Ryan Bertrand 2012Getty

Ryan Bertrand si ritira: fu campione d'Europa col Chelsea all'esordio in Champions League

Nel calcio moderno si tende ad utilizzare troppo spesso dei termini che dovrebbero rappresentare eccezione. L'oggettività e la soggettività si mischiano, senza dare una certezza netta, quando si parla di fuoriclasse, leggende, campioni, icone, miti e simboli. Sembrano esserlo tutti, come quando si urla al capolavoro cinematografico e musicale. Devono essere rispettati dei canoni, da cui si può più discutere riguardo il gusto personale. Un discorso lunghissimo.

Di certo si è un po' persa l'eccezionalità dell'aver fatto qualcosa unico, di aver rappresentato realmente nel proprio insieme o nell'intero pianeta calcistico qualcosa mai fatto prima o non replicato. La storia di Ryan Bertrand è di fatto unica soggettivamente, ma narra di un'unicità oggettività: nessuno, nell'era della moderna Champions League con svariati club per ogni nazione è riuscito ad esordire nella competizione giocando direttamente la finalissima. Lui sì, unico e solo.

Non solo Bertrand ha ascoltato per la prima volta la musichetta (nananananana Die Meister, Die Besten e così via) al centro del campo dopo aver sorpassato la coppa, ma è riuscito anche a vincere la Champions League immediatamente. Il suo allenatore, Roberto Di Matteo, non è passato alla storia come colui che ha schierato titolare un giocatore esordiente che ha influito sulla sconfitta della squadra, ma bensì come intuitivo maestro del riconoscere le possibilità del giovane Ryan.

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