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Amelia Mourinho ChelseaGetty / Instagram

Dalla Lega Pro alla chiamata di José Mourinho: l'esperienza di Marco Amelia al Chelsea

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Marco Amelia si stacca leggermente dal gruppo, quando Latina e Perugia fanno il loro ingresso in campo al "Francioni". Lo fa “saltellando”: ma, soprattutto, lo fa da capitano. È una scena simbolica, innanzitutto: un ritorno “a casa”, pur da avversario. Se è vero, com’è vero, che la distanza dalla sua Frascati è solo un dettaglio, rapportata al “viaggio” calcistico che compirà in un 2015 che, anche se non concretamente, racconterà l’ennesima parentesi di una carriera alimentata dai colpi e dai segni del destino.

Anche perché l’ultima partita tra i professionisti, prima di quel Latina-Perugia vissuto con la maglia dei Grifoni e terminato con la porta inviolata, Marco la gioca a maggio, nel 2014: trentasettesima di Serie A, Atalanta-Milan, 2-1. Prima di lasciare i rossoneri: se c’è un punto in cui la storia di Amelia svolta, di nuovo, è questo.

 Qui va aperta una parentesi: lo stadio “Montefiore” di Rocca Priora ha una piccola tribunetta centrale, separata dal campo dalla pista d’atletica. Lo scenario che si apre alla vista dei tifosi, al massimo cinquecento, è l’omonimo monte da cui prende il nome l’impianto. Talmente distante da San Siro, nella forma e nei chilometri, che solo la “costruzione dal basso”, ideologica e non calcistica, dell’uomo Marco Amelia avrebbe potuto rendere possibile il salto dalla massima serie alla Promozione laziale, avvenuto pochi mesi dopo il suo addio al Milan.

“Svolgerò il ruolo di direttore tecnico della prima squadra e quindi andrò in panchina al fianco dei ragazzi: ho deciso di formalizzare anche il mio tesseramento da giocatore, oltre a quello da dirigente”.

Ma quello a Rocca Priora, come avrete capito, non è stato l’ultimo capitolo della carriera di un campione del mondo che si è messo in gioco anche dopo aver “appeso i guantoni al chiodo”. Sempre, però, grazie a quel 2015: un viaggio sorprendente.

  • Amelia Diego Costa ChelseaGetty

    IL RITORNO A CASA

    Si diceva, la sfida contro il Latina, vissuta con la maglia del Perugia: l’unica in Serie B in quella stagione. Durante il ritiro coi biancorossi decide di ritornare nel Lazio, alla Lupa Castelli Romani: a casa, di nuovo. Lo fa in una stagione particolare, e con un ruolo particolare: lui, che nella Lupa Frascati (di cui la Lupa Castelli riprendeva parte di storie) ci è cresciuto, prima dell’avventura a Roma. 

    “Nella mia carriera ho sempre fatto scelte ponderate e coerenti con il mio modo di vedere il calcio e la vita”.

    Della “Lupa” è il presidente onorario, ma non ha ancora messo da parte l’idea di giocare in una delle prime due categorie calcistiche italiane: e come dargli torto. Amelia è stato uno dei simboli del primo decennio degli anni Duemila, e non solo in Italia: lo si ricorda per il Mondiale del 2006, ed è comunque una gran cosa. Va citato, però, il successo in Germania nel 2004 con l’Under 21 agli Europei, a difesa di pali della formazione che, allenata da Claudio Gentile, ha battuto in finale Serbia e Montenegro a Bochum, con le reti di De Rossi, Bovo e Gilardino.

    Nella sua bacheca, tra i trofei, c’è anche una medaglia di bronzo conquistata alle Olimpiadi di Atene, ma la sua carriera non si misura solo in base ai trionfi: chiedere a Livorno, dove è diventato un simbolo anche, ma non solo, per il goal realizzato contro il Partizan Belgrado, in Coppa UEFA. Anzi: chiedere ovunque. Ha sempre lasciato un bel ricordo.

    Fatto sta che nell’estate del 2015 non c’è ancora alcun accordo concreto con una società professionistica: voci, cenni d’intesa. La Lupa Castelli Romani è una neopromossa in Lega Pro, ma a fine agosto è in emergenza tra i pali: il tutto alla vigilia delle gare di Coppa Italia di categoria contro la Torres. Amelia mette tra parentesi il suo futuro e decide di tesserarsi, per dare una mano. Anzi: un guantone, o qualcosa in più.

    “È vero, ci sono stati molti contatti, sono arrivate parecchie richieste negli ultimi mesi, per questo colgo l’occasione di ringraziare tutti gli addetti ai lavori – presidenti, direttori sportivi e allenatori – che mi hanno contattato. È stato detto e scritto molto in proposito: ma chi mi conosce sa che è arrivato il momento di essere più concreti e parlare con i fatti. Ho deciso di tesserarmi per la Lupa per dare un doppio segnale, alla mia squadra e a quelle che si sono interessate a me, o magari lo faranno in questa ultima settimana di mercato”.

    Scende in campo subisce una rete all’andata, zero al ritorno: “Ora, con il mio tesseramento ho messo una scadenza ben precisa, quella dell’1 settembre, la fine del mercato. Se qualche squadra vorrà chiudere una trattativa, e passare così dalle parole ai fatti, adesso sa che dovrà farlo entro quella data per rientrare nella finestra utile per i trasferimenti”.Amelia rescinde il proprio contratto prima della chiusura del mercato e rimane libero. E qui accade qualcosa.

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  • I MAESTRI JOSE' E GUUS

    Il modo più semplice per raggiungere Londra, dai Castelli Romani, è ovviamente quello di guidare fino all’aeroporto di Fiumicino e prendere il primo volo per la capitale dell’Inghilterra e del Regno Unito. Quando chiude il mercato del 2015, però, questa è solo un’idea lontana per Marco Amelia. Tra le tante squadre che vengono accostate all’ex portiere del Livorno, il Chelsea di José Mourinho non c’è.

    È tornato da due anni, ai Blues, ed è fresco di vittoria della Premier League: la sua terza, a distanza di quasi dieci anni dall’ultima. Ha vinto anche una Capital One Cup (oggi Carabao) e terminata l’estate, com’è normale che sia, ha una delle rose migliori a livello europeo. In porta a Thibaut Courtois si aggiunge Asmir Begovic, in arrivo dallo Stoke City e in sostituzione di Peter Cech. Il reparto è completo.

    C’è un “ma”, in tutto questo: a settembre il belga si fa male. E non è una cosa poco: un fastidio al ginocchio in allenamento che gli costa uno stop di quattro mesi. L’emergenza del Chelsea obbliga José a prendere il cellulare e telefonare.

    "È stato sorprendente perché io avevo deciso di seguire il percorso con la Lupa Castelli Romani, che era un club che io aiutavo a gestire e che aveva vinto un campionato di Serie D ed era in C: tra l’altro ho dovuto tesserarmi per giocare le partite di Coppa Italia perché i portieri non erano disponibili. Poi all’ultima giornata di mercato avevo fatto la rescissione e arrivò la chiamata di José”,racconta a GOAL.

    Quando sullo smartphone di Marco Amelia spunta il numero del portoghese, è libero da un mese. Prepara le valigie e vola in Inghilterra: lo fa senza certezze, ma con la solita voglia di dire la sua.

    “Andai a Londra, feci una serie di allenamenti per far capire che stessi bene e firmai un contratto facendo un’esperienza incredibile”.

    Non scenderà mai in campo, con la maglia del Chelsea, ma quel che apprende in quel periodo, che precede il ritorno in Italia e la sua ultima esperienza da calciatore, al Vicenza, segnerà irrimediabilmente il suo percorso.

    “Lavorare con Mourinho è valso quanto un corso di Coverciano, e l’altro corso di Coverciano c’è stato quando è subentrato Guus Hiddink. In un anno ho lavorato con entrambi: Hiddink è uno di quegli allenatori che mi ha spinto a lasciare, nonostante l’età, per andare a Coverciano a fare i corsi per diventare allenatore".

    Perché un portiere a 35 anni (nel 2017, dopo il Vicenza) può ancora dare tanto: se si ritira lo fa perché spinto dall’incessante voglia di costruire, disegnare il futuro da un’altra prospettiva. Che poi è simile, nel concetto, a quanto accade in campo, tra i pali e a quella visione “atipica” che gli estremi difensori hanno del campo. “Dal basso”, dietro le linee: com’è partito Amelia nel suo percorso da allenatore (che è solo all’inizio), spinto da Mourinho e Hiddink (subentrato poi al portoghese a dicembre), da quell’esperienza al Chelsea e da quel 2015 che ha segnato irreversibilmente la sua carriera, in maniera sorprendente.

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