Pubblicità
Pubblicità
Ghiggia GFX senza logoGOAL

Alcides Ghiggia, l'eroe dell'Uruguay che ammutolì il Maracaña e fece piangere il Brasile

Pubblicità

"Soltanto in tre abbiamo zittito il Maracanã con un gesto: Frank Sinatra, Giovanni Paolo II e io".

Alcides Ghiggia, l'uomo che il 16 luglio del 1950 si laureò campione del Mondo con l'Uruguay a Rio de Janeiro e con il suo goal fece piangere il Brasile intero, nella sua vecchiaia amava ripetere questa frase, divenuta celebre perché dopo di lui solo il Papa e il grande cantante erano riusciti ad ammutolire il tempio del calcio brasiliano, gremito di 200 mila spettatori.

Quel rasoterra velenoso da posizione defilata, infilatosi fra il palo e Barbosa, il primo portiere nero della Seleçao, dopo una fuga in contropiede, consegnerà lui alla gloria eterna come eroe (per gli uruguayani) e fantasma (per i brasiliani) del Maracanazo e il suo avversario all'assurda emarginazione.

Alto meno di un metro e 70 per 62 chilogrammi, fisico asciutto, occhi vivaci e sorriso furbo sotto i baffetti che celavano un'indolesanguigna e battagliera tipicamente sudamericana, l'uruguayano era un'ala destra di attitudine offensiva. Specialista del dribbling e del doppio passo, grazie ad uno scatto bruciante sapeva lasciare sul posto i difensori avversari, servire con splendidi cross gli attaccanti o concludere personalmente a rete con tiri angolati e spesso imprevedibili.

Viste le origini italiane del padre, approderà in Italia per vestire le maglie di Roma e Milan e giocare da oriundo anche con l'Italia, senza troppa fortuna. Dopo il calcio, fece vari lavori, dall'istruttore di scuola guida al direttore di un supermercato, per poi essere assunto a lavorare in tre casinò di Montevideo. Scampato ad un terribile incidente stradale, visse fino all'età di 88 anni, quando un infarto se lo portò via all'improvviso, incredibilmente nello stesso giorno del Maracanazo.

DAL BASKET AL CALCIO NEL PEÑAROL

Alcides Edgardo Ghiggia, questo il suo nome completo, nasce a Montevideoil 22 dicembre 1926, esattamente a La Blanqueda, quartiere del ceto medio, in via Herrero Cantera. Alcides ha tre fratelli e due sorelle.

Sviluppa precocemente un rapporto quasi amoroso con il pallone da calcio, quando è ancora un bambino. Impara a dribblare scartando vicino a casa il cane di famiglia, con cui improvvisa anche singolari gare di velocità, e dopo la scuola va a giocare in strada con gli altri ragazzi del quartiere utilizzando palloni fatti di stracci, carta e calze.

"Per me la palla è come una donna, - dirà in un'intervista concessa negli anni Novanta del secolo scorso per 'La partita del secolo' su 'Tele +' - come una madre o una fidanzata. Bisogna trattarla bene, viziarla, amarla. Accarezzarla, senza mai trattarla male. In realtà oggi spesso la maltrattano, la colpiscono su tutti i lati. Invece bisogna trattarla con molto amore e usare palloni improvvisati ti permetteva di imparare a controllarla".
"Quando ero bambino - racconterà - andavo a correre con il cane. Partivamo dal salotto e in genere arrivavamo fino all'angolo della via, camminando. Quando il cane si stancava di passeggiare, iniziavamo a correre. Cercavo sempre di arrivare primo. Di vincere. Era un po' difficile ma ho iniziato ad allenarmi proprio con quel cane".

Ma a dispetto della sua altezza e stazza non certo imponenti, il suo primo approccio con lo Sport avviene tramite il basket. Da bambino gioca infatti a pallacanestro nel Nacional, scelta però non condivisa da sua madre Gregoria:

"Se vai da quelli lì, - lo ammoniva - non metti più piede in questa casa".

Ragazzo intelligente, si era iscritto all'Universidad Técnica del Uruguay per studiare Meccanica ed Elettrotecnica, tuttavia presto intuisce che il calcio sarebbe stato per lui la strada più adatta, e riesce a convincere suo padre a permettergli di provare a sfondare con quel pallone che lui già era in grado di trattare con tanta raffinatezza.

"O diventi qualcuno o ti trovi un lavoro vero", lo ammonì allora colui che era figlio di un italiano partito nel 1870 da Sonvico, nel Canton Ticino, emigrato prima nella provincia argentina di Tucuman, poi nella Banda Orientral (l'antico nome dell'Uruguay). Erano i suoi genitori a portarlo sempre allo stadio a vedere le partite della squadra giallonera. E Ghiggia riuscirà a diventare qualcuno.

A 18 anni inizia a giocare a livello giovanile con il Sud América, club di Montevideo, poi passa al Progréso, altro club della capitale uruguayana. La svolta della sua carriera arriva però nel 1948, quando, dopo aver effettuato un provino con l'Atlanta di Buenos Aires, punta su di lui il Peñarol, la squadra che deriva il suo nome dalla città piemontese di Pinerolo e dove giocano i figli di molti emigrati italiani, di cui mamma e papà erano grandi tifosi.

Gli inizi lo vedono relegato nella Squadra giovanile ad osservare i campioni più esperti di lui. Ma nel 1949 è decisivo l'incontro con il tecnico ungherese Imre Hirschl, che si innamora calcisticamente di Ghiggia e lo lancia in Prima Squadra.

Qui Alcides incontra Pepe Schiaffino, anche lui figlio di emigrati italiani, provenienti da Camogli, in Liguria, Obdulio Varela, centromediano leggendario soprannominato 'El Negro Jefe', 'Il Capo Nero', e il centravanti Oscar Miguez. Hurschl lo trasforma da attaccante puro ad ala destra, ruolo in cui può sprigionare il suo estro ed essere decisivo con la velocità, la tecnica, i cross e la sua abilità nelle conclusioni.

"Quando entrai nel Peñarol - dirà - ero felice perché era la mia squadra del cuore. Ma sarebbe stata dura perché c'erano due giocatori della Nazionale, Britos e Ortiz, ed io sarei stato il terzo attaccante. Una volta però, durante un allenamento, arrivarono due dirigenti del club e chiesero all'allenatore Hirsh se aveva già deciso la squadra. Rispose di sì e diede loro i nomi, e quando fu il momento di pronunciare il nome dell'ala destra, indicò con il dito verso di me".
"E i dirigenti allora gli chiesero: 'Come è possibile, se abbiamo due giocatori della Nazionale, Britos e Ortiz?'. E lui deciso: 'No, no, sarà lui l'ala destra titolare della Prima Squadra".

Il Peñarol vince lo Scudetto uruguayano del 1949 (8 i goal segnati da Ghiggia) più altri due titoli regionali senza mai perdere una gara, e farà il bis due anni più tardi, nel 1951, piazzandosi al 2° posto alle spalle degli storici rivali del Nacional nel 1950 e nel 1952. Nei quattro anni in cui veste la maglia giallonera, Alcides, chiamato in patria 'El Chico', colleziona in tutto 26 goal in 169 presenze in un attacco che sarà ribattezzato 'la escuadrilla de la muerte'.

"In velocità ero difficile da fermare. - dirà di se stesso - Cercavano di sgambettarmi ma io non cadevo mai. E quando cadevo, mi rialzavo immediatamente. Per me contava solo arrivare a fondo campo e passare la palla ai miei compagni".

IL TITOLO MONDIALE DEL 1950

Le prestazioni di alto livello fornite con il Peñarol inducono il Ct. dell'Uruguay, Juan Lopez, a convocarlo nella Celeste e a farlo debuttare il 6 maggio del 1950 nella Coppa Rio Branco contro il Brasile. L'Uruguay vince 4-3, l'ala del Peñarol è confermata per le partite successive e sarà fra i convocati della spedizione mondiale del 1950.

"Arrivammo in Brasile 20-25 giorni prima dell'inizio dei Mondiali. - ricorda Ghiggia - La prima partita fu a Belo Horizonte contro la Bolivia. Inizialmente la gara fu difficile, soprattutto per lo stile di gioco dei boliviani. Ma poi trovammo il primo goal e la gara cambiò. Non avremmo immaginato di fare addirittura 8 reti alla Bolivia".

Uno degli 8 goal porta la firma dell'ala destra, e grazie al successo sui sudamericani, la Celeste si qualifica per il girone finale, dove trova Spagna, Svezia e Brasile, in un girone all'italiana che avrebbe laureato vincitore la prima in classifica.

La prima partita è contro la Spagna. Ghiggia sblocca la sfida al 29', poi però le Furie Rosse reagiscono e in due minuti, dal 37' al 39', la ribaltano con una doppietta di Basora. Sarà allora il capitano, Varela, a siglare il definitivo 2-2 al 73'.

Con la Svezia di Jeppson e Skoglund l'Uruguay si impone 3-2 in un match anch'esso molto combattuto: gli scandinavi vanno in vantaggio dopo pochi minuti, Ghiggia pareggia, ma sono ancora gli uomini del Ct. George Raynor a chiudere il primo tempo sul 2-1. Nella ripresa però si scatena il centravanti Miguez, che con una doppietta firma la rimonta.

In virtù dei risultati ottenuti dalle squadre, tutto si deciderà nell'ultima gara, in programma al Maracaña il 16 luglio contro il Brasile padrone di casa e sicuro della vittoria finale. Tanto più che alla Seleçao, che con il suo 'attacco atomico' aveva travolto nelle prime due partite Svezia (7-1) e Spagna (6-1), basta un pareggio per laurearsi campione del Mondo davanti ai suoi tifosi.

Nessuno mette in dubbio che qualcosa di diverso possa accadere, e i giornali danno per scontata la vittoria del Brasile. 'Mundo' esce in edicola il giorno della gara con il titolo: "Ecco i nuovi campioni del Mondo", e una foto grande del Brasile.

L'imponente stadio di Rio è tappezzato di manifesti con scritte come "Omaggio ai campioni del mondo", vengono coniate ventidue medaglie d'oro, scritti i discorsi in portoghese, preparata la banda per l'inno nazionale, mentre di quello uruguagio i musicisti non possiedono neppure gli spartiti. Perché mai prepararli, del resto?

Juan Lopez chiede ai suoi ragazzi una grande partita, Varela si raccomanda con tutti:

"State concentrati e non guardate mai la tribuna".

Sul campo, come prevedibile, i brasiliani si riversano all'attacco alla ricerca del goal del vantaggio. Ma l'Uruguay gioca con ordine e spezza le trame offensive dei rivali con un primo tempo di sacrificio: si va a riposo sullo 0-0. A inizio ripresa, però, un tiro-cross di Friaça si infila alle spalle di Maspoli, e il destino del Mondiale del 1950 della partita sembra segnato.

L'1-0 manda in delirio i 200 mila del Maracaña. Varela, il capitano uruguayano, raccoglie la palla in fondo alla rete e con estrema lentezza la riporta a centrocampo. Nel tragitto fra la porta e la linea mediana scuote i suoi compagni, in particolare Ghiggia e Schiaffino. È ancora convinto che l'impresa sia possibile e iniziare a dominare il gioco a centrocampo. Al 66' l'ala destra salta il suo marcatore Bigode e scatta fino all riga di fondo, dalla quale serve all'indietro, sul primo palo, per l'accorrente Schiaffino, che con un gran tiro insacca sotto la traversa: 1-1.

"Ho raggiunto la palla sulla destra - racconterà Ghiggia - ho scartato Bigode, che mi marcava, vado in diagonale per prepararmi al cross e vedo Schiaffino che si inserisce centralmente. Mentre si avvicina io faccio il passaggio, e lui la mette nell'angolo alto della rete, lontano dal portiere, che era leggermente spostato sulla sinistra. Schiaffino è stato furbo a calciare sulla destra".

Il goal del pareggio ha il potere di terrorizzare i brasiliani, e la paura fa capolino nei cuori dei tifosi della Seleçao. La tragedia sportiva del Brasile è completata al 79', quando Ghiggia scatta ancora sulla destra, inseguito da Juvenal, ma stavolta, anziché crossare, calcia teso rasoterra sul primo palo, mettendo la palla fra il legno e Barbosa, sorpreso dalla giocata.

È il Maracanazo, il 'goal del siglo' per gli uruguayani, per tutti quello più silenzioso della storia del calcio. I 200 mila del Maracaña sono raggelati e non proferiscono parola, in un silenzio surreale. Nonostante manchino ancora 11 minuti al 90', il Brasile, demolito nello spirito, non riuscirà a trovare il pareggio nell'assalto finale. Finisce 2-1, l'Uruguay è campione del Mondo per la seconda volta nella sua storia, e Ghiggia e compagni esultano per l'incredibile impresa.

"Non volava una mosca - ricorderà l'ala destra - come se fosse morto qualcuno".
Brazil Uruguay 1950

Dopo il fischio finale, il Presidente della FIFA Stanley Rous si affretta a consegnare la Coppa Rimet agli uruguayani senza alcuna cerimonia, visto che la banda non disponeva nemmeno dello spartito dell'inno, dato che una sconfitta della Seleçao non era nemmeno presa in considerazione. Sull'intero Brasile intanto scende la tristezza più profonda.

"Sul momento non mi resi conto dell’enormità della situazione. - dirà Ghiggia - Duecentomila mila brasiliani erano venuti al Maracanã convinti di festeggiare il trionfo della Seleção, e il piccolo Uruguay grazie al mio goal stava sfilando loro la Coppa da sotto il naso. Fu a fine gara, nel vedere la gente impietrita se non già disperata, che cominciai a realizzare: nessuno è mai stato 'in trasferta' come noi quel giorno".

Già allo Stadio ci sono due suicidi e dieci persone sono colpite da infarto. Il Governo proclama un lutto nazionale di tre giorni, nel corso dei quali si verificano altri 34 suicidi e 56 infarti. Mentre il povero Barbosa, messo all'indice ed etichettato come grande resposanbile unico del disastro sportivo, morirà 50 anni dopo a causa di un ictus.

Ghiggia, l'eroe uruguagio, capace di segnare in ogni gara di quei Mondiali, record che sarà eguagliato soltanto dal brasiliano Jairzinho nel 1970, al rientro in patria festeggerà come si deve il grande trionfo del Maracaña.

"A me come a Varela dispiacque vedere un intero stadio, un intero Paese piangere, si ammazzarono le persone. - dirà - Ma contemporaneamente il nostro popolo stava vivendo il giorno più glorioso".
"Quel Brasile era una grande squadra, forse la migliore che abbiano mai avuto. Secondo me hanno commesso l'errore di credere di aver vinto la partita prima di giocarla. I giornali avevano i titoli già pronti: 'Brasile campione del Mondo'. Mancavano solo gli autori dei goal. Invece dovettero rifare tutto da capo. Anche i tifosi avevano una maglia sotto con su scritto: 'Brasile campione del Mondo'. Ma non andò così. A volte la convinzione tradisce l'uomo".

Devoto di San Cono, il patrono della Nazionale uruguayana, mantenne il voto fatto prima di partire per il Brasile.

"Avevo promesso a San Cono che se avessi vinto i MOndiali, gli avrei portato la mia maglia. Così al rientro lasciai la mia maglia al Santuario di San Cono".

DALLA SQUALIFICA ALLA ROMA

L'impresa del Maracaña porta all'ala destra uruguagia gloria e fama. Ma l'ultima stagione di Ghiggia con il Peñarol termina nel modo più imprevedibile. È il 1952, e i gialloneri chiudono il campionato a pari merito con gli acerrimi rivali del Nacional a 31 punti. Per decidere il vincitore è necessaria la disputa di uno spareggio.

"Loro ci fecero goal, ma ferirono anche il portiere Dantero. - ricorderà Ghiggia - Erano entrati in rete con la palla. L'arbitro non disse nulla e noi protestammo, ma non ci fu nulla da fare. Allora lo colpii, arrivando di spalle. Non so se fosse capace di leggere nel pensiero, fatto sta che aveva capito che ero stato io. Fu così che mi espulse dal campo... Ed espulse anche Miguez, che lo aveva insultato. Il Peñarol rimase in 9 contro 11 e perse il Classico 4-2".

Il titolo uruguayano sfuma all'ultima, ma quel che è peggio, a Ghiggia viene inflitta, nel pieno della sua carriera, una lunga squalifica: 15 mesi di sospensione dal Peñarol e dalla Nazionale. Chiamato a testimoniare davanti alla Federazione, il numero 7 del Peñarol aveva parlato di 'corruzione dell'arbitro'.

Per effetto di quella squalifica, Ghiggia saluterà il Peñarol dopo 26 goal in 169 presenze e il suo stesso Paese per approdare in Serie A, ma dovrà dire addio anche alla Celeste e non potrà difendere nel 1954 il titolo di campione del Mondo conquistato nel 1950. La sua avventura con l'Uruguay termina così il 16 aprile 1952 con un bilancio di 12 presenze e 4 reti, tutte realizzate nei Mondiali del 1950. L'ultima partita è un'altra gara con il Brasile: stavolta la sfida, valevole per i Giochi Panamericani, sorride ai verdeoro, che si impongono 4-2.

La dirigenza del Peñarol nel 1953 autorizza il trasferimento del giocatore alla Roma, la società con cui condivide l'anno di nascita (1926). A condurre l'operazione è il presidente giallorosso Renato Sacerdoti, detto 'Il Banchiere di Testaccio', che durante la Seconda Guerra Mondiale era riuscito a fuggire da un lager travestendosi da prete e rifugiandosi in un convento.

Sacerdoti dà mandato al Direttore generale giallorosso, Vincenzo Biancone, di condurre la trattativa con il giocatore e il club uruguayano. Alla fine, nonostante le frontiere in Italia siano chiuse, le sue origini italiane gli permettono di ottenere la doppia nazionalità e Ghiggia può approdare nella capitale.

"Mi chiesero se ero disposto a venire a giocare alla Roma, in Italia, ed io risposi di sì. - racconterà a 'La partita del secolo', su 'Tele +' - C'erano però da superare molti problemi, ed era difficile che il Peñarol desse l'ok. So che la società si riunì per decidere e alla fine si accordarono e mi permisero di andare a giocare in Europa".

L'operazione si chiude per una cifra fra i 33 e i 40 milioni e il 31 maggio 1953 Sacerdoti annuncia il suo approdo alla Roma in una celebre assemblea societaria tenutasi al Teatro Sistina.

"Poche ore fa, prima di venire fra voi, sono stato informato che uno dei più grandi giocatori del mondo vestirà con l’inizio del prossimo torneo, la maglia giallorossa. Si chiama come il nostro presidente del Consiglio".
"Palmiro, Palmiro!", urlano alcuni soci di sinistra, rievocando l’ex segretario del Partito Comunista Italiano Togliatti

Ma i democristiani, in netta maggioranza, hanno già capito:

"Arcide, Arcide!", è il nuovo urlo che risuona altonella sala.

E a quel punto Sacerdoti toglie ogni residuo dubbio:

"È Alcides Ghiggia, campione del mondo con l’Uruguay".

E alla pronuncia del nome dell'erore del Maracaña, raccontano le cronache, al Sistina scoppiò il finimondo, con un boato di applausi e la gioia di tutti i soci. Il 3 giugno, quando il suo aereo sbarca a Fiumicino, due ali di folla in estasi lo accompagnano fino all'auto che lo aspetta.

LA COPPA DELLE FIERE, LA DOLCE VITA E LE DONNE

Ghiggia troverà in Italia una seconda patria. Dopo le difficoltà iniziali di ambientamento, grazie all'aiuto del capitano giallorosso Arcadio Ventura, inizierà a deliziare i tifosi con le sue classiche giocate, mandando in visibilio i fans giallorossi, che spesso decidevano di acquistare i tagliandi per la Tribuna Tevere o Monte Mario del nuovo Stadio Olimpico solo per vedere in azione da vicino il fuoriclasse uruguayano.

"Quando papà arrivò a Roma, - racconterà al sito ufficiale della Roma il figlio di Ghiggia, Arcadio - si ritrovò da solo in un Paese che ancora non conosceva. Il capitano della Roma, Arcadio Venturi, lo trattò come un fratello e riuscì a non farlo sentire uno straniero in Italia. Papà si trovò così bene che, in virtù di quella amicizia, mi battezzò con il nome del suo amico Arcadio. Per me è stato un grande onore scoprire questa storia".
"Fu felice di trasferirsi anche per le sue radici, per la sua discendenza italiana. Giocare nella Roma, la squadra della Capitale, era un sogno che si realizzava. Posso affermare con certezza che la Roma è stato il suo amore. Un amore inseparabile. Sono rimasti uniti fino al suo ultimo giorno di vita".

Il 4 giugno 1953, il grande colpo è presentato allo Stadio Olimpico davanti a 55 mila persone. La Roma batte 4-2 il Charlton in amichevole e lui segna un goal. Per l'evento viene anche coniata una medaglia celebrativa. La società incassa 15 milioni, con i tifosi che non stanno nella pelle per abbracciare il loro nuovo beniamino. Peppe, il mitico magazziniere della Roma rimasto nel club fino ai tempi di Rudi Völler, ricorda che l'ala uruguayana aveva una fissa per gli scarpini bullonatiLi voleva tirati a lucido, splendenti. Con quelli scarpini ha poi scritto la storia della Roma, giocando per 8 anni con la maglia giallorossa sulle spalle.

Il debutto ufficiale in Serie A arriva il 23 settembre del 1953 contro il Genoa, travolto dal 4-0 giallorosso e dal primo sigillo dell'acquisto estivo.

Ai goal preferirà spesso e volentieri i passaggi per i compagni, e metterà insieme 213 presenze e 19 reti. Gioca con i capelli brillantinati e la foto della madre dentro i calzettoni, e quando segna esulta gridando il suo nome:"Gregoria! Gregoria!".

Durante la sua permanenza la Lupa non riuscirà mai a vincere lo Scudetto. Si piazza una volta 14° e una volta 9°, ottenendo per il resto un 8ª posizione, quattro sesti posti, un quinto posto e un terzo posto, miglior risultato ottenuto in Serie A con i giallorossi, nella stagione 1954/55.

In campo Ghiggia dà spettacolo con la sua classe. Una volta, dopo una partita vinta 3-1 con l'Alessandria, i suoi compagni dichiararono: "Quando si è messo in moto il campione del mondo, ha vinto la partita da solo".

In un'altra occasione batte un rigore a due, mandando a rete l'apolide Istuan Nyers.Qualcuno lo critica per la discontinuità nell'arco dei 90 minuti, tanto che un tifoso un giorno gli tira contro una mela. Alcides non batte ciglio, la raccoglie da terra e se la mangia, tramutando i fischi in applausi.

"Minuto, fragile, busto corto e ingobbito, gambe lunghe e arcuate. Sembrava tutto tranne che un atleta. - dirà di lui Sandro Ciotti - Ma una volta in campo l'omino diventava un gigante, tanta era la classe che esibiva, le finezze tecniche con cui infiorava ogni prestazione, i dribbling con cui frastornava i difensori".

Nella stagione 1957/58 è anche promosso come capitano. Il 27 ottobre 1957 entra per sempre nel cuore dei tifosi giallorossi con il goal realizzato nel Derby vinto 3-0 dalla squadra guidata da Alec Stock. Ghiggia, con la fascia al braccio, realizza il definitivo 3-0 nei minuti finali trafiggendo il portiere biancoceleste Lovati.

"La Roma era la squadra del popolo, la Lazio di qualcuno. - dirà l'ala destra - La Roma aveva i tifosi, la Lazio no".

Fuori dal campo, però, l'uruguayano, che imparerà presto l'Italiano leggendo i giornali o andando al cinema, si lascia sedurre e distrarre dalla 'Dolce Vita' romana, di cui diventa uno dei grandi protagonisti: fa amicizia fra gli altri con Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Walter Chiari e Gina Lollobrigida. I paparazzi gli stanno appresso. Spesso frequenta con loro Via Veneto.

"Ricordo che mi seguivano sempre, non mi davano tregua e non potevo uscire. Mi rendevano la vita impossibile".

Ama le auto sportive, soprattutto le Alfa Romeo (ne acquisterà tre), con cui raggiunge correndo a 100 all'ora il lungomare di Ostia. Indossa costose pellicce e, soprattutto, ha un debole per le donne.

Nonostante sia sposato con figli, si concede frequenti scappatelle, soprattutto con le tifose.

"È capitato. - ammetterà Ghiggia a 'Il Romanista' - Avevo moglie e figli, certo, spesso si presentavano delle occasioni…".

Nel 1959 viene sorpreso in auto in rapporti intimi con una tifosa romanista quattordicenne, e finisce inevitabilmente nei guai, venendo denunciato dalla famiglia della ragazza. Si scopre che il rapporto va avanti da un po' di tempo. La minorenne era rimasta incinta e darà alla luce un figlio che sarà riconosciuto dal calciatore.

Ghiggia tuttavia, come riporta 'Gente d'Italia', subirà una condanna a due mesi e venti giorni per "atti osceni in luogo pubblico" elo scandalo farà sì che l'ormai trentaduenne calciatore non indosserà più la fascia da capitano della Roma. La sua prima moglie, inoltre, lo lascerà, facendo rientro in Uruguay.

Ghiggia comunque continuerà a giocare con la Roma fino al 1961. Legherà molto con Carlo Mazzone, giovane della Primavera che nel 1958/59 fece l'esordio in Prima squadra e che lui passava a prendere ogni giorno per portarlo agli allenamenti.

Scrisse inoltre il suo nome fra i vincitori della Coppa delle Fiere della stagione 1960/61, in cui riabbraccerà il compagno di mille battaglie Pepe Schiaffino. L'ala uruguayana, in verità, ormai nella fase discendente della sua carriera calcistica, disputerà appena 2 gare della cavalcata europea, tutte in trasferta: la prima in Belgio contro la Royale Union Saint-Gilloise (0-0, andata del Primo turno), la seconda in Germania contro il Köln XI (2-0 per la Roma, andata dei Quarti di finale), non venendo più utilizzato dal tecnico argentino Luis Carniglia.

UNO SCUDETTO DA RISERVA CON IL MILAN

Il Milan era rimasto impressionato dalla prestazione di Ghiggia in Roma-Milan 2-2 del 18 dicembre 1960. In quella gara Schiaffino uscì per infortunio e subito dopo si fece male anche Pestrin. Ridotti in nove (ancora non esistevano le sostituzioni), i giallorossi sembravano destinati alla sconfitta. Ma Ghiggia si prese il compito di giocare da tornante destro, agendo allo stesso tempo da terzino e da ala. Pur avendo 34 anni, giocò una gara memorabile, riuscendo a neutralizzare un certo Rivera.

I rossoneri, guidati dalla coppia Rocco-Viani, lo acquistano dopo la cacciata dell'inglese Greaves nell'autunno del 1961 assieme al brasiliano Dino Sani. Ghiggia debutta con la nuova maglia nel clamoroso 5-1 inferto dal Diavolo alla Juventus, e disputa le successive due gare contro Padova (1-1) e Atalanta (2-2), venendo poi relegato in panchina. In quel campionato, che si chiuderà con la vittoria dello Scudetto da parte dei rossoneri, l'ala uruguayana giocherà un'ulteriore partita, il derby lombardo contro il Lecco (2-2) che sarà anche la sua ultima partita in Serie A.

Ghiggia gioca anche una gara nella Coppa Amicizia, chiudendo con 5 presenze la sua breve avventura a Milano.

L'ESPERIENZA DA ORIUNDO IN NAZIONALE

Nel corso della sua permanenza in Italia con la Roma, l'ala destra ha anche l'opportunità di vestire la maglia della Nazionale italiana. Viste le sue origini, è arruolabile come oriundo e viene convocato dalla Commissione tecnica guidata dall'allenatore Alfredo Foni per la seconda gara delle Qualificazioni ai Mondiali del 1958 contro il Portogallo.

Gli Azzurri, che hanno vinto l'andata a Roma con l'Irlanda del Nord, ma sono reduci da un pesante k.o. in amichevole contro la Jugoslavia, perdono 3-0 anche in casa dei lusitani, con Ghiggia azzoppato dagli avversari dopo pochi minuti, e la presenza degli oriundi per ovviare all'assenza di talenti italiani non riuscirà a risollevare le sorti della squadra.

La partita decisiva con l'Irlanda del Nord, in programma il 4 dicembre 1957, vede però l'assenza dell'arbitro designato e si trasforma formalmente in amichevole. In campo però sarà battaglia, con i britannici molto fallosi e autori di un gioco maschio nonostante il punteggio non sia più rilevante ai fini della qualificazione. La cosiddetta 'Battaglia di Belfast' si concluderà con il risultato di 2-2, e vedrà Ghiggia, autore del goal del provvisorio 1-0, fra i protagonisti.

L'italo-uruguayano disputa anche la successiva partita contro il Portogallo, nella quale a San Siro gli Azzurri rendono al Portogallo il 3-0 dell'andata. Tutto si decide a Belfast il 15 gennaio 1958. L'ala destra romana parte ancora una volta fra gli undici titolari in una formazione che vede in campo anche un altro protagonista dei Mondiali del 1950, Pepe Schiaffino.

Gli Azzurri vanno sotto di due reti nel primo tempo, poi segnano con Da Costa e sembrano poter rimontare. Li basterebbe il pareggio per qualificarsi. Ma Ghiggia cede al nervosismo e al 68' reagisce all'ennesimo fallo subito e viene espulso dal fischietto ungherese Zsolt, complicando i piani della squadra di Foni. L'Irlanda del Nord vince 2-1 ed elimina clamorosamente l'Italia. Per l'italo-uruguayano sfuma l'occasione di disputare il secondo Mondiale della sua carriera.

"Peccato. - commenterà l'ala destra - Se fossimo andati in Svezia il Brasile non avrebbe vinto quell’edizione perché i brasiliani mi temevano, mi vedevano e gli tremavano le gambe! Io eSchiaffino abbiamo giocato insieme anche a Roma. A noi i brasiliani ci facevano un baffo!".

A farne le spese saranno proprio gli oriundi, additati come maggiori responsabili della situazione. Ghiggia giocherà comunque un'altra gara, l'amichevole del 28 febbraio 1959 contro la Spagna (1-1), chiudendo con un bilancio di 5 presenze e una rete l'avventura con l'Italia.

IL RITORNO IN PATRIA

Dopo una sola stagione in rossonero, Alcides Ghiggia prende l'aereo per tornare in Uruguay: saluterà per sempre la 'Dolce Vita' e le due città in cui aveva vissuto, dove tornerà soltanto in un'occasione: a Milano in per i Mondiali di Italia '90, e a Roma nel 2006, per gli 80 del club giallorosso.

Il resto dei suoi anni li trascorrerà in Uruguay. Inizialmente continua a giocare.

"Arrivato a Montevideo, fu convocato dalla federazione uruguaiana per una partita di beneficenza contro il Brasile 1950. Il ricavato sarebbe andato all'Opera Don Orione", racconta il figlio Arcadio.
"Dopo quel match, i dirigenti del Danubio vennero a casa nostra per chiedergli se volesse ancora giocare a pallone. Lui gli rispose: 'Va bene, ma guardate che ho 37 anni...'. Gli dissero: 'Ghiggia, noi l'abbiamo vista in campo e lei è perfettamente integro' ".
"Giocai per tre stagioni di fila con il Danubio, - ricorderà lo stesso Alcides a 'Tele +' - poi feci un anno con il Sud América, che rischiava la retrocessione, e lo salvai. Infine tornai al Danubio, dove trascorsi l'ultimo anno da calciatore professionista. Avevo 42 anni".

Dopo il ritiro, per mantenersi farà vari mestieri: direttore di un supermercato, istruttore di scuola guida, infine dipendente di tre casinò, in cui lavorerà per vent'anni sorvegliando i giocatori e i tavoli da gioco. Poi, finalmente, percepirà una pensione, seppur modesta.

Per due volte era stato anche allenatore: durante la sua permanenza in Italia, aveva guidato il Sora nel 1959/60 quando giocava con la Roma, mentre nel 1980 si siederà sulla panchina dell'amato Peñarol.

Avrà altre due mogli. Con la terza, Beatriz, di 35 anni più giovane, che era stata la sua prima e ultima allieva da istruttore di scuola guida, si trasferisce fuori da Montevideo, a Las Piedras, città a nord della capitale, che lascia dopo aver venduto molti dei premi e dei cimeli avuti in carriera, fra cui anche la medaglia d'oro dei Mondiali del 1950.

Vendette persino il premio Golden Foot che gli fu riconosciuto nel 2006 per acquistare un terreno per la sua consorte. Nello stesso anno i brasiliani resero omaggio al 'nemico' inserendolo nella Walk of Fame del Maracaña. Sembrava indistruttibile, dopo che nel 2012 si è ripreso bene da un terribile incidente stradale che lo ha costretto a 37 giorni di coma, con la sua auto che si è schiantata contro un camion. Nel 2014 la Roma omaggerà il campione inserendolo nella Hall of Fame della società.

"La cosa più bella che può succedere in assoluto a un giocatore è vincere un derby a Roma. - diceva spesso nelle interviste che concedeva ai giornalisti in cambio di un po' di soldi - La gente, i tifosi il calore... Mi volevano bene. Ed io ero contento perché loro erano contenti di me".
"Ringrazio di cuore i tifosi e gli esperti che mi hanno scelto nonostante siano passati quasi sessant’anni dalla mia ultima partita con la Roma. - dichiara dopo l'ufficialità della decisione - Il mio sentito ringraziamento va anche alla Società per l’invito e la volontà di celebrarmi insieme agli altri ex romanisti scelti".
Alcides Edgardo 'Ghiggia'MIGUEL ROJO - AFP

LA MORTE NEL GIORNO DEL MARACANAZO

Alcides è l'ultimo protagonista del Maracanazo ancora in vita quando, il 16 luglio del 2015, sta discorrendo di calcio con suo figlio Arcadio. Non è una data qualunque, visto che ricorrono i 65 anni dall'impresa dell'Uruguay.

All'improvviso però, l'eroe uruguagio resta in silenzio, come muti, al suo goal, erano rimasti i tifosi brasiliani allo Stadio.

"Si è sentito male, aveva dolore a una spalla - ha raccontato il figlio Arcadio - così hanno deciso di ricoverarlo e mentre parlavamo di calcio all'improvviso è come svenuto. Sono arrivati i medici che hanno provato a rianimarlo, ma non ci sono riusciti".

Un infarto si era portato via per sempre, ad 88 anni, l'uomo che aveva fatto piangere il Brasile. E saranno proprio i brasiliani, che mai l'hanno dimenticato, a celebrarlo il giorno seguente nei giornali.

"Il fantasma del Maracanazo è morto, - scriverà il giorno dopo 'La Folha' di San Paolo - ma non smetterà mai di esistere".

Sabato 18 luglio si tengono i funerali, poi le spoglie del campione trovano degna sepoltura nel Pantheon degli Olimpici al cimiterio del Buceo, a Montevideo. La Federcalcio uruguaiana sospende tutte le attività ufficiali per il weekend per rendere omaggio all'ultimo dei 22 protagonisti della sfida mondiale del 1950.

Qualche anno prima, nel 2009, l'aveva preceduto nella dipartita Juvenal. Proprio il brasiliano che per ultimo aveva cercato di fermarlo, senza riuscirsi. Un'altra incredibile coincidenza.

"La vità è stata buona con me. - sosteneva Ghiggia - Credo che per un calciatore l'aspirazione massima sia arrivare a giocare in Nazionale diventare Campione del Mondo. Non avrei potuto chiedere di più. Sono stato guidato dal destino".
Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0