thuram france croatia 1998Getty Images

Dai trionfi in campo, alla lotta contro il razzismo: il messaggio di Lilian Thuram

“Oggi sono qui in conferenza stampa non per annunciare il mio trasferimento al PSG, ma per dirvi che i medici hanno scoperto che ho una malformazione cardiaca. Sembra che possa trattarsi della stessa malattia che è costata la vita a mio fratello qualche anno fa su un campo di basket”.

Il ritiro coincide spesso con uno dei momenti più difficili della vita di un atleta e se poi quello stesso ritiro è figlio non di una decisione ponderata, ma di una situazione che ti ha costretto a compiere quel passo che quasi tutti cercano di ritardare il più possibile, il dolore si fa inevitabilmente ancora più grande.

Quello che nell’estate del 2008 annuncia che non avrebbe mai più giocato a calcio, è un Lilian Thuram che ha già 36 anni, che ha vinto moltissimo, che si è consacrato come uno dei migliori difensori di ogni tempo, ma che ha ancora il desiderio di vivere un’ultima grande avventura nel club più importante della sua Parigi: il Paris Saint-Germain.

La sua è stata una decisione amara: lasciare quello che per quasi vent’anni è stato il tuo mondo non è semplice e la volontà di andare avanti nonostante tutto è grande. Sarà lui stesso a spiegare che quella scelta è figlia di una “richiesta esplicita della sua famiglia”, lasciando intuire che se l’amore per il pallone è grande, quello per i suoi cari e per ciò che rappresentano nella sua vita lo è molto di più.

Quella che si avvia alla sua conclusione è la carriera di un fuoriclasse che si è tolto enormi soddisfazioni con le maglie di Monaco, Parma, Juventus e Barcellona e che si è guadagnato un posto d’onore tra i più grandi giocatori francesi di sempre, grazie alle gesta compiute con la sua Nazionale. Era infatti tra i leader di una generazione straordinaria di campioni che nell’arco di due anni regalarono alla Francia prima la gioia del trionfo in un Mondiale e poi quella in un Europeo, ma riassumere quello che è stata la sua storia da giocatore solo snocciolando i titoli messi in bacheca o i tanti record ottenuti, non gli renderebbe probabilmente giustizia.

C’è però una partita che forse meglio di tutte racconta del Thuram calciatore e si è disputata l’8 luglio 1998, ovvero dieci anni prima del suo ritiro. Al Saint-Denis va in scena la semifinale di Francia ’98 ed i padroni di casa, per raggiungere in finale il Brasile, devono superare la grande rivelazione del torneo: la Croazia di Prosinecki, Boban e Suker.

Quella francese è una squadra composta esclusivamente da campioni, ma il compito che la attende è complicato e le cose si fanno ancor più difficili quando Davor Suker trova la rete che porta avanti gli ‘Scaccati’. Per qualche secondo in molti matura l’idea della più clamorosa delle sorprese, ma è proprio allora che Thuram sale in cattedra. Non ha mai avuto il senso del goal nel sangue, in carriera ha esultato molto per le marcature dei suoi compagni e pochissimo per le sue, ma quello che non può sapere è che il destino ha già fissato un appuntamento al quale si presenterà puntuale.

Al 46’ Boban perde un pallone sanguinoso che finisce sui piedi di Djorkaeff in quale, con un tocco delizioso, premia l’inserimento in area di Thuram che tutto solo di destro non lascia scampo a Ladic. Saint-Denis ed un Paese intero esplodono, ma non è finita. Al 69’, dopo un uno-due con Henry, Thuram non trovando compagni liberi decide di calciare di sinistro dal limite verso la porta avversaria: la sfera si va ad infilare lì dove il portiere non potrà arrivare.

thuram france croatia 1998Getty Images

Saranno le sue due uniche reti realizzate con la maglia della sua Nazionale in 142 presenze (record ancora oggi imbattuto) e saranno anche tra le più importanti in assoluto della storia del calcio francese. Due goal diversi tra loro, ma entrambi figli della caparbietà e della forza di volontà, due caratteristiche che l’hanno accompagnato per tutta la carriera da calciatore e che ancora oggi dimostra di avere in dosi massicce, sebbene in altri ambiti.

La malformazione cardiaca gli avrà infatti sottratto alcuni anni di calcio, ma non la possibilità di giocare la sua partita più importante: quella contro il razzismo. Già quando era calciatore ha sfruttato la possibilità di girare il mondo e il fatto di essere uno sportivo estremamente noto per lanciare messaggi importanti, ma è stato dopo essersi ritirato che ha avuto la concreta possibilità di dedicarsi totalmente alla lotta contro quella piaga della nostra società con la quale il calcio si ritrova ciclicamente a dover fare i conti.

Proprio nel 2008, dopo aver appeso le scarpe al chiodo, ha dato vita alla ‘Fondazione Thuram’, con la quale si impegna per l’educazione contro il razzismo. Lui, che avrebbe trovato spalancate avanti a sè le porte di molti club pronti a puntare sulla sua esperienza, non ha avuto dubbi su cosa scegliere tra il pallone e le lotte contro i pregiudizi.

“Preferisco girare con la Fondazione, piuttosto che fare l’allenatore”.

Ambasciatore Unicef dal 2010, Thuram ha fin qui combattuto la sua battaglia anche attraverso due libri ed è proprio tramite di essi che ha raccontato quando ha capito di ‘essere nero’. Nato in Guadalupa, a nove anni ha raggiunto la mamma a Parigi e lì si è reso conto che qualcosa per lui era cambiato quando a scuola l’hanno soprannominato ’Noiraude’, ovvero come la mucca nera di un cartone animato.

“Lì ho scoperto di essere nero. Lo diventi quando ti dicono ‘sei nero’. E’ così che nasce il razzismo, ma ho anche capito che è una cosa che può essere sconfitta”.

A far sentire diverso Thuram sono state certamente molte di quelle persone che lui stesso ha fatto esultare in quella magica notte del 1998.

“Quella Nazionale ha fatto capire alla società francese che doveva prendere coscienza del fatto che le cose stanno cambiando. La storia va avanti e quel Mondiale ha portato ad accettare il concetto di multicultura”.

La grinta che metteva in campo, la stessa che gli consentiva di essere un ostacolo quasi insuperabile per i suoi avversari, oggi la mette in forma diversa dietro ad una cattedra, come quella dalla quale recentemente ha parlato agli studenti di quella Parma che nel 1996 l’ha accolto e gli ha permesso di esprimersi ad altissimi livelli.

“In campo non devono essere i calciatori che subiscono insulti a dire basta, ma gli altri. Devono essere dirigenti ed allenatori a chiedere lo stop delle gare se accadono episodi di razzismo. Razzisti non si nasce, si diventa e negli stadi c’è sempre una minoranza che fa qualcosa di sbagliato. Chi sta zitto deve ricordare che così facendo sta aiutando altri a sbagliare”.

I tempi nei quali dominava sul rettangolo di gioco, ma sempre senza spingersi mai oltre i limiti imposti dalla correttezza, sono oggi lontani, e sono i suoi figli adesso a cercare di ripercorrere le sue tracce. Khephren milita nel Nizza ed è un centrocampista, Marcus gioca nel Borussia Monchengladbach è un attaccante ed ha già attirato su di se gli occhi di alcuni tra i più importanti club europei.

Marcus ThuramGetty

Proprio quest’ultimo, lo scorso 31 maggio con un gesto dall’alto valore simbolico si è guadagnato l’attenzione del mondo del calcio e non solo. Dopo aver segnato una rete contro l’Union Berlino si è infatti inginocchiato in segno di tributo a George Floyd, l’afroamericano ucciso qualche settimana prima dalla polizia a Minneapolis.

In attesa di vedere se i due giovani Thuram riusciranno ad avere una carriera gloriosa come quella del padre, è già chiaro che Lilian, oltre ad uno straordinario talento, ha trasmesso loro molto altro.

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