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Mario CorsoGetty Images

Mario Corso, 'Il piede sinistro di Dio' re delle punizioni 'a foglia morta' che ha vinto tutto con la Grande Inter

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"Quando Suárez era in forma sapevamo di non perdere, ma quando Corso era in forma sapevamo di vincere" - Carlo Tagnin sul suo ex compagno di squadra, Mario Corso

Fantasia al potere, con quel sinistro magico con cui poteva far fare alla palla ciò che voleva, Mario Corso era un atipico del calcio. Aveva sulle spalle il numero 11, ma non era un'ala sinistra: svariava fra centrocampo e attacco e godeva e pretendeva dai suoi allenatori libertà d'azione. Preferiva partire dalla sinistra per poi liberare quel mancino irresistibile per un lancio millimetrico o una conclusione a rete. "Era un 10 targato 11", scriveva di lui Gianni Mura, quello che oggi chiameremo 'trequartista'.

Spesso si muoveva per il campo con quell'aria un po' svogliata di chi sembrava fosse lì per caso, e portava i calzettoni sempre abbassati, o 'alla cacaiola', come diceva Gianni Brera, in omaggio al suo idolo Omar Sivori, salvo accendersi all'improvviso e dare spettacolo: tunnel, scatti brucianti a lasciare sul posto il proprio marcatore, piroette, cross, tiri potenti e chirurgici facevano parte del suo repertorio.

Eccelleva poi nel modo particolare di battere i calci di punizionead effetto sopra la barriera, che in Italia sarà chiamato 'a foglia morta', da lui fatto proprio traendo ispirazione dai tiri a 'folha seca' di Didí.

Nella sua carriera professionistica ha indossato soltanto le maglie della Grande Inter, la squadra che lo ha consacrato e con cui ha vinto tutto, e del Genoa, in cui ha militato a fine carriera, oltre a quella azzurra della Nazionale italiana, con cui non ha avuto grande fortuna. In precedenza aveva militato con l'Audace Sme e l'Azzurra Verona, club con il quale tutto è iniziato. Per tre volte è stato anche candidato al Pallone d'Oro, ottenendo un 7° posto come miglior risultato nel 1964.

LEGGENDA DELLA GRANDE INTER

Nato a San Michele Extra, quartiere della periferia di Verona, il 25 agosto 1941, Mario Corso tira i primi calci con l'Azzurra Verona, società del rione di San Giovanni in Valle, per poi passare all'età di 10 anni all'Audace Sme. Con questa squadra compie tutta la trafila a livello giovanile e nel 1956/57 debutta fra i grandi disputando un campionato in IV Serie, corrispondente all'attuale Serie D.

Scoperto dall'Inter, la svolta della sua carriera e della sua stessa vita arriva nel 1958. Ancora sedicenne, il 20 giugno si trasferisce a Milano assieme al portiere Mario Da Pozzo e al centrocampista Claudio Guglielmoni, che sembrava essere il pezzo più pregiato, per la cifra di 9 milioni di Lire, corrispondenti a circa 128 mila euro attuali.

A Corso i nerazzurri riconoscono un ingaggio da 70 mila Lire al mese. Nove giorni dopo il suo acquisto, il 29 giugno 1958, a 16 anni e 10 mesi, fa il suo esordio ufficiale con la maglia dell'Inter nella partita di Coppa Italia vinta 3-1 dai milanesi sul Monza. Per la sua prima rete non bisogna attendere molto: la segna il 13 luglio ancora in Coppa Italia contro il Como (vittoria per 0-3 dell'Inter in trasferta), quando diventa il più giovane marcatore dell'intera storia interista.

A 17 anni, 2 mesi e 28 giorni il 23 novembre 1957 Corso, con l'inglese Jesse Carver in panchina fa anche l'esordio in Serie A nella larga vittoria di San Siro per 5-1 sulla Sampdoria. Gioca titolare al posto di Skoglund, mentre sette giorni dopo (17 anni, 3 mesi e 5 giorni) realizza il suo primo goal nel massimo campionato mettendo la sua firma sul successo contro il Bologna per 3-0.

L'Inter di Bigogno e Pedersen ottiene un deludente 11° posto finale, mentre Corso chiude la sua prima stagione completa in nerazzurro con 5 goal in 23 presenze, per poi esplodere definitivamente sotto la gestione di Campetelli-Achilli, quando realizza 10 goal in 32 presenze nel 1959/60.

Ma il boom arriva l'anno seguente, nel 1960/61, quando sbarca a Milano 'Il Mago' Helenio Herrera: Corso realizza addirittura 14 in 39 partite (miglior anno dell'intera carriera), tenendo conto di tutte le competizioni. Fra le reti spicca quella spettacolare segnata alla Roma nel gennaio '61: Corso scarta tre avversari, Pestrin, Giuliano e Fontana e dribbla pure Cudicini prima di depositare il pallone in fondo alla rete.

I grandi successi iniziano due anni dopo, nel 1962/63, con la vittoria del Primo Scudetto e l'Inter che precede di 4 punti in classifica i rivali della Juventus.Fino al 1973 il numero 11 veronese chiude la famosa filastrocca che scandisce l'undici titolare della cosiddetta 'Grande Inter': Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Milani (Domenghini, Peirò, Boninsegna), Suarez, Corso.

Mario CorsoWeb

Nella squadra del 'Mago' Corso è chiamato 'Mandrake', ma anche semplicemente 'Mariolino'. Il celebre giornalista Gianni Brera, invece, preferisce evidenziarne i difetti: lo definisce 'Matto Birago', per quel suo modo di accendersi improvvisamente e risultare decisivo dopo aver passeggiato per il campo al piccolo trotto, rispolverano la leggenda lombarda della Matta Biraga rinchiusa nella rocca di Abbiategrasso da un malvagio Gonzaga, o, ancor più maliziosamente, "Participio passato del verbo correre", per la sua scarsa propensione alla fatica.

Al che Corso ribatteva sempre: "Non si sta tanti anni all'Inter se non si corre. E poi chi deve correre è la palla". Per lo stesso motivo entra spesso in contrasto con Helenio Herrera, che lo sopporta per la sua classe ma ogni anno prova a sbarazzarsene chiedendo al presidente Angelo Moratti la sua cessione. Salvo sentirsi rispondere puntualmente con un "no" secco.

Del resto era amatissimo dallo stesso Moratti nonché il giocatore preferito di sua moglie, Lady Erminia.

"Non andavo a San Siro solo per lui, ma se c’era lui ci andavo più volentieri - confessò -. Ero certa che mi sarei divertita".

E a chi insinuava che usasse il piede destro solo per salire sul tram, Corso replicava:

"Meglio un piede solo buono che due scarsi".

Con Herrera il rapporto è perciò di stimama anche di odio-amore, visto che il tecnico di origini argentine mal sopportava quel suo sarcasmo irriverente che veniva fuori all'improvviso a dispetto di un apparente timidezza e della voce flebile e pacata che aveva. Così una volta, dopo un'arringa feroce tenuta da Herrera nello spogliatoio, dove preannunciava ai suoi giocatori una vittoria certa, Corso gli suggerì di bussare alla porta dello spogliatoio avversario per sentire cosa ne pensassero loro.

"La dote principale di Herrera era quella di essere un grandissimo motivatore - affermerà nel 2011 a 'Calcio2000' -. Riusciva sempre a trasmettere a noi giocatori una carica incredibile. Oltre a questo era un profondo conoscitore del calcio europeo e mondiale. Per questo credo che 'Il Mago' possa essere considerato il primo allenatore moderno".

Della Grande Inter il veronese è l'artista e il geniale ispiratore. Vince altri 2 Scudetti, nel 1964/65 e nel 1965/66 e 2 Coppe dei Campioni da protagonista, nel 1963/64 battendo 3-1 in finale il Real Madrid, e l'anno seguente superando 1-0 nell'ultimo atto il Benfica e risultando determinante nella semifinale di ritorno contro il Liverpool, travolto 3-0 a San Siro nella sfida di ritorno dopo il k.o. per 3-1 all'andata in quel di Anfield.

Il primo goal interista, che dà il là alla grande rimonta, lo realizza proprio Corso con una delle sue classiche punizioni 'a foglia morta': breve rincorsa, calcio leggero di interno piede e la palla che, scavalcata la barriera, si abbassa all'improvviso, e con un effetto letale si insacca, non lasciando scampo al portiere.

"Sicuramente la vittoria cui sono più legato è quella della Coppa dei Campioni 1964/65 - dirà Mario a 'Calcio2000' -, quando vincemmo battendo il Benfica 1-0 con un goal di Jair. Giocammo a San Siro davanti a quasi 90 mila spettatori e vivemmo veramente emozioni uniche. Ricordo il calore della gente e la festa dopo la vittoria".
"Nella semifinale di ritorno contro il Liverpool segnai uno dei goal più belli della mia carriera. All'andata ad Anfield uscimmo sconfitti 3-1, a San Siro io aprii le marcature dopo 8 minuti con una delle mie punizioni. Fu una rete molto importante, perché diede il là alla nostra rimonta. Alla fine segnarono anche Peirò e Facchetti, e vincemmo 3-0, ribaltando il risultato dell'andata e ci qualificammo per la finale".

Due anche le Coppe Intercontinentali conquistate che portano l'Inter di Herrera sul tetto del Mondo. Nel 1964 è battaglia vera fra i nerazzurri e gli argentini dell'Independiente. Questi ultimi vincono 1-0 l'andata ad Avellaneda, l'Inter risponde con un 2-0 a San Siro. La seconda rete porta proprio la firma di Corso. Ma non basta: per il regolamento dell'epoca, che non tiene conto del numero dei goal realizzati, serve la bella.

Le due squadre il 26 settembre 1964 si affrontano pertanto una terza volta in campo neutro allo Stadio Santiago Bernabeu di Madrid. La gara è molto equilibrata, e si va ai supplementari. Qui però proprio Mariolino sale in cattedra, realizzando il goal decisivo e prendendosi tutte le prime pagine dei giornali.

"Fu un goal di sinistro, su assist di Peirò - ricorderà Corso a 'Calcio2000' -, e lo considero il mio più bello segnato in carriera assieme a quello contro il Liverpool".

La seconda Intercontinentale arriva invece nel 1965, avversario ancora una volta l'Independiente. Stavolta i nerazzurri travolgono 3-0 gli argentini a San Siro (Peirò e doppietta di Mazzola) ed è sufficiente uno 0-0 ad Avellaneda per salire per il secondo anno consecutivo sul tetto del Mondo.

L'ultimo degli 8 titoli nerazzurri lo vince dopo l'addio di Herrera, ed è lo Scudetto 1970/71, il quarto personale, che conquista ancora da protagonista, a 29 anni, al termine di un'esaltante rimonta. A inizio anno le cose sembrano mettersi male per i nerazzurri. Un altro Herrera, il paraguayano Heriberto, sentenzia:

"Corso e Suarez non possono giocare insieme".

Lo spagnolo allora suggerisce al nuovo presidente Ivanoe Fraizzoli:

"Venda me, che sono il più vecchio, e tenga Mario".

Il club cede Suarez alla Sampdoria, invece Corso, una volta cacciato H2, con Giovanni Invernizzi detto 'Robiolina' al timone è l'ispiratore che manda in goal Boninsegna, colui che sarà il bomber di quel campionato. I nerazzurri, completata la rimonta sul Milan, contro cui Mariolino segna ancora su punizione un goal iconico, calciato non a foglia morta ma rasoterra, sorprendendo Cudicini, nel derby di ritorno vinto 2-0, vincono lo Scudetto numero 11. È il canto del cigno di una carriera leggendaria di un campione unico nel suo genere.

Qualche mese più tardi, il 20 ottobre 1971, in Coppa dei Campioni, è protagonista di un brutto episodio nella celebre 'Partita della lattina' contro il Borussia M'Gladbach. Quando l'arbitro olandese concede un rigore ai tedeschi trasformato da Sieloff, e il punteggio, già pesantemente compromesso per i nerazzurri (ma poi ribaltato in sede di Giustizia sportiva) va sul 7-1, il numero 11 perde la testa e aggredisce il direttore di gara, prendendolo, sembra, a calci nel sedere. Alla fine sarà stangata, con 6 giornate di squalifica, anche se Corso smentirà sempre i fatti che gli vengono addebitati parlando di "compromesso necessario" per decretare la ripetizione della partita a causa di una lattina lanciata dagli spalti a Boninsegna.

L'avventura di Corso con l'Inter, dopo oltre 15 anni, 8 titoli vinti, 94 goal in 514 presenze totali, si chiude al termine della stagione 1972/73. Con il ritorno di Helenio Herrera in panchina 'Mandrake' va a spendere gli ultimi scampoli della sua sconfinata classe al Genoa.

"La mia Inter - dirà nel 2011 a 'Calcio2000' - è stata la prima squadra italiana a vincere tanto in Europa e nel Mondo. Avevamo una rosa ridotta e a giocare erano quasi sempre gli stessi. Le sue gesta sono state seguite dalla televisione, che alla mia epoca era ancora agli albori. Così i tifosi ricordano a memoria i nostri nomi, e quella squadra è diventata 'mitica' ".

POCA FORTUNA IN NAZIONALE

Un capitolo importante ma poco fortunato della storia calcistica di Mario Corso è rappresentato dall'esperienza con la Nazionale italiana. Il numero 11 dell'Inter ci arriva presto, vista l'esplosione in giovane età. Il debutto lo fa infatti a 20 anni, il 24 maggio 1961 all'Olimpico di Roma contro l'Inghilterra. I Tre Leoni si impongono in quell'occasione per 3-2 in amichevole, sulla panchina azzurra siedono il Ct. Paolo Mazza, colui al quale sarà dedicato lo Stadio di Ferrara, in coppia con Giovanni Ferrari.

Nonostante un esordio così precoce, Corso non è mai riuscito a partecipare ad una fase finale degli Europei o dei Mondiali. A Cile '62 gli vengono preferiti gli oriundi, Altafini e Maschio, Sivori e Sormani, ma anche Bruno Mora, Pascutti e Menichelli. Anche perché in un'amichevole del maggio '62 fra Inter e Cecoslovacchia, il nerazzurro, dopo un goal, non trova niente di meglio che fare il gesto dell'ombrello al Ct. azzurro Mazza. Nel 1964 gli Azzurri mancano l'appuntamento con la fase finale, eliminati dall'URSS negli ottavi.

Il mancino dell'Inter gioca la gara di andata con i sovietici persa 2-0 allo Stadio Lenin di Mosca. Il nuovo Commissario tecnico, Edmondo Fabbri, lo richiama prima dei Mondiali del 1966 ma poi non lo porta con sé in Inghilterra: nel ruolo di esterni offensivi sono convocati il romanista Paolo Barison, il granata Gigi Meroni e i bolognesi Ezio Pascutti e Perani.

Non gli va meglio durante la gestione di Ferruccio Valcareggi: disputa 4 gare e nulla più, chiuso dall'ingombrante presenza di Gigi Riva. Anche in questo caso, niente Europei vinti nel 1968, con il nerazzurro fuori dal giro nel 1967. Ma nel 1971, dopo aver saltato pure i Mondiali messicani, nei quali gli sono preferiti Prati e Bobo Gori, rieccolo protagonista dopo esserlo stato nell'ultimo Scudetto vinto con l'Inter.

L'Italia insegue la qualificazione ad Euro '72, ma esce nei quarti di finale contro il Belgio di Paul Van Himst. Ai Mondiali di Germania Ovest '74, infine, Corso ha ormai 33 anni ed ha lasciato l'Inter per andare al Genoa, cosicché non ci sono nemmeno speranze di convocazione.

Chiude con 23 presenze e 4 goal, 2 dei quali li aveva segnati in quella che è considerata la sua partita migliore in maglia azzurra. È il 15 ottobre 1961, e gli Azzurri affrontano a Tel AvivIsraele nell'andata del match di qualificazione a Cile '62. Mazza e Ferrari schierano: Buffon; Robotti, Losi; Bolchi, Maldini, Trapattoni; Mora, Lojacono, Altafini, Sivori, Corso.

La prima frazione è disastrosa, e si chiude sul 2-0 per Israele con i goal di Stelmach e Young. Di tutt'alta natura il secondo tempo: Lojacono, su rigore, ridà speranze all'Italia e Altafini al 79' firma il 2-2. La partita sembra poter finire in parità, invece nel finale si scatena Corso, che con una doppietta regala la preziosa vittoria alla Nazionale italiana.

La prestazione gli varrà il suo soprannome più famoso e più bello. Il Ct. israeliano Mandi, infatti, intervistato nel post partita, dichiara:

"Siamo stati bravi, ma ci ha battuto il piede sinistro di Dio".

Il 12 maggio 1963, quando in amichevole l'Italia batte 3-0 in casa il Brasile, e Corso fa impazzire il suo marcatore, Pelé, che lo chiamava 'Il Professore', ne rimane incantato a tal punto da chiedergli di venire a giocare in Sudamerica. Naturalmente senza successo.

Nel 1967, infine, Corso è convocato nella selezione del Resto del Mondo per un'amichevole contro la Spagna in onore del grande portiere Zamora: sul campo le stelle internazionali si impongono 3-0.

GLI ULTIMI ANNI AL GENOA E IL RITIRO PER INFORTUNIO

Le ultime due stagioni da calciatore vedono Corso, come detto, vestire la maglia del Genoa. Ma l'esperienza in rossoblù non darà gioie all'esperto campione. Il primo anno, nonostante 3 goal in 23 partite, fra cui uno di testa proprio contro l'Inter (più 3 reti in 3 gare di Coppa Italia), non riesce a salvare la squadra, che retrocede in Serie B.

Il 1974/75, invece, è caratterizzato dal grave infortunio che lo porterà al ritiro: alla 2ª presenza stagionale contro la Roma, in Coppa Italia, si rompe la tibia in un incidente di gioco nel primo tempo e viene portato fuori a braccia dal massaggiatore.

Operato, al termine di una lunga convalescenza gli viene rimossa la placca metallica che gli era stata posta. Gioca 3 gare fra fine febbraio e marzo del 1975. L'ultima è uno 0-0 in Sicilia contro il Palermo. Purtroppo però l'osso, non saldatosi perfettamente, si rompe nuovamente in allenamento e per "Il piede sinistro di Dio" è la fine della sua carriera calcistica all'età di 33 anni.

LA CARRIERA DA ALLENATORE E IL MITO

Dopo il ritiro, nel 1977 ottiene il patentino da allenatore a Coverciano e intraprende la nuova carriera in panchina. Parte dalla Primavera del Napoli, che nel 1978/79 conduce subito alla vittoria del campionato di categoria.

Ci resta fino al 1982, quando passa alla guida del Lecce, e in Salento conduce la squadra alla salvezza in Serie B. Nella stagione successiva passa a guidare il Catanzaro, ma è esonerato dopo sole 10 gare. La grande occasione per lui arriva nel 1985, quando Ernesto Pellegrini lo chiama a guidare l'Inter dopo l'esonero di Ilario Castagner.

Corso parte con un pareggio per 1-1 all'esordio contro la Juventus di Trapattoni, poi vince anche il derby contro il Milan, già passato nelle mani di Silvio Berlusconi. I risultati sono discreti, con un 6° posto finale e l'eliminazione nelle semifinali di Coppa UEFA ad opera del Real Madrid: i nerazzurri vincono 3-1 a Milano ma al Bernabeu crollano nei tempi supplementari, venendo travolti per 5-1 dai Blancos non senza polemiche arbitrali.

Al suo posto in estate arriva Trapattoni, Mario rimane fermo un anno e poi riparte dal basso, con il Mantova, in Serie C2. Vince subito il campionato e l'anno seguente si piazza 6° in C1. L'ultima opportunità gli arriva in Serie B nel 1989/90, quando assume in corsa la guida del Barletta e conquista la salvezza.

Nel 1991/92 dopo l'esonero di Eugenio Fascetti affianca Nils Liedholm sulla panchina del Verona, ma la stagione si conclude con la retrocessione degli scaligeri in Serie B. Dopo 5 stagioni torna all'Inter per fare l'osservatore e occuparsi del Settore giovanile. Poi quando Moratti chiama Mircea Lucescu al posto di Simoni lavora accanto al tecnico rumeno sostanzialmente da suo vice. Quando il tecnico rumeno rassegna le dimissioni, sarà lui a tuonare all'interno dello spogliatoio e a richiamare i giocatori alle loro responsabilità.

Sposato con sua moglie Enrica, Corso si spegne a 78 anni il 20 giugno 2020 dopo un breve ricovero in ospedale. Sessantadue anni dopo l'inizio della sua avventura in nerazzurro.

"Come lui ne ho visti pochissimi - dirà Fabio Capello -, anzi solo Roberto Baggio. Sensibilità e visione di gioco uniche, aveva le mani al posto dei piedi. Quando tirava lui tutta la Primavera si fermava per vedere come faceva".
"Era il mio preferito della Grande Inter - dichiara Massimo Moratti -, ma anche mio padre lo adorava, e lui rimase sempre vicino alla nostra famiglia. Tecnica sopraffina, gioco in controtempo, le punizioni... Era un piacere vederlo giocare...".

Inter e Genoa lo hanno commemorato con messaggi di cordoglio. I nerazzurri, in pieno periodo Covid, l'hanno onorato con il lutto al braccio e un minuto di raccoglimento contro la Sampdoria in campionato, in un San Siro vuoto e silenzioso senza tifosi. Di sicuro loro, quel mancino tanto geniale, non potranno mai dimenticarlo.

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