La maglia del portiere è di qualche taglia più grande e lo fa sembrare un ragazzino. Ma lui non ci fa troppo caso. È impegnato a sistemare la barriera, o almeno a fingere di farlo, facendo al contempo attenzione a non far trapelare troppo le proprie emozioni. In quel momento Mauricio Pineda, 22 anni, terzino sinistro dell'Udinese, non è teso come dovrebbe essere in una situazione così surreale: dentro di sé è felice come un bambino. Anche se il portiere non l'ha mai fatto. Perché andare tra i pali è sempre stato il suo sogno nascosto. In una partita ufficiale, poi. E nella Serie A italiana.
Pineda oggi ne ha 47, di anni. In Italia è ricordato (più o meno) per aver giocato con i friulani, con il Napoli e il Cagliari. Ma anche per quell'episodio così bizzarro. Accade tutto il 19 aprile del 1998. I friulani di Alberto Zaccheroni vanno a San Siro a sfidare l'Inter, che è in piena corsa per lo Scudetto. Fino a 10 minuti dalla fine blindano lo 0-0, poi vengono demoliti da un colpo di testa di Youri Djorkaeff. Trascorre un'altra manciata di minuti e Ronaldo si invola verso il portiere Turci, che lo ferma toccando il pallone con le mani fuori area. Risultato: espulsione diretta. Ma l'Udinese ha già esaurito le tre sostituzioni consentite dal regolamento. Il secondo portiere, Frezzolini, non può entrare. Pineda va da lui, si fa dare la maglia, la indossa, va tra i pali. E Ronaldo lo batte sulla punizione successiva. Zac dirà: “Colpa anche mia, non ho mai allenato i giocatori per queste situazioni". Poco male. Almeno per Mauricio.
“Mi sarebbe sempre piaciuto fare il portiere – ha raccontato un paio d'anni fa, particolarmente divertito, al portale 'Ecomedios' – ma ero alto un metro e 72, non potevo farlo. Ho preso goal da Ronaldo, ma se avessi parato quella punizione non avrei potuto mostrarlo a mio figlio. È un bell'aneddoto. San Siro e tutti i tifosi dell'Inter mi hanno riservato un'ovazione”.
L'Udinese ha preso Pineda qualche mese prima, alla fine del '97. Lo ha scovato nel Boca Juniors, di cui è tifosissimo, con la benedizione di Diego Armando Maradona. Ha raccontato Mauricio che qualche anno prima, prima della partita tra il suo Huracán e il Boca, Diego gli aveva detto: “Hola Pinedita! Spero che continui a giocare così, arriverai lontano”. È arrivato in Serie A, in effetti. In un'Udinese tra le più belle di tutti i tempi. E pure in Nazionale. Daniel Passarella lo ha convocato nell'Argentina, lo ha portato ai Mondiali francesi e Pinedita lo ha ripagato nel modo giusto, segnando alla Croazia nella terza partita del girone, su assist del Burrito Ortega. Il primo compagno che è andato ad abbracciare è stato Gabriel Batistuta, “che guardavo giocare dalle tribune della Bombonera quand'era al Boca”.
Getty ImagesEppure, a ben vedere, per Pineda non sono mai state solo rose e fiori. A partire dal trasferimento dal Boca all'Udinese. Che rischia di saltare perché il giocatore ha il... colesterolo alto. Quando danno un occhio alle analisi, a Udine quasi cadono dalla sedia. I livelli sono completamente sballati, soprattutto per un ragazzo di 22 anni. La relazione dei medici friulani è impietosa: il fegato dell'argentino è “in pessime condizioni, punito dall'intenso consumo di cibo fritto”. La dirigenza lo spedirà da Giuliano Poser, il nutrizionista di Leo Messi, che gli consiglierà “di mangiare carne tutti i giorni”.
“Era un'altra epoca, i giocatori non si prendevano cura di se stessi come ora – ha detto Pineda a 'TNT Sports' – Ora c'è il dietologo, il nutrizionista, lo psicologo, mille persone, perché c'è bisogno di loro. Oggi se un giocatore non sta attento è molto difficile che possa rendere al massimo. In quei tempi nessuno si prendeva cura di se stesso. E per questo eravamo più o meno tutti allo stesso livello. Anche in seguito il mio colesterolo non è mai sceso sotto 300. Anche oggi ce l'ho così”.
Il problema è che l'Udinese non è la squadra dei sogni di Pineda. E non solo perché nei suoi primi mesi italiani non vede mai il campo. Non è la squadra dei sogni semplicemente perché gli manca il Boca Juniors. A Udine il piccolo argentino è solo in prestito. E non ha il minimo desiderio che i bianconeri lo acquistino a titolo definitivo. Quando accade, quasi ha un mancamento: “Volevo uccidermi. La mia volontà era solo quella di tornare al Boca, il mio mondo perfetto”.
Però con Alberto Zaccheroni c'è feeling. Pineda lo definisce “il miglior allenatore che abbia avuto nella mia vita, qualcosa di spettacolare”. Anche se con lui, nel 1997/98, gioca e non gioca. Gli piace, Zac, perché “in un gruppo di 24 giocatori dà la stessa importanza a tutti, anche se poi in campo vanno quasi sempre gli stessi 11”. Ecco, nell'estate dei Mondiali Zaccheroni se ne va al Milan. Si ritrova ad allenare nuovamente Thomas Helveg e Oliver Bierhoff. E per un soffio non si porta con sé anche Pineda.
“Prima dell'ultima partita, Zaccheroni è venuto e mi ha chiesto quali fossero le mie intenzioni. Io ero fuori di testa, perché qualche giorno prima mi avevano detto che mi avrebbero acquistato a titolo definitivo. Gli ho risposto che non sarei mai e poi mai rimasto in Italia. Sarei andato a Buenos Aires e non sarei più tornato. E lui: “Ma come?”. “No, no, me ne vado, me ne vado”. Credo che questa chiacchierata fosse legata alla sua intenzione di portarmi al Milan. Un suo collaboratore mi ha detto: “Mauricio, Zaccheroni ti voleva con lui”. Ma poi il mister ha parlato con Jorge Cyterszpiler e gli ha chiesto un altro Pineda. E così il Milan ha preso Guglielminpietro”.
Sfumato il Diavolo, Pineda non può immaginare che la sua vita diventerà un costante trasloco. In quelle stesse settimane, appena formalizzato il suo acquisto dal Boca, l'Udinese lo presta immediatamente al Maiorca di Héctor Cuper. Dove gioca pochissimo, quasi mai. I suoi compagni vincono la Supercoppa di Spagna contro il Barcellona e danno vita a quella storica cavalcata in Coppa delle Coppe, sempre più su, fino alla finale poi persa contro la Lazio. Ma in Europa Pineditanon viene convocato neppure una volta.
È lì che iniziano i guai. Fuori dal campo, intanto, perché nel 2000 in Italia scoppia lo scandalo Passaportopoli. Vengono tirati in mezzo nomi grossi, come Alvaro Recoba e Juan Sebastián Verón. E tra i calciatori coinvolti c'è anche lui, Pineda, nel frattempo rientrato all'Udinese. Sei anni più tardi verrà condannato a 8 anni di carcere assieme a Mauro Navas, suo ex compagno in Friuli.
“Il mio passaporto lo feci appena arrivai in Italia tramite il mio agente – ha raccontato Pineda in un'intervista a 'CalcioNapoli24' – e non avrei mai immaginato che ci fosse stato qualche problema con i miei documenti, anche perché avevo tantissimi parenti in Italia e alcuni miei cugini non avevano avuto nessun problema con il loro passaporto. L'unica cosa strana fu che da quando presentai i documenti alla consegna passarono solo due mesi, tanto che fui costretto a tornare durante le feste di Natale a Buenos Aires per andare a ritirarlo. Il giudice mi chiamò e mi avvisò che avrebbero fatto delle indagini sulle procedure dei miei documenti, ma non avrei mai immaginato che avessero fatto qualche irregolarità. Alla fine si scoprì che per farmi avere il passaporto più veloce misero delle firme false e non presentarono tutti i documenti come si doveva”.
Non è che in campo vada molto meglio, in quegli anni. Nel 2000 Pineda va al Napoli neopromosso. Che invece di sborsare miliardi per Fabio Aurelio o Juan Pablo Sorin ha preferito pagare 500 milioni all'Udinese per averlo in prestito. Napoli uguale Maradona, ovvio. E non a caso Mauricio, una volta arrivato, confessa: “Conosco il calore della tifoseria azzurra, mi affascina l'idea di poter essere protagonista nello stadio di Diego”. Non andrà così. Pineda gioca spesso, sia con Zdenek Zeman che con Emiliano Mondonico, a volte dal primo all'ultimo minuto. Ma è un Napoli un po' sgangherato e sottodimensionato rispetto al proprio blasone. Tradotto: a fine stagione è immediato, e doloroso, ritorno in Serie B dopo appena 12 mesi.
È rapido anche il declino di Pineda. Un'altra stagione a Udine, una in prestito al Cagliari dove manca la promozione in Serie A, quindi il ritorno in patria con qualche anno di ritardo rispetto alla previsioni. Non al Boca: al Lanús, dove si infortuna seriamente a un ginocchio. E poi al Colón del Coco Basile, dove non scende mai in campo. Quando l'Huracán lo chiama e poi lo abbandona sul più bello, facendo sfumare le trattative per il suo ritorno, Pineda decide di darci un taglio: “Se non mi vogliono neppure in Serie B, ciao”. Non ha neppure 29 anni quando decide di lasciare il calcio. Completamente.
Nessuna voglia di iniziare una nuova carriera da allenatore. Nessuna vocazione da dirigente. Per carità. Per trovare Pineda bisogna recarsi a Santo Tomé, città della provincia di Santa Fe al confine col Brasile. Il pallone l'ha dimenticato. Una volta chiuso con ritiri e partite, ha acquistato un terreno e si è messo a far l'agricoltore. Vive a contatto con la natura assieme alla moglie e alle due figlie, si muove in bici e a cavallo. “La tranquillità assoluta”, la definisce.
“Per restare nel calcio devi vivere nel caos di Buenos Aires – ha detto a 'La Nación' – Jorge Cyterszpiler mi ha offerto la possibilità di lavorare con lui, ma non ho voluto. Sono scelte di vita. Logicamente dal punto di vista economico avrei avuto una maggiore tranquillità. Ma quando faccio un bilancio, resto con quello che ho. Mi sono ritirato dal calcio e sono sparito dai radar. Non ho fatto un corso da allenatore, niente. Ero convinto di poter avere un'altra vita dopo quella da professionista”.
Che poi, non è vero che Pineda sia effettivamente scomparso dai radar. Non del tutto, almeno. Nel luglio del 2020 il suo nome è tornato a circolare in Italia. Nella stessa intervista a 'La Nación' ha spiegato che la nausea per il calcio gli è derivata da qualche episodio controverso. Esempio: il 5 maggio 2002. La Juventus che batte la sua Udinese, l'Inter che nel frattempo crolla in casa della Lazio e butta via uno Scudetto già vinto. E Pineda che, al Friuli, non c'è. Volontariamente. “Non volevo fare biscotti. Alcuni giorni prima dissi 'non gioco'. Sono sempre stato molto chiaro”. Si è attirato più di una risposta velenosa, Pinedita. Ma in sella al proprio cavallo non ci ha mai dato troppo peso.


