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Amelia a GOAL: "Thiago Silva il più forte con cui abbia giocato, per Ronaldinho il calcio era gioia pura"

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"Il calcio sta andando verso una direzione in cui i giocatori hanno altre priorità: far parte di uno spogliatoio come quello del Milan in cui ho giocato significa ricevere una mentalità vincente, perché in quel gruppo c’erano giocatori con una mentalità incredibile che si respirava negli allenamenti".

Il 9 luglio 2006 Marco Amelia lo conclude con una medaglia d'oro al collo e una Coppa del Mondo tra le braccia: è il punto più alto della sua carriera da calciatore, ma non l'ultimo momento di gloria. Gioca al Livorno, in quel periodo, ed è uno dei più importanti portieri d'Italia: continuerà a esserlo per tanti anni.

Quattro anni dopo entra nello spogliatoio del Milan dopo le esperienze al Palermo e al Genoa: una svolta, l'ennesima, che gli vale la conquista dello Scudetto con Massimiliano Allegri in panchina. Intervenuto a POPCAST, il format di GOAL Italia su Twitch, Amelia ha raccontato quell'esperienza, ma non solo.

"Le partite erano una conseguenza: da Seedorf a Gattuso, Zambrotta o Thiago Silva, o Ibrahimovic. Giocatori che hanno dato un esempio a noi più giovani, che poi abbiamo immagazzinato il modo di fare calcio e ciò che serve per vincere. In quella squadra non contava vincere in generale, ma vincere e vincere la partita successiva”.

Al Milan è rimasto sempre legato: parla da milanista, come ci tiene a precisare, e lo fa anche in occasione della sfida contro il Chelsea del suo amico Thiago Silva. Il più forte giocatore che abbia mai giocato con lui.

“Thiago Silva sa quello che si deve fare. Negli anni in cui era al Milan assorbiva quello che i grandi trasmettevano allo spogliatoio: adesso che lui ha l’età di quei campioni deve trasmettere agli altri quello che sa. Quando mi chiedono quale sia il giocatore più forte con cui io abbia giocato, e ho giocato con giocatori fortissimi, dico Thiago Silva. È il giocatore più forte che abbia visto giocare: è troppo facile dire Pirlo, Seedorf o Totti, con cui ho giocato. Thiago ha iniziato a cambiare il calcio attuale, ovvero uno sport in cui i difensori buttano raramente palla. Con lui in campo io non ho mai rilanciato in avanti, scambiavamo sempre, creavamo superiorità numerica. Lui aveva già intravisto quello che era il calcio attuale. Fa strano vederlo a San Siro con una maglia diversa: a me piace il calcio romantico, ma gli voglio troppo bene, quindi può indossare la maglia che vuole. In questo caso è quella del Chelsea che ho indossato anch’io in un’esperienza bellissima”.

E' l'ottobre del 2015 e sulla panchina dei Blues siede José Mourinho: in casa Amelia arriva una chiamata inaspettata dal portoghese, che lo vuole con sé a Londra.

"È stato sorprendente perché io avevo deciso di seguire il percorso con la Lupa Castelli Romani, che era un club che io aiutavo a gestire e che aveva vinto un campionato di Serie D ed era in C: tra l’altro ho dovuto tesserarmi per giocare le partite di Coppa Italia perché i portieri non erano disponibili. Poi all’ultima giornata di mercato avevo fatto la rescissione e arrivò la chiamata di José: andai a Londra, feci una serie di allenamenti per far capire che stessi bene e firmai un contratto facendo un’esperienza incredibile. Lavorare con Mourinho è valso quanto un corso di Coverciano, e l’altro corso di Coverciano c’è stato quando è subentrato Guus Hiddink. In un anno ho lavorato con entrambi: Hiddink è uno di quegli allenatori che mi ha spinto a lasciare, nonostante l’età, per andare a Coverciano a fare i corsi per diventare allenatore".

Nonostante le difficoltà, l'impronta di Mourinho non è passata inosservata: anzi. Nel nuovo percorso da allenatore intrapreso da Amelia c'è molto della gestione del portoghese.

"Con Mourinho ho imparato tantissimo, ma a 360 gradi: come allenatore, come gestione mediatica, come rapporto con la città in cui vai a lavorare. Parliamo di un allenatore che ha vinto in piazze in cui non si vinceva da tempo: Porto, o Inter, ma anche Roma, in cui ha cambiato totalmente la mentalità. Vuol dire che ci sono delle qualità che contano più del calcio stesso: perché a certi livelli cosa vogliamo insegnare ai campioni? Bisogna solo imparare a gestirli".

Non è un caso, comunque, che sia diventato un allenatore: della formazione che ha vinto i Mondiali del 2006, in 13 su 23 hanno avuto almeno un'esperienza in panchina. L'ultimo della serie è stato Daniele De Rossi, nominato tecnico della SPAL.

"I giocatori che facevano parte dello spogliatoio dei Mondiali del 2006 erano uomini, che sapevano ciò che stavano facendo: essere consapevoli è la base di tutto. Daniele ha saputo mettersi in discussione e spero che riesca a ottenere quello che vuole con la SPAL, perché è un ragazzo che sa. Dov’è l’umiltà di questi campioni? Quella di mettersi in discussione, di migliorarsi, di pensare che non è perché sei stato un grande campione ne sai di più e di studiare. La nostra umiltà e la voglia di riscrivere una pagina di storia del calcio in un altro ruolo sono ciò che ci spinge a metterci in discussione. Mi auguro che Daniele riesca a far bene per lanciare un segnale di cambiamento".

Chi ha cambiato la propria squadra è stato Stefano Pioli, che ha riportato il Milan ai vertici del calcio italiano: in lui, Amelia, rivede anche le qualità europee di Ancelotti.

"Pioli ha riportato la mentalità del lavoro. Credo sia stato sempre un Top allenatore e molto sottovalutato per quello che ha fatto: ne parlai con Sabatini anni fa, quando voleva portarlo alla Roma, e mi diceva che era il profilo ideale per un certo tipo di ambienti per riportare una mentalità vincente. Ha fatto un lavoro straordinario, nonostante le difficoltà, perché i suoi primi mesi sono stati difficili: eppure ha fatto un capolavoro, cercando supporti nello spogliatoio. Tra l’altro l’avvento di Ibrahimovic è stato fondamentale. Ma sapete quando si nota che è bravo? Quando vedi che nessuno dei suoi giocatori ne parla male: tra quelli dell’Inter, della Lazio, della Fiorentina e del Milan ne parlano tutti bene. Chi vince a livello europeo ha le sue qualità: Carlo Ancelotti è uno di questi".

La carriera da calciatore di Amelia, comunque, è stata caratterizzata anche da alcune esperienze da allenatore che non sono passate inosservate: quella al Livorno è stata la chiusura del cerchio, dopo aver giocato in amaranto e aver siglato anche una rete storica.

"Il goal al Partizan in Coppa UEFA? Avevamo bisogno almeno del pareggio per giocarci il passaggio del turno all’ultima gara contro l’Auxerre: mi andò bene perché la presi male, ma perché c’era freddissimo, ero scoordinato. Il rientro a Livorno fu difficile perché ci furono problemi con l’aereo e mi dissi: ‘Ma una volta che segno un goal ci schiantiamo con l’aereo?’. Se un mio giocatore adesso mi chiede di saltare in area non gli posso mai dire di no: può andarci anche al 60’, se si è organizzati. So che quando vai davanti diventi un uomo in più, perché il portiere non è facile da mancare. Questo goal, comunque, è un goal che ricordo tanto perché l’ho fatto con la maglia del Livorno, una piazza a cui sono molto legato".

Non c'è spazio per i rimpianti nella vita di Marco Amelia, se non quello di non essere ritornato alla Roma, dove tutto è iniziato.

"Sono felicissimo per la carriera che ho avuto, per tutti i sacrifici che ho fatto: il mio cruccio è quello di non essere tornato alla Roma, perché sono cresciuto a Trigoria. Sono andato tante volte vicino a rientrare, ma ho fatto un grande percorso, giocando anche con Palermo, Genoa, Lecce e Parma, vivendo una stagione da ‘libro Cuore’ con Prandelli. Ho vissuto tanti anni in Nazionale, e nell’era Buffon ho fatto diverse presenze. Far parte della spedizione dei Mondiali 2006 fu meraviglioso: è una cosa che ti segna a vita, ancora oggi in qualunque parte del mondo se c’è un italiano ti riconosce e ti ringrazia".
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Tante partite da primo, diverse da secondo: come quando si è trovato a sostituire Abbiati, giocando contro il Barcellona in Champions League. Situazione che ricorda quella di Tatarusanu.

"Ho vissuto la situazione di Tatarusanu: nell’ultima mia stagione al Milan ho fatto tutta la preseason, si è fatto male Abbiati e io ero rimasto l’unico portiere in lista Champions League, perché Gabriel non era in lista. La partita prima del Barcellona, ai gironi, il mister non mi fece giocare dicendomi: ‘Se ti fai male non abbiamo più portieri, contro il Barça andrà benissimo’, e andò bene. Per Tatarusanu non è facile: la mia esperienza con Abbiati l’ho vissuta bene, eravamo legati. Di quel Milan mi ha fatto piacere che Galliani mi disse: ‘Con voi problemi del portiere non ne ho’. Giocherei solo quel tipo di partite, ma bisogna comprendere quei portieri come Tatarusanu che si trovano a sostituire giocatori come Maignan e commettono un errore".

Tra i ricordi che conserva c'è quello di aver visto allenarsi Ronaldinho: uno spettacolo ancor più delle partite.

"Ronaldinho era una roba… bisognava pagare il biglietto per vedere l’allenamento, non solo le partite. Non si è allenato molto nell’ultimo anno di Milan, ma quando si allenava era incredibile perché poi lui la vive con una serenità assoluta. Per lui giocare a calcio è pura felicità: faceva delle cose che ho visto fare a pochi. Ho pensato: ‘E questo non è neanche il miglior Ronaldinho’, quindi robe incredibili. Mi ha fatto piacere giocare con Kakà, il secondo Kakà: per me è stato un giocatore bello, piacevole e quando è tornato ho conosciuto il ragazzo, la persona e mi ha fatto piacere".

Al Milan, comunque, ha vinto uno Scudetto nel 2011, sfiorandone uno l'anno successivo.

"Mi dispiace solo non aver vinto lo Scudetto nel 2012, lo abbiamo buttato nelle gare con Fiorentina e Bologna, perché poi quella stagione ha cambiato il futuro del Milan. Da lì in poi alcuni sono andati via, altri hanno smesso di giocare: l’anno successivo ci siamo guardati negli occhi nello spogliatoio ed eravamo rimasti in pochi ed è stato molto difficile. Non ho mai sentito nessuno dire questo: quando abbiamo perso il campionato nel 2012 contro la Juventus lo abbiamo fatto anche perché a due mesi dalla fine si è infortunato Thiago Silva, che ha poi saltato sette partite. Fu un colpo: abbiamo perso un giocatore decisivo. Poi sì, tutti gli eventi, il goal di Muntari, i punti persi con Fiorentina e Bologna, ma perdere un giocatore di questo calibro non è semplice".
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