Marco Amelia si stacca leggermente dal gruppo, quando Latina e Perugia fanno il loro ingresso in campo al "Francioni". Lo fa “saltellando”: ma, soprattutto, lo fa da capitano. È una scena simbolica, innanzitutto: un ritorno “a casa”, pur da avversario. Se è vero, com’è vero, che la distanza dalla sua Frascati è solo un dettaglio, rapportata al “viaggio” calcistico che compirà in un 2015 che, anche se non concretamente, racconterà l’ennesima parentesi di una carriera alimentata dai colpi e dai segni del destino.
Anche perché l’ultima partita tra i professionisti, prima di quel Latina-Perugia vissuto con la maglia dei Grifoni e terminato con la porta inviolata, Marco la gioca a maggio, nel 2014: trentasettesima di Serie A, Atalanta-Milan, 2-1. Prima di lasciare i rossoneri: se c’è un punto in cui la storia di Amelia svolta, di nuovo, è questo.
Qui va aperta una parentesi: lo stadio “Montefiore” di Rocca Priora ha una piccola tribunetta centrale, separata dal campo dalla pista d’atletica. Lo scenario che si apre alla vista dei tifosi, al massimo cinquecento, è l’omonimo monte da cui prende il nome l’impianto. Talmente distante da San Siro, nella forma e nei chilometri, che solo la “costruzione dal basso”, ideologica e non calcistica, dell’uomo Marco Amelia avrebbe potuto rendere possibile il salto dalla massima serie alla Promozione laziale, avvenuto pochi mesi dopo il suo addio al Milan.
“Svolgerò il ruolo di direttore tecnico della prima squadra e quindi andrò in panchina al fianco dei ragazzi: ho deciso di formalizzare anche il mio tesseramento da giocatore, oltre a quello da dirigente”.
Ma quello a Rocca Priora, come avrete capito, non è stato l’ultimo capitolo della carriera di un campione del mondo che si è messo in gioco anche dopo aver “appeso i guantoni al chiodo”. Sempre, però, grazie a quel 2015: un viaggio sorprendente.
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