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Mourinho, dagli esordi in panchina alla Champions League con il Porto

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In tanti conoscono i grandi successi ottenuti da José Mourinho, che lo hanno portato a guadagnarsi l'appellativo di 'Special One'. Meno nota è sicuramente la storia dei suoi esordi da allenatore, che lo hanno visto fare tanta gavetta prima di ottenere i primi successi di una carriera da vincente sulla panchina del Porto.

GLI ESORDI: LA GAVETTA DI MOU

Nato a Setúbal, città del Portogallo che dista una cinquantina di chilometri dalla capitale Lisbona, il 26 gennaio 1963, José Mário dos Santos Mourinho Félix, per tutti semplicemente José Mourinho, eredita dal padre portiere la passione per il calcio. Conclusa nel 1987 una modesta carriera da calciatore, con un centinaio di presenze fra Prima e Seconda divisione con le maglie di Rio Ave e Belenenses, a 24 anni il portoghese inizia ad allenare le formazioni giovanili.

Il suo sogno aveva iniziato a seguirlo precocemente nel 1985. José, mentre gioca con squadre che militano nelle Serie minori, come il Sesimbra e il Comercio e Industria, dopo aver conseguito il Diploma in Scienze Motorie all'ISEF di Lisbona, e aver fatto l'insegnante di Educazione fisica, occupandosi anche di bambini disabili, vola in Scozia per seguire  il corso UEFA di Andy Roxburgh e prendere  il patentino da allenatore.

La prima esperienza in assoluto lo vede al timone degli Allievi del Vitória Setúbal, pur portando avanti il suo impiego come professore di educazione fisica. L'anno dopo, nel 1988, è il vice di João Alves all’Estrela Amadora. In quelle vesti vince la Coppa di Portogallo 1989/90. Nei successivi due anni fa da assistente al successore di Alves, Jesualdo Ferreira.

Nel 1992 arriva la prima svolta per Mourinho: il portoghese è scelto dall’allenatore inglese Sir Bobby Robson per affiancarlo come traduttore nella sua avventura allo Sporting Lisbona. Per José, che già parla discretamente inglese e spagnolo, è l'occasione che aspettava.

Mentre si dimostra un'affidabile traduttore, l'allenatore inglese Robson, accortosi del potenziale del ragazzo, gli affida sempre più spesso compiti chiave. Ad esempio gli assegna il compito di preparare le partite e allenare i portieri. Il giovane di Setúbal dimostra di saperci fare e presto è nominato suo vice-allenatore. Benché la squadra biancoverde si issi in vetta al campionato lusitano, a causa degli scontri continui con la società di Lisbona, nel mese di dicembre del 1993 il tecnico inglese è sollevato dal suo incarico. 

0 Bobby Robson Jose Mourinho BarcelonaOffside Sport

MOURINHO VICE-ROBSON

Mourinho decide di seguire Robson anche nel successivo incarico, che lo vede sulla panchina del Porto nel 1994. Lavorando per i Dragoni sempre come vice-allenatore, Mou vince due campionati lusitani di fila e una Coppa del Portogallo. L'esperienza più importante negli anni della gavetta è tuttavia senza dubbio quella con il Barcellona. In Catalogna il portoghese, divenuto ormai un consolidato braccio destro di Robson, approda con il tecnico inglese nell' estate del 1996.

Al Camp Nou Mourinho ha modo, fra le altre cose, di cimentarsi con le prime conferenze stampa, nelle quali inizia a dimostrare le caratteristiche che lo caratterizzeranno negli anni dei grandi successi: spigliatezza, spirito critico e carisma. Robson si fida ormai ciecamente di lui, e così gli affida la guida tecnica del Barcellona B, la seconda squadra dei catalani, che all'epoca milita in Segunda División, la Serie B spagnola.

Nella prima e unica stagione insieme al Barcellona, la coppia Robson-Mourinho si aggiudica la Coppa del Re, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Spagnola. Quel Barcellona, che ha nel 'Fenomeno' Ronaldo la sua punta di diamante, ma annovera in squadra anche altri campioni come Pep Guardiola, Luis Figo e Hristo Stoichkov, è votato squadra dell’anno dall’International Federation of Football History & Statistics.

"Non puoi fare a meno di imparare quando alleni giocatori di quel calibro. - sottolineerà Mourinho, come riporta la sua biografia scritta da Lucas Lourenço - Impari anche sulle relazioni umane. Calciatori di quel livello non accettano ciò che gli si dice solo per l’autorità della persona che parla. Dobbiamo mostrare loro di avere ragione".

Guardiola Mourinho Barcelona 1997 08092016Marca

Nel giugno del 1997, durante i festeggiamenti per la Copa del Rey, travolto dall'euforia per la conquista del trofeo, José si lascia andare ad un'esternazione che in futuro gli causerà forti attriti con i tifosi blaugrana. 

"Oggi, domani e sempre con il Barça nel cuore!", urla al microfono.

Anni dopo, quando andrà ad allenare prima l'Inter, poi il Real Madrid, i suoi ex tifosi lo chiameranno, in termini ironici, 'Il Traduttore'.

La collaborazione professionale fra Mourinho e Robson dura fino al 1997/98: in panchina approda Louis Van Gaal, l'inglese passa a ricoprire il ruolo di Direttore tecnico, mentre il portoghese diventa il vice del tecnico olandese. Dopo di che le due storie professionali si separeranno, ma 'Il Profeta di Setúbal' ammetterà sempre di aver imparato tanto sia a livello tecnico, sia a livello umano, dal suo primo maestro.

“A Bobby Robson non interessa studiare, rendere sistematico o programmare l’allenamento. - dirà - Lui è un uomo di campo, vuole allenare e avere contatto diretto con i calciatori. Inoltre è portato al gioco d’attacco. Il lavoro di Bobby Robson si concentra principalmente sulla parte finale. Quello è il suo centro di interesse e la sua priorità. In questo caso ho cercato di fare un passo indietro, ossia, pur mantenendo la priorità d’attacco, ho cercato di organizzarlo al meglio; e questa organizzazione deriva direttamente dalla difesa".

Lavorando con Van Gaal, José ha quindi modo di affinare ulteriormente le sue competenze.

"Con Van Gaal potevo arrivare allo stadio anche solo mezz’ora prima dell’allenamento. - racconterà - Non dovevo preoccuparmi di niente, perché il lavoro era già tutto definito. Sapevo in anticipo ciò che avremmo fatto. Niente era lasciato al caso, tutto era programmato nei dettagli. A me e agli altri preparatori atletici restava solo l’allenamento sul campo. Perciò il mio lavoro migliorò notevolmente in qualità perché, come ho detto, con Robson non facevo molta pratica come allenatore sul campo".

DAL BENFICA ALLA CHAMPIONS CON IL PORTO

Mourinho resta al Barcellona nel ruolo di vice-Van Gaal fino alla stagione 1999/00, ma già nel 1999 arrivano per lui le prime proposte per allenare in Portogallo. In Catalogna conduce comunque una vita felice e agiata come secondo allenatore, per questo inizialmente tentenna all'idea di mettersi in proprio.

Presto però la comodità e i privilegi inizieranno a stargli stretti e in lui prevarrà la forte ambizione, che caratterizzerà tutta la sua carriera da allenatore. Nell'ultima stagione, come scriverà il suo biografo José non è felice, né dal punto di vista personale né da quello professionale. Resta in Spagna soltanto perché spera di vincere la Champions League, l'unico trofeo che gli manca nel suo palmarés da tecnico in seconda, e perché guadagna comunque più in Catalogna da vice che in patria da primo allenatore.

Nonostante il momento non semplice per lui, il 16 maggio del 2000 Van Gaal gli concede di guidare per la prima volta la Prima squadra del Barcellona, con cui vince la Copa Catalunya, superando in finale il Mataro per 3-0. La stagione è tuttavia piuttosto negativa per i blaugrana, che chiudono senza grandi vittorie, con il 2° posto in campionato e le semifinali in Copa del Rey e in Champions League. Al termine lasciano il presidente Nuñez e lo stesso Van Gaal. Anche per Mourinho ha termine una fase molto importante del suo percorso che lo condurrà a diventare un tecnico vincente.

Nel 2000 fa dunque rientro in Portogallo, in attesa di una chiamata per svolgere il lavoro che da sempre aveva sognato di fare. 

“Non ho il minimo timore per il futuro. - dichiara, denotando già una forte sicurezza  - Ho una grande fiducia in me stesso e nella mia preparazione. So di poter fare la differenza e di poter vincere".

Passa l'estate con la sua famiglia e a raccogliere tutti gli appunti che aveva preso nelle sue esperienze fatte fino a quel momento nella cosiddetta 'Bibbia'.

"La versione scritta delle mie idee messe giù sistematicamente, giorno per giorno, ora per ora. Se dovessi dargli un titolo, lo chiamerei ‘Evoluzione dei miei metodi di allenamento’”.

A settembre Robson non si è dimenticato di lui e lo vorrebbe con sé nella sua nuova avventura al Newcastle, ma Mourinho cordialmente rifiuta e decide che non farà più da secondo a nessuno. Verso metà settembre il tecnico di Setúbal riceve una chiamata da Eládio Paramés, suo amico e direttore dell’ufficio stampa del Benfica. Questi gli comunica l'imminente esonero del tedesco Jupp Heynckes da allenatore delle Aquile e lo fa precipitare a Lisbona, per parlare col presidente del club, Vale e Azevedo. Da quel colloquio Mourinho ne esce come più giovane allenatore della storia del Benfica.

Quando siede sulla panchina delle Aquile, infatti, ha soli 37 anni. I risultati ottenuti dalla squadra sono tuttavia altalenanti, e il giovane tecnico ha anche alcuni dissapori con la società, visto che rifiuta Jesualdo Ferreira, suo ex professore all’ISEF, come secondo.

Pian piano, tuttavia, il lavoro porta risultati. La squadra risale e vince con un netto 3-0 il derby contro lo Sporting, campione del Portogallo in carica. Ma la prima avventura di José in panchina non dura a lungo. Nel novembre del 2000 il presidente Vale e Azevedo è sconfitto nelle elezioni del club e il suo successore, Manuel Vilarinho, che aveva promesso l'arrivo di Toni in campagna elettorale, rifiutando la richiesta di Mourinho di un cospicuo aumento di contratto, sancisce di fatto la fine della sua esperienza sulla panchina del club. Il 5 dicembre del 2000, infatti, dopo appena 9 gare, il tecnico rassegna le dimissioni.

C'è la possibilità di allenare i rivali dello Sporting, ma il presidente Dias da Cunha e alcuni soci non lo apprezzano e non se ne farà nulla. La nuova chiamata arriva invece nell'aprile 2001 da una società medio-piccola, l'União de Leiria. Mourinho accetta di prendere il posto di Manuel José, a condizione di potersi liberare gratuitamente qualora lo cerchi una grande squadra.

A Leira il futuro 'Special One' ritrova un giovane preparatore atletico conosciuto ai tempi del Barcellona, Rui Faria. Quest'ultimo diventerà il suo braccio destro seguendolo durante tutta la sua carriera. Nonostante debba lavorare sotto grandi pressioni, Mourinho dimostra di reggerle alla grande conduce la piccola squadra a un sorprendente 4° posto alla fine del girone di andata. Su di lui si proiettano così le attenzioni delle big del Paese lusitano: il Benfica prova a riprenderselo, senza successo. A spuntarla è invece il Porto, la squadra con cui 'Il profeta di Setúbal' inizia a costruire la sua leggenda.

José Mourinho - Porto - Champions LeagueGetty

Per i Dragoni si rivela decisivo l'intervento personale e veemente del carismatico presidente, Jorge Nuno Pinto da Costa.

"Dopo difficili ma corrette trattative con la dirigenza della União de Leiria, - affermerà - José Mourinho non fu solo il nostro prescelto: fu realmente l’allenatore dell’FC Porto. Perché? Essenzialmente perché era il mio sogno! Quanti allenatori, basandosi su niente di concreto, rifiuterebbero un contratto con un grande club per accettare, con una stretta di mano, il contratto con un altro club chissà quando? Mourinho mi ha sempre colpito come grande allenatore e, più di questo, come grande leader".

Il 23 gennaio 2002 José è dunque presentato come nuovo tecnico del Porto, il club dove 8 anni prima, da vice-allenatore, aveva ottenuto grandi successi con Bryan Robson. La storia si ripete. La conferenza stampa di insediamento, davanti alle tante testate giornalistiche presenti, non deluderà le attese, e farà grande scalpore. Mourinho inizierà a rivelarsi anche come un grande comunicatore. Una frase da lui pronunciata, in particolare, è una vera e propria bomba, una profezia che si rivelerà corretta.

"Non ho il minimo dubbio che il prossimo anno saremo campioni”.

Quando Mourinho approda sulla panchina biancoblù, la squadra non naviga in buone acque. Da tre anni, fatto insolito per una big lusitana, non vince il campionato e in quel momento si trova addirittura al 6° posto e nell'ambiente regna un clima di demotivazione, rassegnazione e depressione generale. Ma José saprà risollevare in breve tempo il morale dei giocatori e dei tifosi. Nelle 15 partite restanti della stagione, ottiene 11 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte, che fanno risalire il Porto fino alla 3ª posizione. Quest'ultima gli vale la qualificazione alla Coppa UEFA.

Il 2002/03, il 2° anno di Mourinho al Porto, usando un aggettivo, può definirsi letteralmente sensazionale. La squadra biancoblù, condotta magistralmente dal 'Profeta di Setúbal', torna a vincere il campionato portoghese, e lo fa con numeri eccezionali: 27 vittorie, 5 pareggi e soltanto 2 sconfitte, che gli valgono il punteggio record di 86 punti sui centodue disponibili, e un distacco di 11 lunghezze dai rivali del Benfica, secondi.

Come se non bastasse i Dragoni conquistano anche la Coppa di Portogallo, sconfiggendo in finale l'União de Leira, ex squadra di Mourinho, e, soprattutto, la Coppa UEFA, vinta a Siviglia con una vittoria per 3-2 sul Celtic Glasgow. In pochi mesi l'uragano Mourinho aveva spazzato via timori e incertezze e creato un gruppo di vincenti, cogliendo un piccolo Triplete.

In porta gioca Vitor Baia. Linea a quattro formata da Paulo Ferreira e Nuno Valente come terzini, e Jorge Costa e Ricardo Carvalho a formare la coppia centrale. Alenichev e Maniche sono le due mezzali, molto mobili, e Costinha agisce da playmaker. Le due punte sono Nuno Capucho e Derlei, supportate dal brasiliano Deco, che poi sarà naturalizzato portoghese, sulla trequarti. In Coppa UEFA la squadra elimina il Panathinaikos ai quarti di finale, e la Lazio in semifinale (4-1 all'Estadio do Dragão e 0-0 a Roma), prima del grande successo nell'atto conclusivo.

Ma è solo la premessa del 2003/04, stagione che resterà per sempre nella storia del Porto e del calcio portoghese. L'annata, la terza di Mou con i biancoblù, si apre con un nuovo successo contro l'União de Leira (1-0), che vale la Supercoppa del Portogallo. I lusitani perdono invece di misura la Supercoppa Europea contro il Milan di Ancelotti (1-0 con goal di Shevchenko) ma si rifanno ampiamente.

I ragazzi di Mourinho fanno infatti il bis nella Primeira Liga, che si aggiudicano con sole 2 sconfitte e ben 5 giornate di anticipo, e il 26 maggio 2004, travolgendo 3-0 in finale i francesi del Monaco, salgono sul trono d'Europa e conquistano la Champions League. I lusitani partono come outsiders, piazzandosi secondi nel Gruppo F dietro al Real Madrid, ma via via si prendono la scena eliminando nell'ordine Manchester United, Olympique Lione e Deportivo La Coruña. Il capolavoro di José si completa nell'ultima atto del torneo giocato a Gelsenkirchen, con la doppietta di Derlei e il goal di Alenichev che sanciscono la supremazia dei portoghesi. 

Mourinho, quando solleva la sua prima 'Coppa con le orecchie', ha soltanto 41 anni.

“Guardai il cubo elettrico sospeso sopra il campo. Ottanta minuti, 3-0. Analizzai la partita e sentii la fiducia, la tranquillità, la coesione e la gioia della squadra. Mi girai verso André Villas-Boas (il suo vice, ndr) e Rui Faria e dissi: 'Ecco, siamo campioni d’Europa!'. Poi guardai la panchina e sorrisi agli altri assistenti, che mi rivolgevano cenni e segnali di vittoria. Era fatta".

La fama e il successo portano però anche conseguenze negative nella vita privata per 'Il Profeta di Setúbal'. Prima e dopo il trionfo europeo, Mourinho riceve infatti minacce di morte per sé e la propria famiglia e deve assumere delle guardie del corpo, non riuscendo a godersi pienamente la bellezza dell'impresa che lui e i suoi ragazzi avevano fatto.

Quel successo ottenuto in Germania sarà per lui il trampolino di lancio per l'approdo al Chelsea, dove negli anni seguenti diventerà per tutti lo 'Special One'. L'addio al Porto, anche alla luce delle vicende personali, è del resto inevitabile.

"I tifosi del Porto sanno chi sono e quello che ci metto e nessuno potrà cancellare quello che ho fatto per quel club. - dichiara, salutando la squadra che lo ha portato nell'Olimpo del calcio - Rendo omaggio al Porto. È una società straordinaria, con giocatori fantastici, dirigenti sensazionali ed è incredibile come i tifosi appoggino la squadra. Devono capire la mia volontà, il mio desiderio, il mio sogno di raccogliere una nuova sfida. Per me il Porto è una storia meravigliosa, però le storie finiscono".

La Premier League era pronta ad abbracciarlo, e, con essa, nuovi esaltanti trionfi.

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