice apporto. Fra i pali dice di no a più riprese agli attacchi del Bayern, nel finale poi è determinante per la rocambolesca rimonta. Portatosi in attacco, infatti, con una spizzata di testa su calcio d'angolo partecipa alla convulsa azione che porta al tiro di Giggs deviato in rete sotto misura da Sheringham . La rete in pieno recupero di Solskjaer completa l'opera.
Schmeichel, ancora una volta, trionfa, dall'altra parte piange soprattutto l'inconsolabile capitan Matthäus, che a 38 anni, dopo una grande gara nel ruolo di libero, e uscito dal campo stremato poco prima che gli inglesi ribaltassero il punteggio, sognava di alzare al cielo la Coppa con le orecchie nella sua ultima apparizione internazionale ad alti livelli.
Il ciclo d'oro di Schmeichel allo United si chiude con l'impresa più grande, aver riportato i Red Devils sul trono continentale. In mezzo qualche scontro, con Ferguson ma soprattutto con qualche compagno di squadra, che non gradiva molto la sua personalità in campo.
"Ero appena tornato da un infortunio, - racconta Roy Keane, compagno di squadra di Peter, nella sua autobiografia - e durante la tournée asiatica abbiamo avuto un faccia a faccia degenerato in rissa. Avevamo bevuto qualcosa di troppo, il giorno dopo avevo male alla mano e un dito girato all'indietro. Peter si presentò dai giornalisti con gli occhiali da sole. Aveva un occhio nero, tutti si domandarono il perché...".
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A 32 anni Schmeichel decide di proseguire la sua carriera in Portogallo con lo Sporting. Con i biancoverdi resta una sola stagione, ma aggiunge al suo palmares un campionato lusitano e la Supercoppa del Portogallo. Nel 2001 torna in Inghilterra per giocare con Aston Villa e, incredibilmente, con il Manchester City.
Difendendo la porta dei Villans conquista una Coppa Intertoto nel 2001, e si toglie la soddisfazione nella sfida contro l'Everton del 20 ottobre di essere il primo portiere della storia della Premier League a segnare un goal su azione. Se ne va sbattendo la porta per alcune incomprensioni con la società, ma è il successivo passaggio al Citizens a far discutere. Soprattutto alcuni dei suoi vecchi compagni, che parlano apertamente di 'tradimento' da parte del danese.
Un infortunio al ginocchio ne limita l'impiego, ma gioca alcune importanti partite. Nel derby il suo ex amico Gary Neville gli nega il saluto nel tunnel degli spogliatoi.
"All'inizio, quando Peter lasciò lo United, continuavo ad avere dei buoni rapporti con lui. - spiegherà l'allora capitano dei Red Devils - Era un vero fuoriclasse. Poi però è andato giocare al City: non avrebbe mai dovuto farlo. Io sono tifoso dello United. Non puoi giocare per il City, non puoi giocare per il Leeds, non puoi giocare per il Liverpool. È scritto sulla pietra".
Peter ingoia il boccone amaro e con le sue parate fa vincere il derby di Manchester al City: 3-1. La sua ultima partita da superstar la fa contro il Liverpool, prima del ritiro alla soglia dei 40 anni, nell'aprile del 2003. Chiude con 676 presenze e 9 goal segnati con i club, 72 presenze e un goal nelle Coppe europee e 129 apparizioni e un goal (su rigore) con la Danimarca, di cui è ancora oggi il giocatore con più presenze di sempre. Per 2 volte è stato eletto 'Miglior portiere del Mondo'.
Appesi i guantoni al chiodo, diventa protagonista in tv come conduttore del programma 'Lavori sporchi con Peter Schmeichel', trasmesso da 'Discovery Channel', in cui si presta a svolgere i lavori più umili, come pulire le feci degli animali. Successivamente partecipa al talent show inglese 'Strictly Come Dancing', il corrispondente del nostro 'Ballando con le Stelle'. Di recente è stato anche scelto come ambasciatore UEFA per gli Europei 2020.
Nella vita privata hanno fatto discutere il divorzio dalla moglie Berta, figlia del suo primo allenatore, dopo 30 anni di vita condivisa e 2 figli, e il matrimonio nel 2019 con l'ex coniglietta di Playboy Laura von Lindholm.
Da papà segue sempre da vicino suo figlio Kasper, che come lui è diventato un portiere ad alti livelli e gioca in Nazionale. Difficilmente però riuscirà a raggiungere i livelli di suo padre.
"Per me Peter è stato il migliore di tutti i tempi. - assicura Brian Laudrup a 'UEFA.com' - Con il carisma e il carattere poteva cambiare la partita. Il suo spirito contagiava il resto della squadra. Era forte sulle palle alte, aveva grandi riflessi e faceva paura nell'uno contro uno. Un vero vincente".

