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ALBERTOSI GFXGOAL

Enrico Albertosi, portiere spettacolare e fuori dagli schemi: gli Scudetti, il 2° posto a Messico '70 e la rivalità con Zoff

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"Albertosi è il miglior portiere del mondo, me lo tengo stretto anche se ha tutto quello che non posso sopportare in un calciatore professionista: beve, fuma, fa tardi la sera, è pieno di donne e scommette ai cavalli" - Nereo Rocco

Geniale, tecnico e acrobatico fra i pali, ribelle e anticonformista fuori dal campo, dove amava godersi la vita. Enrico Albertosi è stato senza dubbio uno dei portieri italiani più forti di sempre.

Capace di parate difficili e altamente spettacolari, ha fatto la fortuna di Spezia, Fiorentina, Cagliari e Milan, oltre che della Nazionale azzurra, con cui si è laureato (senza giocare la fase finale) campione d'Europa nel '68 e da protagonista vicecampione del Mondo a Messico '70, ed è stato convocato a 4 edizioni dei Mondiali.

Precursore dei tempi nel suo giocare spesso fuori dai pali e con i piedi, aveva grandi mezzi fisici e amava parare a mani nude, per bloccare meglio il pallone.

L'ASCESA DI UN TALENTO PRECOCE

Enrico Albertosi nasce a Pontremoli, in provincia di Massa e Carrara, il 2 novembre 1939, e il suo amore per il calcio è precoce e gli viene trasmesso dal padre Cecco, maestro elementare e portiere della Pontremolese.

"La mia passione nasce quando ero bambino - rivela in esclusiva a GOAL -. Sono originario di Pontremoli, c'era la squadra del paese che giocava in Prima categoria. Mio papà giocava in porta. Così mia mamma mi portava sempre a guardare la partita. Siccome gli spogliatoi dal campo distavano un paio di chilometri, le squadre dopo il primo tempo non rientravano dentro. All'epoca i campi erano aperti, non c'erano barriere, e mio papà mi metteva in porta e calciava questo pallone. Io avevo 7-8 anni, lo prendevo e glielo ridavo".

Il figlio d'arte inizia così precocemente a fare a sua volta il portiere.

"Come sono un po' cresciuto, a 12-13 anni, ho cominciato a fare la riserva nel Pontremoli, in Prima Categoria. Giocavo con dei marpioni di 30-40 anni. Il portiere titolare era un marinaio, che ad un certo punto si è dovuto imbarcare. E così a 14 anni e mezzo sono diventato il titolare del Pontremoli. Ricordo che nella prima partita ho preso 4 goal, perché il mio debutto fu molto negativo. Però piano piano ho iniziato a prendere un po' di confidenza".

Quando si tratta di fare il calciatore come professione, è però la madre la sua grande alleata.

"Io frequentavo le superiori, l'Istituto magistrale - racconta - . Mio padre era contrario che diventassi un calciatore, voleva che facessi il maestro. Mia madre, invece, mi portò a fare provini sia a La Spezia con lo Spezia, sia a Milano con l'Inter. Allo Spezia sono piaciuto e hanno dato l'ok. Ci chiamarono per firmare il contratto, siccome io ero minorenne la firma la mise mia madre. Se non che quando tornammo a casa era arrivato il telegramma dall'Inter, che diceva di voler trattare... Ormai avevamo già firmato...".

Albertosi abbandona così le magistrali al 3° anno e inizia la carriera da portiere, partendo dai Dilettanti, dato che i liguri militavano all'epoca in Interregionale. Il giovane portiere debutta in Prima squadra a 17 anni il 20 ottobre 1957 e con le sue parate distribuite in 8 presenze contribuisce alla vittoria del campionato e a portare la squadra in Serie C.

"Andai allo Spezia a 16 anni, e i primi due li ho fatti nel Settore giovanile - ricorda -. Poi anche lì chi avevo davanti era squalificato e si era infortunato e ho debuttato in casa contro la prima in classifica (la Novese, ndr). Andai benissimo e giocai con loro fino alla fine di quella stagione. Vincemmo il campionato di Interregionale e successivamente ci laureammo campioni italiani dei Dilettanti".
"Le vincenti dei gironi si incontravano fra loro per stabilire la vincitrice dello Scudetto della categoria. Tutte e tre le squadre finimmo a pari punti e decisero di darlo a tutte. Io giocai da titolare quelle gare, e sapevo che la Fiorentina mi stava seguendo. I viola mi presero e così nel 1958/59 mi ritrovavo con loro in Serie A".

GLI ANNI ALLA FIORENTINA

Il 18 gennaio 1959, a 19 anni, Albertosi fa il suo esordio in Serie A come portiere della Fiorentina.

"Ho debuttato in Serie A a Livorno, in campo neutro, contro la Roma, perché il portiere titolare, Giuliano Sarti, si era infortunato. Giocai anche lì una buona partita. Fui confermato in casa contro il Napoli e vincemmo quella gara 4-1. Poi però Sarti tornò ed io riandai in panchina e giocavo solo quando si infortunava o era squalificato".
"Giuliano era un grande portiere, dal quale io ho imparato molto. Gli stavo dietro in allenamento e osservavo come si muoveva in partita. All'epoca non c'erano i preparatori dei portieri come avviene oggi. I portieri facevano l'allenamento assieme al resto della squadra e poi a fine partita ti mettevano in porta, gli attaccanti calciavano e tu paravi".

Dopo i primi anni come dodicesimo, con la maglia viola Albertosi si afferma presto come uno fra i migliori portieri della Serie A.

"A Firenze ho fatto la riserva fino alla stagione 1962/63. Al rientro dal Cile, sono stato promosso titolare in viola. Lo diventai in una Fiorentina che andava a fasi alterne - ricorda -. Nei miei 10 anni in squadra vinsi una Coppa delle Coppe, una Coppa delle Alpi , una Mitropa Cup e due Coppe Italia".

Nel 1960/61 i viola, allenati dall'ungherese Hidegkuti, si affermano in Europa. Albertosi, che in campionato è dodicesimo di Sarti, gioca titolare il torneo (soli 3 goal subiti in 5 gare) e le due finali contro i Glasgow Rangers. La Fiorentina vince 2-0 in Scozia all'andata e 2-1 nel ritorno al Comunale del 27 maggio, aggiudicandosi il trofeo. Lo svedese Kurt Hamrin si laurea capocannoniere.

"Facemmo una grande partita ad Ibrox - ricorda Albertosi - dove vincemmo con una doppietta di Milan, e poi ci ripetemmo in casa, imponendoci 2-1".

Nello stesso anno i toscani si aggiudicano anche la Coppa Italia, battendo 2-0 la Lazio in finale (reti di Petris e Milan) l'11 giugno 1961, e completano l'inedito 'Triplete' con la 2ª edizione della Coppa delle Alpi, superando in finale lo Young Boys (sconfitta per 3-2 a Berna, vittoria per 6-3 al Comunale).

Enrico Albertosi-

Nel 1965/66 la squadra, guidata da Beppe Chiappella, conquista due trofei. Prima il 15 maggio 1966, battendo 2-1 il Catanzaro a Roma ai supplementari (reti di Hamrin e Bertini, pareggio provvisorio di Marchioro), Albertosi solleva la 2ª Coppa Italia della sua carriera, quindi il 19 giugno, con un successo di misura in finale sugli slovacchi del Jednota Trencín, arrivato con un goal di Mario Brugnera, anche la Mitropa Cup, il suo seconto titolo internazionale in carriera.

Dopo ben 10 anni in squadra, di cui 5 come titolare, Albertosi, diventato ormai una bandiera della squadra viola, lascia la Fiorentina nell'estate del 1968 con il rammarico di non aver vinto lo Scudetto, che arriverà beffardamente proprio nell'anno del suo addio. Con i toscani chiude con 240 presenze, con soli 209 goal subiti e ben 110 clean sheet.

UN ARTISTA FRA I PALI

Stilisticamente molto bello da vedere in azione, Albertosi era un portiere che sapeva unire efficacia e spettacolarità grazie alle sue doti tecniche e atletiche.

"A risultato acquisito, se c'era da fare qualche volo, lo facevo - dice -, anche perché mi piaceva. Ma avevo un motto nel fare il portiere: 'Il portiere deve parare il parabile'.L'imparabile è quello che distingue il grande portiere dal portiere normale. Perché se io prendo un goal in mezzo alle gambe, e faccio perdere la mia squadra, anche dopo aver fatto 3-4 belle parate, la colpa è mia, perché non sono riuscito a prendere una palla parabilissima. Se invece io paro il parabile, non faccio errori e poi prendo un goal all'incrocio dei pali, non ho colpe. Se poi vado a prendere anche quello, dimostro di essere un grande portiere. Ho sempre predicato questo motto".

Come posizionamento, Albertosi, con la squadra in possesso palla, usciva spesso fuori dalla propria area e fra le sue caratteristiche c'era l'abilità, notevole per l'epoca, di giocare la palla con i piedi.

"Ho imparato molto nel mio ruolo da Giuliano Sarti ai tempi della Fiorentina - spiega in esclusiva a GOAL -, che era un portiere che giocava molto fuori dai pali. Io ho proseguito nella mia carriera, quando sono andato prima al Cagliari e poi al Milan, giocando spesso fuori dall'area quando la mia squadra attaccava. Tante volte sono intervenuto a trequarti di campo per sventare i contropiede degli avversari".
"Per questo se giocassi oggi mi troverei a meraviglia - sostiene Ricky - perché con i piedi giocavo già allora. Questo perché nelle partite di allenamento giocavo in attacco, dato che non mi piaceva giocare in porta durante l'allenamento. Anche perché gli attaccanti arrivavano vicino e tiravano bordate, quindi mi giravo perché avevo paura di infortunarmi. Così gli allenatori mi mettevano davanti e con i piedi giocavo bene".

Un'altra caratteristica di Albertosi era il fatto di parare solitamente senza guanti.

"Io ho sempre giocato senza guanti, fino agli ultimi anni nel Milan - conferma Ricky -. Anche qui, Sarti giocava senza guanti ed io lo seguivo. Allora c'era la palla di cuoio, che quando pioveva diventava pesantissima. In quel caso io giocavo con i guanti di lana, perché con la lana c'era maggiore attrito con la palla. Invece quando non pioveva mi sputavo fra le mani e la palla restava incollata e paravo bene. Così ho sempre giocato, tranne nelle ultime stagioni in rossonero".

IL CAGLIARI E LO STORICO SCUDETTO

Lasciata la Fiorentina, la carriera di Albertosi prosegue in una destinazione nella quale il portiere della Nazionale non avrebbe mai immaginato di giocare: il Cagliari.

"Io in Sardegna non ci volevo andare - ammette Ricky -. Avevo litigato con Andrea Bassi, l'allenatore della Primavera della Fiorentina che era stato promosso in Prima squadra. A 29 anni la società mi considerava già vecchio e aveva deciso di cedermi. Allora mi chiamò Italo Allodi, il Direttore sportivo dell'Inter, che mi disse: 'Ricky, stai tranquillo che il prossimo anno sei dei nostri'. Ed io risposi soddisfatto: 'Va bene, grazie' ".

Le cose però andranno diversamente, e per la seconda volta nella sua vita Albertosi, pur essendoci andato vicino, non giocherà con i nerazzurri.

"Il giorno dopo mi chiama il presidente e mi fa: 'Albertosi, l'abbiamo ceduta'. Ed io: 'Sì, lo so'. Lui però mi incalza: 'Ma non dove pensa lei, al Cagliari'. A quel punto lì la prima risposta fu: 'No, mi dispiace, io a Cagliari non vado'. Poi naturalmente, se volevi continuare a giocare, ai tempi non potevi rifiutare. Il cartellino era della società e dovevi andare dove ti mandavano, salvo smettere di giocare".

Nonostante approdi in Sardegna controvoglia, Albertosi cambierà presto idea.

"A Cagliari sono stato benissimo - afferma -, il primo anno siamo arrivati secondi dietro proprio alla Fiorentina, che vinse il titolo nell'anno in cui io andai via, battendo proprio noi rossoblù, e l'anno dopo vincemmo noi uno storico Scudetto".
Cagliari 1970

Nel 1969/70 anche grazie alle parate di Albertosi, i sardi, trascinati dal bomber e uomo simbolo Gigi Riva, si laureano campioni d'Italia. Per Ricky, a 30 anni, arriva il primo Scudetto in carriera. L'anno seguente, il 16 settembre 1970, al Sant'Elia, contro il Sant'Etienne (vittoria dei sardi per 3-0), il portiere fa anche l'esordio in Coppa dei Campioni. Ma l'infortunio di Riva spegnerà i sogni degli isolani, eliminati agli ottavi dall'Atletico Madrid senza il loro campione e costretti ad abdicare in campionato dopo essere partiti molto forte.

"Se Gigi non si fosse fatto male avremmo rivinto lo Scudetto nel 1970/71 - sostiene Albertosi -, purtroppo si infortunò in Nazionale, a Vienna, contro l'Austria, e non l'abbiamo avuto fin quasi alla fine di quel campionato. Prima che si facesse male avevamo vinto 3-1 a Milano con l'Inter, ed eravamo primi in classifica. Per noi era un trascinatore, un giocatore determinante. Anche quando toccava 3 palle un goal lo faceva di sicuro. E poi non mollava mai, ti incitava, ti spronava".

Non mancano gli aneddoti su quegli anni, in particolare con l'allenatore Manlio Scopigno, detto 'Il Filosofo'.

"Dovevamo giocare a Roma contro la Lazio, e il sabato eravamo in ritiro all'Hotel Quirinale - ricorda Albertosi -. Ad un certo punto la sera decidiamo di fare un pokerino in camera mia e di Gigi, perché noi fumavamo anche in camera. Alcuni dei compagni partecipavano e molti altri erano lì a guardare, solo qualcuno era andato a dormire. Quando erano mezzanotte e mezza-l'una meno un quarto c'è venuta fame e abbiamo chiamato il portiere per farci portare dei panini e delle birre".
"Dopo una mezzoretta si sente bussare alla porta. 'Avanti!', diciamo, convinti fosse il portiere dell'albergo. Invece era Scopigno. In quel momento c'era un fumo in camera incredibile. Lui tira fuori il pacchetto di sigarette e ci fa: 'Disturbo se fumo?'. E poi ci guarda e ci dice: 'Fate gli ultimi tiri e andate a letto'. Così abbiamo fatto e il giorno dopo abbiamo vinto 4-1. Un altro allenatore ci avrebbe cazziato e fatto la multa, innervosendoci. E magari il giorno dopo non saremo riusciti ad esprimerci. Invece con lui ci dava una tranquillità straordinaria, aveva piena fiducia, rimproverandoti solo sulle questioni di campo, non su quello che facevi fuori".
"Quando eravamo in trasferta - rivela Albertosi - a Milano, Torino, Roma e Napoli a me non piaceva andare al cinema, come facevano gli altri, preferivo andare all'ippodromo il sabato pomeriggio. Scopigno mi diceva: 'Ricky, cosa fai oggi? Vieni al cinema con noi o vai all'ippodromo?'. Ed io gli rispondevo sempre: 'No mister, io vado all'ippodromo'. E allora lui non faceva problemi: 'Va bene, alle 7 e mezza si mangia'. Io andavo lì alle 2 e tornavo alle 6, facevo una giornata spettacolare ed ero sempre carico per la partita del giorno dopo. Difatti in campo, quando ero a Cagliari, ero sempre uno dei migliori".

Con i tifosi rossoblù il rapporto è rimasto era eccezionale e ancora oggi è rimasto di grande affetto:

"Ancora ora a distanza di oltre 50 anni quando vado a Cagliari mi riconoscono sempre e mi chiedono autografi. Ho ancora un amico carissimo che ha un ristorante, 'Lo Scoglio', nel quartiere Sant'Elia. Prima lo gestiva il papà e avevamo un'amicizia incredibile. Quando andai via, ovunque mi trovavo ogni Natale mi mandava un pacco dalla Sardegna. Morto il papà il figlio ha continuato questa tradizione, ci sentiamo in media due volte al mese, veramente ho mantenuto un bel legame sia con gli ex compagni di squadra, sia con gli amici del tempo".

A Cagliari Albertosi disputa anche Mitropa Cup, due volte il Trofeo Anglo-Italiano, il Trofeo Picchi, la Coppa delle Fiere e la Coppa UEFA, ma dopo 6 stagioni, 233 presenze, 197 goal subiti e 98 clean sheet, quando i rossoblù si avviano verso il declino, colui che è stato uno degli eroi dello Scudetto lascia la Sardegna per giocare con una grande: lo prende infatti il Milan, e in rossonero scriverà altre pagine di storia del calcio italiano.

DALLA COREA A VICECAMPIONE MONDIALE

L'avventura di Albertosi con la maglia azzurra della Nazionale parte fin dalla Juniores, come lui stesso ricorda.

"Nel 1958, prima di trasferirmi alla Fiorentina - ricorda - con la Nazionale Juniores dell'Italia vincemmo i Campionati europei in Lussemburgo. Con me c'erano, fra gli altri, Trebbi, Trapattoni, Bolchi e Galeone. Avevamo una buonissima squadra e riuscimmo a vincere".

Il passaggio alla Nazionale A non tarda ad arrivare.

"Nonostante fossi una riserva alla Fiorentina - racconta Albertosi - debuttai con la Nazionale maggiore il 15 giugno 1961 nell'amichevole con l'Argentina a Firenze. E nel 1962 fui convocato per i Mondiali in Cile".
"Chiaramente ero riserva, non giocai mai, anche perché quando arrivai lì mi ruppi un dito della mano e mi ingessarono. Davanti a me c'erano Buffon e Mattrel, e siamo stati eliminati al Primo turno. Fummo boicottati, con la famosa 'Battaglia di Santiago', e un arbitro, l'inglese Aston, che non esiste né in cielo né in terra".

Ai Mondiali di Inghilterra '66, Albertosi è ancora una volta fra i 22 convocati e stavolta gioca da titolare. Gli Azzurri di Edmondo Fabbri sono molto accreditati, ma le cose non andranno bene.

"Prima di partire per l'Inghilterra, il titolare era William Negri del Bologna - ricorda Albertosi -. Poi lui si è infortunato e io sono diventato titolare. C'erano Fabbri Ct. e Valcareggi suo secondo. Iniziammo bene battendo 2-0 il Cile, poi perdemmo 1-0 con l'URSS, ma in quella gara sprecammo 6 goal, con Yashin che fece delle parate miracolose".
"Nella terza partita del girone abbiamo incontrato la Corea del Nord. Fabbri voleva vincere a tutti i costi per rimanere nella base di Durham, dove si stava molto bene, e vincere il girone. Siamo andati in campo e lui schiera Bulgarelli che non sta bene, essendo reduce da infortunio. Partiamo e nei primi 10 minuti Perani per 4 volte si presenta davanti al portiere e sbaglia. Non riusciamo a fare goal".

La relazione di Ferruccio Valcareggi, che era stato inviato a visionare gli avversari, definiva i nordcoreani dei "ridolini". Ma in campo le cose andranno diversamente da quanto preventivato dallo staff tecnico. Il capitano Bulgarelli, dolorante al ginocchio, si fa male dopo un contrasto a centrocampo e deve lasciare il terreno di gioco in barella.

In un'epoca in cui non sono ancora state introdotte le sostituzioni, l'Italia deve proseguire la partita in 10 uomini. E a fine primo tempo si materializza l'incubo degli Azzurri.

"Un tiro di Pak Doo-Ik passò sotto le gambe di Facchetti, e, nonostante il mio tentativo di parata in tuffo, si infilò nell'angolino alla mia destra. In 10 contro 11 nonostante tutto abbiamo dominato, io non ho praticamente più toccato la palla, ma non riuscimmo a segnare. Fu una partita incredibile. Abbiamo perso 1-0 e siamo stati eliminati. Quando srebbe bastato un pareggio per passare il turno...".

Al rientro in Italia, i tifosi si scagliano duramente contro la Nazionale.

"Atterrammo a Genova ed è successo il finimondo: ci hanno lanciato pomodori, poi uova marce contro il pullman... Ne sono successe di tutti i colori".

Albertosi si salva dall'epurazione generale, e mantiene il posto da titolare con la nomina di Ferruccio Valcareggi come nuovo Ct. Disputa tutte le qualificazioni ad Euro '68, ma a causa di un infortunio, nella fase finale gioca Dino Zoff. Fra i due inizia un'alternanza e una grande rivalità.

Ai Mondiali di Messico '70, però, è Ricky a riprendersi la maglia da titolare. L'Italia batte di misura la Svezia e pareggia 0-0 con Italia e Israele, qualificandosi con 4 punti come prima ai quarti di finale. Nella fase ad eliminazione diretta supera 4-1 il Messico, ottenendo il diritto a giocarsi l'accesso alla finalissima nella semifinale contro la fortissima Germania Ovest.

"Non eravamo certamente favoriti, lo erano loro, che avevano uno squadrone con Uwe Seeler, Gerd Müller, Wolfgang Overath e Sepp Maier, il portiere. Tutti giocatori eccezionali. Ma siamo andati in campo e siamo passati quasi subito in vantaggio con Boninsegna, per poi difenderci per quasi tutto il tempo. Loro fecero goal al 91', e meno male che l'hanno fatto, perché altrimenti noi avevamo fatto solo una partita difensiva".
"Una volta pareggiato, nei supplementari la partita si è aperta - prosegue Albertosi nel racconto - . Per passare il turno dovevamo segnare noi e dovevano far goal loro. Allora siamo passati in svantaggio, con Müller che mi fece goal, ma pareggiammo dopo pochi minuti con Burgnich, che segnò una delle poche reti della sua carriera, visto che era un mastino in difesa ma in attacco non andava quasi mai".

Sul 2-2 le emozioni all'Azteca continuano senza un attimo di sosta.

"Noi siamo di nuovo andati in vantaggio con Gigi, che ha fatto un goal eccezionale: stop, se l'è messa sul sinistro e con un rasoterra micidiale ha infilato Maier. 3-2 per noi. Ad un certo punto c'è un'azione della Germania Ovest, colpo di testa di Müller ed io faccio un volo e la butto in calcio d'angolo. Sui corner mettevo un difensore sul secondo palo per coprire quel metro di porta dove non potevo arrivarci. Ma vedo arrivare Rivera...".
"Allora gli dico: 'Gianni, cosa ci fai lì, vai via che ci metto un difensore'. E lui: 'Ci sto io, ci sto io'. Io sono perplesso: 'Guarda che se ci stai tu, se la palla viene in quel metro lì, io non mi preoccupo. La devi prendere tu'. Gianni mi rassicura: 'Sì, sì'. Parte il calcio d'angolo, colpo di testa di Seeler, Müller lo corregge e la palla va verso Rivera. Gianni si gira di fianco per prenderla con il ginocchio, ma la palla si infila fra lui e il palo: 3-3. Ci fosse stato un difensore avrebbe fatto un metro avanti, l'avrebbe controllata con il petto e l'avrebbe portata via".
"Prendemmo il goal del pareggio, e a quel punto gliene ho dette di tutti i colori: parolacce, insulti, l'ho offeso a morte. Tant'è vero che lui, abbracciato al palo, battendo la testa sul legno, disse: 'Per rimediare ora posso solo andare a far goal'. E infatti palla al centro, tre passaggi e fece un goal meraviglioso, di piatto: palla da una parte e portiere dall'altra. 4-3 per noi, andiamo in finale al termine di una partita unica, che per me sarà molto difficile da rivedere, soprattutto in un Campionato del Mondo. Allo Stadio Azteca è rimasta una targa che ricorda quella gara come 'La partita del secolo' ".
Italy World Cup 1970

L'Italia affronta in finale il Brasile di Pelé, ma stavolta gli Azzurri di Valcareggi escono battuti nettamente per 4-1.

"Incontrammo un Brasile eccezionale, giocatori così forti per me non gli avrà mai più. A parte il portiere, Felix, che non era un fenomeno, ma tanto gli arrivavano tre tiri in porta, con l'attacco che avevano, composto da Jairzinho, Tostão, Pelé e Rivelino, potevano fare quello che volevano e il goal lo trovavano in qualsiasi momento. Inoltre noi avevamo giocato sempre a 2 mila metri, loro invece avevano giocato sempre a livello del mare, sono arrivati all'ultimo momento, senza aver mai giocato i supplementari, per cui erano molto più freschi di noi, che pagammo lo sforzo con la Germania Ovest. Abbiamo resistito fino al 60', poi dopo aver preso il secondo goal siamo crollati e per loro è diventato tutto facile".
"Quando tornammo in Italia, ci contestarono per l'ingresso di Rivera a 6 minuti dalla fine. La gente non aveva capito che con due sole sostituzioni, c'erano molti giocatori stanchi e Valcareggi era stato costretto già a fare un cambio, Juliano per Bertini. Poi ha aspettato a fare il secondo perché Mazzola stava bene e il rischio di restare in 10 era concreto. Aspetta e aspetta e alla fine ha messo dentro Gianni ma ormai era tardi. A Roma contestarono il Ct. per non averlo fatto giocare dall'inizio del secondo tempo".

IL MILAN E LO SCUDETTO DELLA STELLA

Nel 1974 il Cagliari cede Albertosi, ormai trentaquattrenne, al Milan, dove il presidente Albino Buticchi, deciso a costruire una squadra da Scudetto, non bada a spese: i rossoneri pagano il portiere 150 milioni di vecchie Lire più la comproprietà di William Vecchi e il cartellino di Ottavio Bianchi.

Albertosi, insieme a Riva, era destinato però a trasferirsi a Torino.

"Il Cagliari aveva bisogno di far cassa. Io e Gigi nel 1972 dovevamo andare alla Juventus - svela Ricky -. Sembrava fatta ma saltò tutto perché Riva non accettò: 'Piuttosto che andar via da Cagliari - disse - smetto di giocare'. Il tutto nonostante le mie lusinghe, io continuavo a martellarlo, perché eravamo in camera insieme. 'Gigi, se andiamo a Torino vinciamo lo Scudetto tutti gli anni, guadagniamo un sacco di soldi. Al Cagliari ormai abbiamo dato tutto'. E lui: 'No, no, io non mi muovo da qui, a Cagliari sto bene e guadagno bene, se vado a Torino devo fare allenamento tutti i giorni, sono costretto a far goal tutte le domeniche, qui mi sento tranquillo e libero'. Allora non se ne fece nulla, il Cagliari due anni dopo mi diede al Milan e la Juventus prese Zoff. Se fossi andato io alla Juve avrei vinto un po' di campionati e sarei rimasto il titolare fisso in Nazionale ancora per almeno 5-6 anni".

Anche in rossonero, quando nessuno ormai scommetteva più su di lui, Albertosi vivrà una seconda giovinezza, disputando grandi campionati. Con Nereo Rocco in panchina il portiere vince la terza Coppa Italia della carriera nel 1976/77, superando 2-0 in finale l'Inter nel Derby della Madonnina.

"Quell'anno ho salvato il Milan dalla retrocessione - sottolinea orgoglioso Albertosi - e poi ho vinto in rossonero il campionato 'della Stella'. Per me è stato un riscatto. Avevamo un allenatore Liedholm, che non ti imponeva le cose e sapeva capire i bisogni di tutti i calciatori che aveva a disposizione, ed era un ottimo motivatore. Dopo essere stato un grande giocatore, lo svedese è stato anche un eccellente allenatore e lo ha dimostrato vincendo a Milano e a Roma".

Durante gli anni al Milan cambia anche il look del grande portiere: il viso sbarbato e pulito dell'età giovanile, lascia spazio ai capelli più lunghi e a due folti baffoni. Alcune sue parate in rossonero restano impresse nella memoria. Il 19 febbraio 1978 al Menti, sotto un'abbondante nevicata, il portiere di Pontremoli sfodera tre interventi decisivi in meno di 5 secondi: prima dice di no in tuffo a Filippi, quindi si rialza e nega la rete a Cerilli, che colpisce da posizione favorevole, infine con un colpo di reni felino nega la gioia a Guidetti, anche lui ben piazzato.

Le tre prodezze passano alla storia come 'la tripla di Vicenza'. Il Milan, grazie alle parate del suo portiere, mantiene il vantaggio per 1-0, ma Albertosi deve poi lasciare il terreno di gioco per un'ematoma alla coscia.

"È la prima volta che mi riesce di respingerne tre", dirà il portiere. Il Milan, senza di lui, pareggerà 1-1.

Nell'anno premondiale Ricky si esalta anche contro la Juventus: due i salvataggi su Bettega, e uno a testa su Gentile e Boninsegna. Della stagione 1978/79, quella dello Scudetto, invece, ricorda il rigore parato ad Altobelli sul risultato di 0-0. Albertosi resta in rossonero fino al 1980, coronando con lo Scudetto 1978/79, vinto a 39 anni, una carriera leggendaria.

"In Italia Liedholm e Scopigno sono stati i miei migliori allenatori - afferma - , in quello internazionale Valcareggi".
"La mia carriera ad alti livelli l'ho conclusa nel Milan - ricorda Albertosi - dove, a differenza del Cagliari, dove si creò un ambiente familiare, non ho più amicizie, eccetto che una, Boldini".
"A Cagliari, invece, sento regolarmente Tomasini, Reginato, Brugnera, Poli, Greatti e Gigi. In Sardegna è un vivere diverso rispetto alle altre città".

Nel 1979/80, con Massimo Giacomini in panchina, qualche errore grossolano, come quello in Coppa dei Campioni che spiana la strada al Porto, gli attira le critiche dei tifosi, abituati bene negli anni precedenti. A porre fine a 40 anni alla sua avventura rossonera non sarà però il tempo, ma lo scandalo del Totonero.

LA RIVALITÀ CON ZOFF E L'ESCLUSIONE DA ARGENTINA '78

L'epopea di Albertosi in Nazionale volge al termine dopo la mancata qualificazione ad Euro '72. Il portiere di Pontremoli è convocato anche per i Mondiali di Germania Ovest '74 (suo 4° Mondiale) ma è ormai il vice-Zoff e non scende mai in campo, anche perché l'Italia di Valcareggi è eliminata al Primo turno fra le polemiche.

"Mi ritenevano vecchio e fui escluso dalla Nazionale - spiega - , quando invece probabilmente dal 1974 al 1981 ho fatto le migliori partite della mia carriera".

Nasce ufficialmente, per i giornalisti, il dualismo fra Albertosi e Dino Zoff.

"Credo che l'abbia vissuto peggio lui - sostiene Ricky - io ero un po' menefreghista e non lo sentivo. Facevo il mio e giocavo tranquillo. Lui forse un pochino l'ha sofferto. Erano i giornalisti, però, a volerci mettere l'un contro l'altro".
"Il dualismo venne fuori soprattutto dopo i Mondiali del '78 - racconta - . Io avevo fatto un campionato 1977/78 eccezionale, salvando il Milan. Allora allenatore della Nazionale era Bearzot, che mi aveva chiamato dicendomi se volevo fare il terzo portiere in Argentina. Io allora gli dissi: 'Ma mister, vengo anche a portare le valigie'. Per me sarebbe stato il 5° campionato del Mondo, un record, nessuno in Italia aveva fatto 5 campionati del Mondo".
"Eravamo d'accordo, senonché dopo una quindicina di giorni lui mi ha richiamato dicendomi che Zoff non era tranquillo se c'ero io, per cui preferiva lasciarmi a casa e lasciar tranquillo Dino. Gli dissi: 'Se la pensa così va bene, non ci posso far nulla".
"Poi Zoff prese due goal dalla distanza contro l'Olanda, uno da quasi metà campo. Io allora lo criticai a morte, lo distrussi. A quel punto lì venne fuori il dualismo. Io e lui non ci siamo parlati per diverso tempo, io poi ho smesso, lui ha continuato ancora per un po' e poi ha fatto l'allenatore. Finché non ci siamo incontrati un'estate al mare. Lui scendeva le scale di un albergo e io le salivo, ci siamo abbracciati e siamo tornati in buoni rapporti come eravamo prima".

L'ultima partita di Albertosi in Nazionale resta così l'amichevole di Sofia con la Bulgaria del 21 giugno 1962. Colui che è stato uno dei più forti portieri della storia del calcio italiano e ha giocato 'la partita del secolo' chiude con un bilancio di 34 presenze e 27 goal subiti.

LA SQUALIFICA E IL RITORNO CON L'ELPIDIENSE

Giocata quella che sarà la sua ultima gara in Serie A il 10 febbraio 1980, a 40 anni, 3 mesi e 8 giorni, contro il Perugia (1-0 per i rossoneri), il portiere è coinvolto nello scandalo che travolge il calcio italiano e paga per responsabilità non sue. Al termine di Milan-Torino, il 23 marzo, viene arrestato dalla Guardia di Finanza assieme ai compagni Morini e Chiodi per aver riferito il contenuto di una telefonata al presidente Colombo. È addirittura trattenuto 8 giorni a Regina Coeli e viene squalificato 4 anni, poi ridotti a 2, per l'amnistia che scatta dopo la vittoria dell'Italia nel Mondiale spagnolo.

"Non mi piace parlarne - dice Ricky -, mi sono preso colpe che non avevo. Ho riportato una telefonata, solo che ero il più anziano, il più vecchio, e non nascondevo nulla di quello che facevo: giocavo ai cavalli, facevo l'amore quando volevo... Un giocatore ai tempi non poteva dire quello che faceva. Dovevi comportarti in un certo modo. A me invece non interessava, e facevo sempre quello che volevo: fosse venerdì o sabato sera non importava. E me l'hanno fatta pagare. Ci ho rimesso io".

Albertosi non si dà per vinto, e, nonostante la lunga squalifica, una volta scontata quest'ultima torna ad indossare calzoncini, maglietta, scarpini e guanti in Serie C2, dove firma con l'Elpidiense, formazione marchigiana neopromossa.

Grazie alle parate dell'esperto estremo difensore l'Elpidiense termina al 6° posto nel 1982/83, l'anno seguente, in cui veste i panni dell'allenatore-giocatore, con suo figlio come calciatore, invece, le cose vanno meno bene e un grave infortunioal ginocchio sinistro porrà fine alla sua carriera.

"Dopo due anni in cui sono stato fermo ripresi a giocare con l'Elpidiense - ricorda Ricky - in Serie C2. Smisi nel 1983 a 44 anni a causa di un infortunio al ginocchio sinistro: il portiere di riserva in allenamento mi franò addosso, e mi ruppe il legamento crociato e il collaterale. Altrimenti avrei continuato ancora: avevo un fisico longilineo con le gambi sottili, mi mantenevo in forma anche se non facevo allenamento".
"Dimostrai ancora una volta di essere valido, e questa è stata una grande soddisfazione. Ancora oggi ho amici a Sant'Elpidio".

LA BREVE CARRIERA DA ALLENATORE E COSA FA OGGI

Nel 1984/85 allena per 8 giornate la Vis Pesaro, ma quella resterà anche la sua ultima esperienza da tecnico.

Nel maggio del 2004 disputa una corsa di trotto all'ippodromo Sesana a Montecatini, riservata ai giornalisti, e viene colpito da una forma grave di tachicardia ventricolare. Fortunatamente, dopo alcuni giorni di coma farmacologico indotto dai medici, si ristabilisce pienamente senza riportare conseguenze.

Il Cagliari lo ha inserito nella sua Hall of Fame, mentre l'IFHHS, la Federazione Internazionale di Storia e Statistica del calcio, lo colloca al 32° posto fra i portieri europei più forti del XX secolo.

Oggi vive a Forte dei Marmi con la sua seconda moglie, Betty, con cui ai tempi del Milan gestiva a Milano il ristorante Tatum, e da nonno si gode i suoi nipoti. Naturalmente seguendo sempre il calcio, in modo particolare le squadre per cui ha giocato.

"Mi sento abbastanza bene - assicura -, sono un tranquillo pensionato e mi dedico ai nipotini. Mi fanno tornare un pochino più giovane di quello che non sono".
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