Esploso inizialmente come mezzala, diventerà la più forte ala destra italiana degli anni Settantae forse del Dopoguerra e una delle più forti al Mondo. Franco Causio aveva il guizzo della punta e 'il cervello' del centrocampista raffinato.
Coniugava una grande classe a mezzi atletici invidiabili: alto un metro e 70 per 68 chilogrammi, era rapidissimo e imprevedibile nelle giocate, abile nel controllo di palla, nel dribbling e nel colpo di tacco, ma straordinario nel cross da fondo campo e nelle conclusioni a rete di potenza o ad effetto che sapeva sfruttare anche nei calci da fermo.
Alla base di tutto c'erano due piedi raffinati (era infatti ambidestro) e un fisico e una mentalità da atleta, che gli consentiranno di giocare ad alti livelli fino a 39 anni. Prodotto del Sud Italia, partì dalla sua Lecce, dove saranno sempre le sue radici, per consacrarsi campionissimo con la Juventus e la Nazionale italiana, con cui fu grande protagonista ai Mondiali del 1978 e vinse da rincalzo di lusso i Mondiali di Spagna '82.
A quella spedizione è legato anche il curioso aneddoto della partita a scopone scientifico, sull'aereo di ritorno per l'Italia, vinta assieme a Bearzot contro il presidente della Repubblica Sandro Pertini e Dino Zoff.
Soprannominato 'Il Barone' per il suo stile in campo e il modo di vestire e il portamento fuori dal terreno di gioco dal giornalista de 'La Stampa' Fulvio Cinti, era invece chiamato 'Brazil' per la sua genialità dal giornalista-poeta Fulvio Caminiti.
In bianconero, dopo la gavetta fra Sambenedettese, Reggina e Palermo, colleziona 6 Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA. Gioca ancora negli anni Ottanta con l'Udinese di Zico, l'Inter (facendo infuriare Boniperti)e nuovamente a Lecce per dimostrare, riuscendoci in larga parte, che la classe non ha età. Gli ultimi anni lo vedono con la maglia gloriosa della Triestina in Serie B, con cui giocherà fino al ritiro nel 1988.
DAL LECCE ALLA SERIE A CON HERIBERTO HERRERA
Nato a Lecce il 1° febbraio 1949, Causio incarnerà il prototipo dell'emigrante meridionale che negli anni Sessanta lascia la propria città e la propria terra per affermarsi e avere successo nel Nord Italia. Anche per questo diventerà uno dei calciatori più amati, non solo dai tifosi bianconeri, ma un po' da tutti gli appassionati italiani.
Fin dai tempi della scuola Franco dimostra di avere una propensione naturale al gioco del calcio. All'età di 10 anni di unisce al Nucleo addestramento giovani calciatori (NAGC). Frequenta l'Istituto tecnico industriale 'Enrico Fermi' e nelle ore di Educazione fisica, quando si fa una partita, tutti vogliono stare in squadra con lui.
Passa quindi alla Juventina Lecce, dove avviene l'incontro con quello che sarà il suo maestro, Attilio Adamo, ex ala destra che lo porta nel Settore giovanile del club giallorosso, di cui è il responsabile. Causio è aggregato alla 'De Martino', quella che oggi sarebbe la Primavera, a soli 15 anni, nel 1964.
La sua ascesa sarà rapidissima e favorita dagli eventi. La Prima squadra del Lecce nel 1964/65 milita nel campionato di Serie C, ed è ormai certa della salvezza, ma i giocatori professionisti, a causa del mancato pagamento degli stipendi, decidono di scioperare e non presentarsi in campo per le ultime tre partite della stagione.
Così il club salentino fa affidamento ai giovani. Tra i talenti del vivaio che vengono fatti esordire alla terzultima giornata contro la capolista Reggina di Tommaso Maestrelli c'è anche il sedicenne Franco Causio. In Calabria i giallorossi pugliesi soccombono soltanto per 2-1, dando filo da torcere agli amaranto.
Nella successiva gara, che si disputa allo Stadio Carlo Pranzo di Lecce contro la forte Sambenedettese. Dopo il primo tempo il risultato è sorprendentemente sull'1-1 e il tecnico dei marchigiani Alberto Eliani è autore di una sfuriata per provare a dare la scossa ai suoi giocatori. Alla fine la Samb si impone 2-1, ma deve sudare le proverbiali sette camicie per portare a casa la vittoria.
Un esterno destro ha sorpreso più di tutti: si tratta proprio di Causio, e, se nella gara con i calabresi aveva fatto ammattire un terzino esperto come Olmes Neri, nel match con i marchigiani nessuno riusciva a stargli dietro. Poco importa se l'ultima partita va male e vede il Chieti dilagare per 4-0 contro i terribili ragazzini giallorossi.
Proprio il tecnico Alberto Eliani ne resta impressionato e, conoscendo i problemi finanziari dei salentini, offre 20 milioni di Lire per portare il sedicenne Causio nelle Marche, prima che qualcun altro lo veda in azione. Franco è combattuto, perché lasciare Lecce significherebbe cambiare radicalmente vita. In quel momento la sua prevede la scuola al mattino, il pomeriggio fare i compiti e poi, quando non si allena, portare qualche soldo a casa facendo il garzone presso un barbiere.
Ma Eliani è convinto che Causio possa sfondare e ottiene da Adamo un colloquio con mamma Anna e papà Oronzo, i genitori del ragazzo. Il tecnico della Sambenedettese sa essere molto coinvincente e alla fine Oronzo, che di mestiere fa il trasportatore di bombole di gas, dice di sì, in cambio di una promessa: che un giorno suo figlio sarebbe tornato a giocare al Lecce.
È lo stesso Adamo nell'estate del 1965 ad accompagnare in auto a San Benedetto del Tronto il giovane Causio, che viene sistemato da Eliani presso una buona famiglia del posto: presso marito, moglie, due figli e una stanza per gli ospiti pagata dalla Sambenedettese. Il tecnico rossoblù si raccomanda con loro perché controllino gli orari del calciatore e il suo regime alimentare.
Con i marchigiani Causio, che inizierà a fare quella vita da atleta che lo avrebbe caratterizzato per tutta la sua carriera, guadegnerà i primi soldini, versando tramite vaglia metà stipendio alla sua famiglia come risarcimento per i sacrifici che i suoi genitori avevano fatto per lui. Ma anni dopo scoprirà che papà Oronzo aveva deciso di non toccare nulla di quel denaro, per continuare a condurre la vita semplice e umile che aveva sempre fatto con sua moglie.
Eliani fa allenare duramente Causio, portandolo a fare dure sedute sulla spiaggia di San Benedetto con i big della Prima squadra. Ogni tanto la domenica lo manda in campo con quest'ultima, tanto che il ragazzo colleziona 13 presenze in Serie C nella stagione 1965/66. Le sue prestazioni gli fanno guadagnare anche le attenzioni del Ct. dell'Italia Under 16, Giuseppe Galluzzi, che più volte lo convoca a Coverciano.
Il martedì e il mercoledì, poi, fa su e giù per la penisola in auto per fargli fare dei provini con squadre importanti, nella speranza di piazzarlo e fargli fare il salto di qualità nella stagione seguente. Inizialmente Causio colleziona una serie di delusioni: il talento leccese viene infatti scartato da Mantova e Inter. Poi però va bene il provino con il Bologna, che sembra intenzionato a farci un pensierino, anche se la squadra che maggiormente appare interessata al ragazzo è il Torino.
I granata lo ospitano venti giorni nel convitto di Corso Vittorio per visionarlo più attentamente e gli fanno respirare l’aria degli spogliatoi del Filadelfia, quelli del Grande Torino. Il ragazzo dimostra le sue doti tecniche e personalità. Questa volta sembra fatta, tanto che Causio annota già il numero della camera della pensione dove avrebbe potuto soggiornare. Invece succede che Nereo Rocco non è convinto, e incarica il suo vice, un certo Enzo Bearzot, di far sapere a Eliani che "Xe bon, ma ‘no gà el fisico”, "È bravo ma non ha il fisico".
I due, conosciutisi a metà anni Sessanta, si sarebbero ritrovati qualche anno dopo in Nazionale, l'uno da allenatore, l'altro da calciatore. Franco è scoraggiato ma non ha la minima intenzione di mollare, e per tenergli il morale alto Eliani ne aumenta il minutaggio in campo. Il mister lo porta quindi a fare l'ennesimo provino a Forlì. Stavolta si tratta di un open-test organizzato dalla Juventus.
La partita inizia e Franco è scatenato, a suon di scatti e dribbling demolisce la squadra avversaria, realizzando anche un paio di goal. Ma pochi minuti dopo un signore con la divisa da ferrotranviere gli intima di lasciare immediatamente il terreno di gioco. Non è trascorso nemmeno un quarto d'ora di gioco e Causio non capisce, è confuso, vorrebbe delle spiegazioni che non gli arrivano. Pensa per l'ennesima volta di aver fallito e quando rientra negli spogliatoi è pieno di rabbia, manda tutti a quel paese e informa Eliani che non avrebbe fatto più provini.
Così sarà, ma il ragazzo non può sapere che quel signore che lo aveva fatto uscire dal campo, oltre ad essere un dipendente delle Ferrovie dello Stato, era il capo scouting della Juventus per le Marche e il Lazio. Il suo nome è Luciano Moggi, che, accortosi del suo grande talento, lo aveva tolto subito dal campo per nasconderlo agli osservatori degli altri club presenti anch'essi a Forlì.
Da quel giorno, a partire dalla partita Sambenedettese-Bari, lo stesso Moggi invierà in segreto l’osservatore bianconero Virginio Rosetta a seguire da vicino Causio nelle gare della formazione marchigiana, che chiude il torneo di Serie C al 3° posto.
Nell'estate del 1966, mentre il diciasettenne si sta godendo le ferie nella marina leccese di San Cataldo assieme alla sua famiglia, riceve un telegramma da Torino. Lì per lì pensa che Rocco possa aver cambiato idea e che possano aprirsi per lui le porte della squadra granata. Invece con sua grande sorpresa, quando lo legge, vede che a convocarlo presso la Galleria San Federico, la sede del club, è la Juventus.
Fino a quel momento Causio non conosceva molto del mondo bianconero. Da giovane simpatizzava per il Milan: stravedeva per la classe del brasiliano Dino Sani e ammirava Gianni Rivera. Fatte le valigie, da San Benedetto si reca comunque nel capoluogo piemontese per un primo incontro nella sede societaria. Qui è accolto dal presidente Catella e da Giordanetti, dirigenti che hanno preceduto l’era Boniperti, artefici di quello che poi sarà lo Scudetto 1966/67.
Per un ragazzo venuto dal Sud, la vita nella Torino degli anni Sessanta non era semplice. Causio alloggia nella scomoda pensione di via Susa assieme al capitano Tino Castano, che condivide con il giovane leccese i viaggi in tram verso lo stadio, insegnandogli le virtù del sacrificio, del rispetto e del silenzio. Nella stagione 1966/67 Causio gioca con la Primavera ma può allenarsi con la Prima squadra sotto gli occhi attenti e severi di mister Heriberto Herrera.
Per lui è un po' come stare al parco giochi: può ammirare da vicino gente come Leoncini, Del Sol, Favalli, Bercellino, Salvadore e soprattutto il fantasista tedesco Haller, da cui Causio carpirà diversi segreti. Chi lo accoglie sotto la sua ala protettiva è però il brasiliano Cinesinho, che lo adotta come fratello minore e lo aiuta in campo e fuori.
Pur tenendolo sempre in considerazione, HH2 non lo fa debuttare e tutta la stagione 1966/67 la trascorre in forza alla Primavera. L'opportunità tanto attesa, invece, arriva per il leccese l'anno seguente, il 21 gennaio 1967, quando, poco prima di compiere 19 anni, Heriberto Herrera gli concede il debutto da titolare in Serie A allo Stadio Martelli contro il Mantova.
La squadra si trova in ritiro a Mantova la domenica mattina prima della partita e lui sta sorseggiando un caffè in attesa del suo turno al flipper, quando il massaggiatore Sarroglia gli intima di salire in camera dal mister. Causio non sospetta minimamente di dover giocare, ed è più che altro preoccupato. HH2 lo accoglie in una stanza in penombra, con le finestre socchiuse, dietro la sua scrivania.
"Mister... mi ha detto il massaggiatore che vuole parlarmi", riesce a dire l'intimidito Causio.
"Luis (Del Sol, ndr) è indisponibile. Quindi tocca a lei: è il suo momento", gli annuncia il tecnico paraguayano.
Franco è sorpreso e riesce soltanto a borbottare qualcosa.
"Per caso non se la sente?", gli domanda a quel punto Heriberto Herrera.
Stavolta la risposta del giovane bianconero non si fa attendere: "Come no!".
"Muy bien allora - replica il mister - perché la fascia destra, oggi, me la deve consumare".
Causio, che indossa la maglia bianconera numero 8 con lo Scudetto sul petto, gioca all'ala destra e fa una buona prestazione, anche se i campioni d'Italia non vanno oltre lo 0-0 con i lombardi. Iniziava così la sua avventura nel grande calcio.
E quando i giornalisti a fine partita chiedono ad HH2 un giudizio sul giovane talento della Vecchia Signora, lui profetizza:
"Se saprà soffrire diventerà un campione".
LA GAVETTA FRA REGGINA E PALERMO
Dopo una sola presenza in Prima squadra in due stagioni alla Juventus, nell'estate del 1968 i dirigenti bianconeri mandano Causio a 'farsi le ossa' al Sud Italia. La gavetta del talento leccese inizia alla Reggina. Quella in maglia amaranto, in Serie B, è per lui la prima stagione da titolare fra i professionisti.
Nella squadra calabrese Franco trova un po' quella che sembra una grande famiglia: il presidente è Oreste Granillo, il mister l'ex mediano Armando Segato, che pur colpito dalla SLA, il morbo di Lou Gehrig, riesce a fare un'ultima stagione da allenatore. Fra i giocatori spicca lo stopper della squadra, un certo Nedo Sonetti, che l'Italia calcistica conoscerà soprattutto nei panni di allenatore.
Segato dà a Causio un'impostazione tecnica e tattica, facendone "un titolare in casa e un tredicesimo uomo in trasferta". Il primo goal da professionista lo realizza al Monza il 6 ottobre 1968 (1-1). A fine anno totalizza 30 presenze e 5 reti mentre la squadra si classiica al 5° posto.
Vista la stagione positiva a Reggio Calabria, la Juventus nel 1969/70 gira Causio in prestito con diritto di riscatto al Palermo, dove il leccese disputa la sua prima stagione in Serie A. Franco si inserisce molto bene nell'ambiente e lega molto con il tecnico Carmelo Di Bella.
Quest'incontro sarà molto importante nella formazione del campione.
"Avevo 20 anni quando arrivaiin Sicilia - ricorda in un'intervista a 'La Gazzetta dello Sport' nel 2008 -. Ero di proprietà della Juve, che mi aveva mandato la stagione precedente alla Reggina in B. L’impatto con la città è stato bello, ho ancora tanti amici e per me è stato importante l’incontro con mister Di Bella".
"Era una persona eccezionale. Mi ha insegnato a giocare per la squadra. 'Ricordati - mi diceva -, non devi giocare per te stesso, ma per gli altri: sei bravissimo e se lo capirai, diventerai un grande. E mi ha anche insegnato come è la vita, che non è soltanto quella che si vive su un campo di calcio".
Tanti i momenti che gli resteranno impressi di quel periodo: dalla granita al caffè con panna e brioche alle cene con l'amico Giacomo Sinagra, nonostante i lunghi viaggi in treno fino a Roma cui è costretto per svolgere il servizio militare presso la Compagnia Atleti della Cecchignola. Con lui ci sono Agostino Di Bartolomei e Luciano Re Cecconi.
Il debutto in Serie A arriva a Torino il 14 settembre 1969 proprio contro la Juventus: Causio entra dopo l'intervallo al posto di Edy Reja, ma la partita finisce 4-1 per i bianconeri con doppietta di Haller. La seconda avversaria dei rosanero è l'Inter, e stavolta Causio va in campo dall'inizio.
A 'La Favorita' il giovane leccese sigla il provvisorio 1-0 per i rosanero, beffando il grande Facchetti, ma i nerazzurri rimontano e si impongono 2-1. L'11 gennaio del 1970 il Palermo affronta in casa la Juventus per la prima giornata di ritorno. Causio per l'occasione fa impazzire il suo marcatore Cuccureddu, ma è la Vecchia Signora ancora una volta a vincere 3-1.
Tuttavia la sua prestazione non è passata inosservata agli occhi del presidente Boniperti.
"Il Palermo non aveva esercitato il diritto di riscatto - ricorda Franco a 'La Gazzetta dello Sport' -, ero ancora di proprietà della Juve. A fine partita Boniperti si avvicina e mi dice: se non sbaglio sei ancora della Juve, penso che ci vedremo presto a Torino".
I rosanero in quella stagione retrocedono in Serie B e Causio, dopo 22 presenze e 3 goal in campionato e 3 gare in Coppa Italia, nell'estate del 1970 fa ritorno alla Juventus per affermarsi come grande campione.
IL RITORNO ALLA JUVENTUS E IL REGNO DEL 'BARONE'
Causio rientra a Torino per la stagione 1970/71 assieme ad altri due giovani, Gianluigi Savoldi e Roberto Bettega, mentre sul mercato la Vecchia Signora acquista Fabio Capello e Luciano Spinosi per elevare il tasso tecnico della squadra, affidata al giovane allenatore livornese Armando Picchi, ex bandiera della Grande Inter.
Il giocatore leccese stavolta è convinto dei propri mezzi e che riuscirà a sfondare in bianconero. Intervistato prima della partenza per il ritiro di Villar Perosa dal giornalista-poeta Vladimiro Caminiti, il 24 luglio si lascia andare a dichiarazioni eccessivamente ottimistiche:
"Scrivilo - gli dice -, io sono il più forte, a Palermo ero titolare, non posso che giocare titolare anche nella Juventus".
Invece inizialmente il rapporto con Picchi è difficile, e Causio, titolare fin da subito in Coppa delle Fiere, finisce sorprendentemente in panchinain campionato per tutta la prima parte dell'anno. Arriva l'autunno e si inizia a parlare di una possibile cessione alla Lazio nel mese di novembre. Per le regole dell'epoca, tuttavia, un giocatore non poteva trasferirsi nella stessa serie se aveva giocato anche un solo minuto in campionato.
E il momento di Causio arriva al Comunale il 25 ottobre 1970. Il leccese, impiegato da mezzala, entra al posto di Gianluigi Roveta al 56'. Nonostante la Juventus, già sotto di un goal, perda 2-0, il ventunenne gioca un buono scorcio di partita e resterà in bianconero.
"L’inizio non fu dei più semplici - ricorderà Causio -, perché non credevano molto in me e, se sono rimasto alla Juventus, devo ringraziare Armando Picchi. Fu lui a farmi giocare dieci minuti contro il Milan così che, in base al regolamento, non potevo più essere ceduto. Il mio, insomma, è stato un successo fortemente cercato, voluto".
Quei minuti contro i rossoneri fanno scoccare la scintilla fra giocatore e allenatore. Il 3 dicembre Causio decide con il suo primo goal in bianconero la trasferta ungherese contro il Pécsi Dózda di Coppa delle Fiere, ma nelle gare successive in campionato Picchi lo tiene nuovamente fuori spiegandogli che lo fa per una sorta di turnover ante litteram.
Dalla gara del 20 dicembre contro il Vicenza, però, Causio è utilizzato costantemente da titolare anche in Serie A. Gioca da mezzala destra con il numero 8 sulle spalle, e i risultati saranno eccellenti. È il suo stesso allenatore a definirlo con l'epiteto che aveva dato a Mario Corso e lo chiama 'Maestro'.
Il giocatore leccese, che aveva continuato ad allenarsi duramente anche quando non veniva fatto giocare, 'esplode' definitivamente nella seconda parte della stagione. Caminiti gli attribuisce il soprannome di 'Brazil' per la sua classe e la sua fantasia, ma l'appellativo destinato a restargli cucito addosso per sempre è quello di 'Barone', datogli dal giornalista de 'La Stampa' Flavio Cinti per il suo stile e la sua eleganza in campo e fuori.
Proprio 'Il Barone' diventa il trascinatore della Vecchia Signora e totalizza 20 presenze e 6 goal in campionato, il primo dei quali lo segna proprio a Torino contro il Vicenza il 20 dicembre (2-1 per i bianconeri). A San Siro, contro il Milan, il 28 febbraio, finisce 1-1 ma il leccese fa sobbalzare gli spettatori presenti con le sue giocate.
"Sembra un impasto fra Mazzola e Rivera", scriveranno sui giornali il giorno seguente.
Delle sue prestazioni a beneficiarne è la Juventus, che si riporta sotto scalando posizioni. La squadra sembra ingranare bene ma a frenarla è il male incurabile che colpisce il suo giovane allenatore. Il 26 maggio 1971Armando Picchi muore sotto gli occhi increduli di tutto il mondo sportivo. Per i giocatori bianconeri, che soltanto due giorni dopo, scenderanno in campo nella finale di Coppa delle Fiere ancora sotto shock, è un dolore insostenibile.
Alla guida della squadra è chiamato Cestmir Vycpálek, vecchia gloria juventina sopravissuta all'orrore dei campi di concentramento durante la Seconda guerra mondiale e diventato allenatore degli Allievi per volontà del suo vecchio amico Giampiero Boniperti. La doppia finale di Coppa delle Fiere contro gli inglesi del Leeds United è una vera battaglia.
All'andata Causio (13 presenze e un goal nella competizione) e compagni pareggiano 2-2 al Comunale, mentre al ritorno l'1-1 di Elland Road consegna il trofeo ai Peacocks. Per le prime soddisfazioni il giovane juventino deve dunque aspettare la stagione successiva, il 1971/72. Con Boniperti sempre più nei panni di presidente e simbolo carismatico della Vecchia Signora, e Vycpálek confermato al timone della squadra, 'Il Barone' brilla e inizia a incantare, mettendo d'accordo tutti e sottostando ai dettami imposti dalla società.
"Alla Juventus - ricorderà - c’erano regole ferree: in campo non si gesticolava, non si protestava con gli arbitri. E se sbagliavi Boniperti ti toccava nel portafoglio. Non temeva affatto dei voti riportati dai giornali. Il lunedì ti incontrava e ti diceva: 'Ti hanno dato sette, ma per me ha giocato da cinque' ".
'Il Barone', con 30 presenze e 6 goal, è fra i protagonisti della rimonta Scudetto sui rivali del Torino. Fra le prestazioni più brillanti, sempre utilizzato da mezzala, si ricordano quella dell'andata a San Siro contro il Milan (1-4 con goal e assist) e quella straordinaria del 23 aprile 1972 contro l'Inter. Causio segna una tripletta che oltre a stendere i nerazzurri, porta la sua squadra in vetta alla classifica sorpassando i granata a tre giornate dalla fine.
Il 28 maggio 1972, nonostante un pareggio alla penultima giornata contro la Fiorentina, la Juventus si laurea campione d'Italia con un punto di vantaggio sul tandem composto da Milan e Torino. Considerando tutte le competizioni 'Il Barone' segna 10 goal in 45 presenze.
"Lo Scudetto cui sono più legato è il primo - dichiarerà - perché come il primo amore non si scorda mai. Come potrei dimenticare la tripletta all'Inter?".
L'epilogo è similare nel 1972/73, quando all'ultima giornata i bianconeri beffano il Milan, sconfitto nella 'Fatal Verona', e vincono il secondo Scudetto consecutivo, con Causio che mette a referto 13 goal in 47 presenze, di cui ben 8 in 28 gare in campionato.
Ma il 1972/73 è anche l'anno del debutto in Coppa dei Campioni, che avviene per il leccese il 13 settembre 1972 al Velodrome contro il Marsiglia. Causio è protagonista della cavalcata della Vecchia Signora fino alla finale di Atene (9 presenze e un goal nell'andata della semifinale con il Derby County),ma il 30 maggio 1973 la sconfitta di misura contro l'Ajax di Johan Cruijff sarà una delusioni più grandi della sua carriera.
"Ero arrabbiato - ammetterà -. Fino a mezzora dal fischio di inizio non sapevamo ancora chi avrebbe giocato. Con la Coppa dei Campioni in mano avrei fatto mille volte il giro del campo, mentre loro quasi se ne fregavano, l’avevano già vinta l’anno prima. La tenevano in mano, così, come se fosse una coppetta qualsiasi".
Un'altra delusione sarà l'Intercontinentale persa nel 1973 con l'Independiente. Ma molti di più saranno i grandi successi. Causio, diventato ormai un pilastro della Juventus, vince in bianconero altri 4 Scudetti, di cui uno sotto la guida di Carlo Parola (1974/75) e ben 3 con Giovanni Trapattoni (1976/77, 1977/78 e 1980/81). Sono gli anni in cui il presidente Boniperti afferma il motto:
"Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta".
GettyProprio l'arrivo in panchina del 'Trap' nell'estate del 1976 segnerà una nuova svolta nella carriera del giocatore leccese. Il giovane tecnico lombardo, infatti, vara la rivoluzione tattica, passa al 4-3-3, e lo riporta sulla fascia destra. Al 'Barone' va il numero 7, con Tardelli numero 8 e mezzala.
E Causio si consacrerà come dominatore di quel ruolo, diventando l'ala destra più forte in Italia e una delle migliori al Mondo. Vince anche il duello con un altro grande interprete del suo ruolo, il granata Claudio Sala, che in Nazionale dovrà accontentarsi di essere la riserva del 'Barone'. Dai suoi piedi partiranno la maggior parte degli assist per i goal di grandi bomber come Bettega, Boninsegna e Virdis.
La svolta è segnata anche dal nuovo look: ai capelli lunghi e abbondanti dell'età giovanile, il 'Barone' aggiunge due folti baffoni, un po' per moda, un po' perfar contento il padre, un po' per ripicca nei confronti di Boniperti, che pretendeva da tutti i giocatori un taglio militaresco.
"Con l'Avvocato Agnelli - ricorderà - ci sono statele telefonate alle 6 del mattino, gli arrivi in elicottero a Villar Perosa. Boniperti voleva che mi tagliassi i capelli e i baffi e lui gli diceva: 'Lo lasci stare, che è forte'. L’Avvocato sapeva veramente tutto, lo avevo soprannominato l’Enciclopedia. Una sera mi ha invitato a cena a casa sua, aveva una cineteca immensa. Abbiamo visto 'Il profeta del gol', il film realizzato da Sandro Ciotti, un altro grande, su Cruijff. E dell’olandese Agnelli conosceva ogni cosa".
Con Trapattoni in panchina, Causio vince subito altri due Scudetti consecutivi, il quarto e il quinto personali, fra cui quello da record dei 51 punti, e la Coppa UEFA 1976/77, primo titolo internazionale del club, conquistato nella doppia finale contro l'Athletic Bilbao (vittoria per 1-0 a Torino e sconfitta di misura per 1-2 nel vecchio e incandescente San Mamés). Causio contribuisce con 11 presenze su 12 gare e segnando uno splendido goal su azione personale nella semifinale di andata con l'AEK Atene (4-1 per Madama).
Nel 1978/79 arriva anche la Coppa Italia e 'Il Barone' è ancora una volta fra i grandi protagonisti del trionfo a tinte bianconere. Disputa tutte e 9 le partite, ed è decisivo nella fase finale del torneo. Ai quarti di finale 'punisce' l'Inter nel 3-1 casalingo a Torino (sconfitta indolore per 0-1 nel ritorno di San Siro). In semifinale la sfida con il Catanzaro di Palanca è molto dura: la Juve pareggia 1-1 in Calabria, e al ritorno solo un 4-2 non senza patemi, col 'Barone' che segna il provvisorio 3-1, porta Madama in finale.
Il 20 giugno 1979 la Juventus sfida al Comunale il Palermo per aggiudicarsi il trofeo. Causio è il grande ex e segna il goal decisivo nei tempi supplementari, firmando il 2-1 che consegna il titolo alla Vecchia Signora, dopo l'1-1 dei tempi regolamentari, segnati dalle reti di Chimenti e Brio.
"Abbiamo sudato sette camicie - ricorderà 'Il Barone' a 'La Gazzetta dello Sport' - e avrei preferito battere un'altra squadra, non il Palermo. Ricordo che mi marcava Maritozzi, bravo ragazzo. Veneranda, l’allenatore del Palermo, gli aveva detto di non perdermi mai di vista, mi avrebbe seguito anche dentro il buco di una serratura. L’indomani sono partito per l’Argentina per giocare con il Resto del Mondo".
L'avventura di Causio alla Juventus si conclude nel 1981, dopo 11 stagioni e il sesto e ultimo Scudetto, conquistato con sole 25 presenze e 2 goal, e una seconda parte di stagione in tono minore, che lo ha visto soprattutto come subentrante.
"Ricordo cheTrapattoni prima delle partite faceva il giro delle camere e mi diceva sempre le stesse cose: 'Per questa volta Franco devo chiederti un sacrificio, ti faccio star fuori, metto dentro Fanna o Marocchino'. Era sempre la stessa storia".
'Il Barone' capisce che per lui il ciclo vincente alla Juventus, che gli ha permesso di consacrarsi campione di livello internazionale, sta per chiudersi, dopo 72 goal in 446 presenze in gare ufficiali, 49 reti in 303 presenze in Serie A.
"Non ho mai saputo da Trapattoni il vero perché. Forse gli rodeva il tunnel che gli avevo fatto diversi anni prima (ride, ndr). A parte la battuta, la verità è che la mia avventura alla Juve era arrivata al capolinea senza un motivo".
Sulla sua lunga avventura in bianconero dirà anche:
"L'allenatore cui devo di più è stato Armando Picchi, mentre il compagno di squadra con cui ho legato maggiormente è Sergio Brio, leccese come me".
LA NAZIONALE: STELLA NEL 1978 E CAMPIONE NEL 1982
La seconda maglia che resta cucita sulla pelle di Causio è quella azzurra dell'Italia. Dopo una presenza in Under 21 e 2 con l'Under 23, per 'Il Barone' si aprono le porte della Nazionale maggiore. L'esordio arriva infatti il 29 aprile 1972 nella sfida contro il Belgio a Milano, valida per le Qualificazioni ad Euro '72.
Il Ct. Ferruccio Valcareggi lo inserisce a inizio ripresa al posto di Angelo Domenghini, segnando di fatto il passaggio di consegne con colui che era stato il suo predecessore in azzurro. Anche l'avventura in Nazionale di Causio durerà 11 anni, nei quali il campione leccese disputerà 3 Mondiali e un solo Europeo, quello disputato in casa nel 1980.
Già nel 1974, è nella spedizione che gioca i Mondiali in Germania Ovest. Ma l'Italia, sulla carta fra le favorite, esce sorprendentemente al Primo turno, eliminata dalla Polonia. Lo juventino colleziona 2 presenze, giocando la sfida con l'Argentina (1-1) e quella con i polacchi (sconfitta per 2-1).
"La squadra era forte - assicura Causio - Solo che si parlava troppo, riunioni su riunioni, il dualismo Mazzola-Rivera. In quell’occasione ho apprezzato Gianni Rivera soprattutto come uomo".
Dopo il brutto Torneo del Bicentenario del 1976, in cui rimedia anche l'espulsione nella partita in cui gli Azzurri sono umiliati dal Brasile (4-1), l'edizione in cui brilla la stella del 'Barone' è senza dubbio quella di Argentina '78.
Con Enzo Bearzot, proprio l'allenatore che aveva incrociato all'inizio della sua carriera come vice Rocco, nei panni di Commissario tecnico, nella squadra che per molti è stata a livello estetico l'Italia più bella di sempre, infatti, l'ala destra gioca un gran Mondiale. Sette partite ad alti livelli, condite dalla rete al Brasile nella finalina per il 3° posto, poi persa per 2-1, e dall'inserimento del suo nome nella Top 11 del torneo. Con il grande rimpianto della rimonta subita dall'Olanda in semifinale:
"Giocammo il calcio più bello. Non siamo andati in finale perché, contro l’Olanda, eravamo convinti di aver già vinto dopo aver chiuso 1-0 il primo tempo - sosterrà Causio -. Bearzot mi sostituì con Claudio Sala per farmi riposare in vista della finale. Invece, gli olandesi fecero due goal e addio finale".
Il riscatto, con in mezzo un altro 4° posto agli Europei del 1980, arriverà quattro anni dopo, in Spagna, dove, nonostante 'Il Barone' non sia più un titolare, ma una riserva di lusso, e ceda il posto a Bruno Conti, è confermato da Bearzot fra i 22 convocati.
"Con me fu molto chiaro: 'Bruno Conti è il titolare, le gerarchie sono chiare. Voglio che tu venga per fare gruppo. Sei d’accordo?'. Dissi subito sì", ricorderà in un'intervista al 'Guerin Sportivo'.
Il Ct. lo richiama dopo due anni di assenza e un'espulsione, la seconda in azzurro, presa nell'ottobre del 1980 nella gara delle qualificazioni con Lussemburgo (vittoria per 2-0) e l'esperta ala non farà mancare il suo contributo.
Causio disputa il secondo tempo della gara del girone contro il Perù, poi i minuti finali della finalissima con la Germania Ovest, subentrando al posto di Altobelli. Quanto basta per laurearsi anche lui campione del Mondo e godersi il meritato trionfo. A quei compagni di squadra Franco resterà sempre unito anche dopo il suo ritiro.
"A Bearzot, che conosco dal provino che feci per il Torino a 16 anni, ho sempre voluto bene. - dirà Causio - E gliene avrei voluto anche se non mi avesse portato con lui in quel Mondiale. Il mio ingresso in campo in finale non era previsto e fu un’emozione straordinaria. Fu un regalo bellissimo fattomi da un uomo eccezionale".
Dopo i grandi festeggiamenti per il titolo mondiale, il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, offre alla squadra un passaggio di ritorno sul suo volo Alitalia.
"Il Presidente decise di arruolare tre volontari per mettere su una partita di scopone. - racconterà Causio - Fu un modo per unire tutti gli italiani, per azzerare le distanze e sentirsi tutti uguali e felici. Perché tutti al bar o con gli amici hanno giocato almeno una volta come abbiamo fatto noi".
"Il presidente, insomma, voleva giocare. Io ho chiesto di stare col 'Vecio', Pertini ha scelto il capitano, Zoff. Io e Bearzot abbiamo vinto grazie a una mia mossa, estrosa come quelle che facevo in campo e anche lì c’è stato di mezzo un 7, il mio numero, che ho calato al momento giusto".
SocialCausio prosegue a giocare in Nazionale fino al 12 febbraio 1983, quando a 34 anni appena compiuti disputa da titolare la sua ultima gara, il pareggio per 1-1 a Cipro, sfida valida per le Qualificazioni ad Euro '84, e chiude con 6 reti in 63 presenze.
A queste aggiunge una gara con il Resto del Mondo, giocata il 25 giugno 1979 al Monumentál di Buenos Aires contro l'Argentina e voluta da Videla per celebrare il trionfo dell'Albiceleste.
Sotto gli occhi del dittatore e contro un giovane Maradona, che porta provvisoriamente in vantaggio la Selección, Causo, con il numero 7 sulle spalle, gioca per la prima volta assieme a Zico e propizia la rimonta della rappresentativa mondiale, avviando entrambe le azioni dei 2 goal che fisseranno il punteggio sul 2-1.
"Vincemmo 2-1, con un uomo in meno - ricorderà - e rovinammo la festa a Videla".
L'ADDIO ALLA JUVE E ALL'UDINESE CON ZICO
L'addio di Causio alla Juventus si consuma nell'estate del 1981. A 32 anni 'Il Barone' finisce sul mercato. Le pretendenti di alto livello non mancano, fra cui l'Inter e il Napoli. Ma Boniperti non ha la minima intenzione di cederlo ad una diretta concorrente. Così per 'Il Barone' si materializza una provinciale ambiziosa: l'Udinese.
Inizialmente l'ala destra non è soddisfatta della destinazione.
"Ho indicato cinque squadre: Milan, Inter, Napoli, Fiorentina e Bologna. L’Udinese non è tra queste", dice il 16 luglio 1981 a 'La Gazzetta dello Sport'.
Poi, invece, il Friuli diventerà la sua nuova casa e con l'Udinese giocherà altre tre stagioni ad alti livelli. A convincerlo le chiamate del Dg. Dal Cin e del tecnico Enzo Ferrari, suo ex compagno di squadra, ma anche la promessa del Ct. Bearzot, nativo di Aiello del Friuli.
"Se vai a giocare dalle mie partie ti comporti bene - gli dice - ti porto in Nazionale".
Così sarà. Causio alla fine accetta di firmare con l'Udinese, ma Dal Cin si presenta con grande ritardo e rischia di saltare tutto.
"Un minuto ancora e me ne sarei andato", ricorderà sempre 'Il Barone'.
Approdato ad Udine, viene subito nominato capitano dai suoi compagni e Ferrari gli dà il compito di portare una mentalità vincente alla squadra e di dare entusiasmo all'ambiente. Causio ripaga con grandi prestazioni, 26 presenze e 5 goal in campionato, trascinando la squadra all'11° posto finale e ad una salvezza che arriva con un mese di anticipo contro il Bolognaal Dall'Ara il 25 aprile 1982.
Sbaglia tuttavia un calcio di rigore, tradito probabilmente dall'emozione, contro il suo ex compagno di mille battaglie Dino Zoff, mentre in Coppa Italia realizza una rete in 4 presenze. A fine stagione è anche premiato come 'Miglior giocatore del campionato' ricevendo il Guerin d'Oro 1981/82.
"Non ero finito - dirà -. Infatti giocherò altre 9 stagioni".
Nel 1982/83 la squadra viene rinforzata ulteriormente con arrivi di qualità come Corti, Edinho, Mauro, Pulici e Virdis e coglie un sorprendente sesto posto finale, a soli tre punti dalla zona UEFA. Causio contribuisce con 27 presene e 3 goal, cui aggiunge altre 2 reti in 5 presenze di Coppa Italia.
Ma il grande colpo arriva nell'estate 1984, quando il presidente Lamberto Mazza e il Direttore generale Franco Dal Cin, si aggiudicano il cartellino delcampione brasiliano Zico per 6 miliardi di vecchie Lire. Superati alcuni problemi burocratici relativi al tesseramento grazie all'intervento del presidente della Repubblica Pertini, in campo Causio e Zico si intendono a meraviglia. Come contro la Roma: lancio del portiere Brini per Causio, che aggancia a centrocampo e con un rapido tocco manda in profondità Zico, che lascia rimbalzare una sola volta il pallone per poi colpire e battere Tancredi.
L'Udinese e i suoi tifosi sognano in grande, e trascinata dal tridente Causio-Virdis-Zico a marzo la squadra si ritrova al 3° posto in classifica e si sogna lo Scudetto. Ma il Galinho si infortuna in amichevole e i bianconeri scivolano in classifica, chiudendo alla fine al 9° posto.
Per 'Il Barone' altre 30 presenze e 3 goal, più 2 in 9 partite di Coppa Italia, dove sono fatali i quarti di finale con il Verona. Dopo tre stagioni che hanno segnato il suo rilancio con 16 goal in 101 gare, nell'estate 1984 si chiude anche l'esperienza all'Udinese per il campione leccese. In scadenza di contratto, e corteggiato da diverse squadre, firmerà con l'Inter, trasferendosi a Milano assieme al Dg. Dal Cin.
L'ESPERIENZA ALL'INTER
Su Causio ci sono fra le altre il Napoli e la stessa Juventus, che vorrebbe riprenderle, ma sono i nerazzurri a spuntarla. L'operazione è condotta in anticipo da Dal Cin, che vorrebbe portare a Milano anche Zico, ma il brasiliano tornerà al Flamengo.
"L'Inter è arrivata per prima e mi ha offerto un buon ingaggio - racconterà - . Si fece vivo anche il Napoli, con Juliano, e per la seconda volta dissi di no. La prima era stata nel 1978, durante i Mondiali di Argentina. All’Hindu Club arrivarono Ferlaino e Gianni Di Marzio per convincermi ad andare al Napoli. Io rifiutai, mentre Bearzot per poco non li caccia via a pedate".
"Mi cercò anche Boniperti - ricorderà al 'Guerin Sportivo' -. Gli dissi che non sarei tornato finché ci fosse stato Trapattoni. Mi fece piacere. Così come mi fecero piacere le parole dell’Avvocato. Quando tornai in Nazionale, aveva detto ai suoi dirigenti: 'Per fortuna che fisicamente era finito!' ".
Con Causio l'Inter acquista anche Brady e soprattutto Karl-Heinz Rummenigge. Ma la stagione all'ombra della Madonnina del 'Barone', frenato da problemi fisici, sarà in chiaroscuro. L'ex bianconero si accende solo a sprazzi, e dà il meglio di sé in Europa, dove, con 8 presenze e 2 goal, è fra i trascinatori della squadra di Ilario Castagner fino ad un passo dalla finalissima di Coppa UEFA.
Segna contro i Rangers a Milano nell'andata del 2° turno e, soprattutto, decide con un suo goal la sfida di andata dei quarti di finale contro il Colonia (1-0). In semifinale, però, i nerazzurri, vinta 2-0 l'andata a San Siro, cadono 3-0 non senza polemiche al Bernabeu e sono eliminati dal Real Madrid.
Anche in Coppa Italia la squadra arriva in semifinale (10 presenze e un goal per Causio, realizzato nel ritorno dei quarti con il Verona), eliminata dal Milan nel derby. In campionato totalizza 24 apparizioni senza guizzi, con la squadra che si piazza al 3° posto dietro Verona e Torino.
IL RITORNO AL LECCE E GLI ULTIMI ANNI ALLA TRIESTINA
Chiusa la breve parentesi nerazzurra, Causio mantiene la promessa fatta anni prima a suo padre Oronzo e torna a giocare con il Lecce. Nel 1985/86, per la prima volta nella loro storia, i salentini del presidente Franco Jurlano e dell'allenatore Eugenio Fascetti vedono la Serie A.
L'arrivo di Causio è la ciliegina sulla torta di una campagna acquisti importanti, che porta in Salento anche gli argentini Juan Alberto Barbas, miglior straniero della Liga spagnola con il Real Saragozza nell'anno precedente, e Pedro Pablo Pasculli, bomber del campionato argentino con l'Argentinos Juniors. Con loro i giovani Salvatore Nobile, Alberto Di Chiara e Rodolfo Vanoli e una nidiata di giovani talenti della Primavera, fra i quali spiccano Antonio Conte, Luigi Garzja e Francesco Moriero.
Proprio quest'ultimo, che ha in Causio il suo modello e milita ancora nelle Giovanili, lo osserva con grande ammirazione in allenamento. Causio disputa ad alti livelli la sua ultima stagione in Serie A, collezionando 26 presenze e 3 reti (più 5 apparizioni in Coppa Italia), che non bastano tuttavia a salvare la squadra dalla retrocessione in Serie B.
L'ultima partita, quasi un segno del destino, la gioca al Via del Mare, contro la Juventus, che vince 3-2 e conquista lo Scudetto in rimonta sulla Roma di Eriksson, sconfitta dai pugliesi nel turno precedente. Ma Franco ha ancora voglia di giocare. Firma così con la Triestina, avvicinandosi a quella Udine che ormai considera come una seconda casa.
In maglia alabardata disputa due stagioni, totalizzando 70 presenze e 5 goal fra campionato di Serie B e Coppa Italia. Nel 1988, a 39 anni, decide di appendere le scarpette al chiodo.
"Decisi di smettere quando morì mio padre - spiegherà -. se ero diventato un calciatore era stato anche grazie a lui. Non avevo più motivo di continuare".
LA SCOPERTA DI DEL PIERO E DIRIGENTE ALL'UDINESE
Dopo il ritiro Causio si trasferisce a vivere a Udine e nel 1992 gli viene segnalato da Bruno Mazzia un ragazzo di Conegliano Veneto che milita nel Padova e ha grande talento: il suo nome è Alessandro Del Piero e Franco va a vederlo all'opera all'Euganeo.
Ne resta entusiasta, tanto che non esita a chiamare Boniperti:
"Presidente, guardi che qui c'è uno che somiglia a Roberto Baggio".
Non se ne fa nulla e sempre Mazzia, un anno dopo, lo avvisa che il Milan sta per prenderlo. Causio richiama Boniperti prima di Udinese-Juventus, che si gioca il 4 aprile:
"Presidente, venga a Udine: lascia che le presenti questo ragazzo", gli dice Causio.
Stavolta Boniperti fissa un appuntamento con il giovane talento. Memore di quanto avevano fatto Adamo ed Eliani con lui, 'Il Barone' dice ad Alex di vestirsi bene che sarebbe venuto a prenderlo per incontrare il presidente della Juventus.
Del Piero, non ancora diciottenne, si presenta con una giacca grigia di due taglie più grandi e una folta chioma di capelli riccioli scuri, e mentre si avvicina timidamente alla scrivania dove Boniperti è seduto, riesce a dire soltanto:
"Sono Alessandro Del Piero".
Boniperti non batte ciglio e gli risponde:
"Bene Alessandro Del Piero. L’anno prossimo giochi con noi, perciò tagliati quei capelli".
Il resto è storia. Prende il patentino da allenatore, ma l'occasione giusta non si presenta. Nel 1995 Causio diventa team manager dell'Udinese: i Pozzo lo vedono come figura ideale di collegamento fra società, staff tecnico e squadra. Quando l'anno dopo i friulani acquisteranno Marcio Amoroso e quest'ultimo chiederà la maglia numero 10, già occupata da Stroppa, sarà 'Il Barone' a convincerlo a prendere la 7 che era stata sua.
Lascia il club friulano nel 1999, per fare l'opinionista tv per Telemontecarlo, Mediaset e Sky Sport, emittente con cui commenta anche i Mondiali vittoriosi del 2006. Rimasto sempre in contatto con gli ex compagni della Juventus e del Mundial '82, oggi si gode la famiglia, la moglie brasiliana Andreina e i suoi tre figli Barbara, Francesco e Gianfranco.
Il suo volto è popolare anche nel mondo del cinema: in 'Bianco, Rosso e Verdone', film uscito nel 1981, Pasquale Amitrano, uno dei personaggi interpretati da Carlo Verdone, che impersonifica un emigrato del Sud Italia in Germania, ha un poster del giocatore della Juventus nella sua camera.
Nel 2015 'Il Barone' ha scritto con il giornalista Italo Cucci anche la sua autobiografica, dal titolo: 'Vincere è l'unica cosa che conta' dove racconta la sua storia di emigrante del calcio.
"Nel mio lavoro volevo essere il numero uno. E lo sono stato- dirà -. Ho faticato sempre al massimo, ho dato l’esempio, nessun allenatore mi ha mai rimproverato per scarso impegno. Avevo un bel caratterino, sì. D’altra parte, se non lo avessi avuto, sarebbe stato un casino. Il mio motto è sempre stato: farsi rispettare, rispettando".
