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Loracconto io - Ep. 3: lo spogliatoioGOAL

Loracconto io - Il calcio raccontato da un calciatore. Ep. 3: cosa succede dentro uno spogliatoio, prima, durante e dopo la partita

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Un altro punto di vista. Siamo abituati a vedere i calciatori dentro ad un rettangolo verde, con indosso maglia e scarpini, circondati da uno stadio che fa da teatro allo spettacolo del calcio giocato. Cercate ora di immaginarvi uno di questi attori, di fronte ad una tastiera, che prova a tramutare in parole alcuni aspetti dell’esperienza calcistica vissuta in prima persona.

Mi chiamo Filippo Lora, centrocampista della Torres, e su GOAL proverò a portarvi nel nostro mondo: non sarà un tema autobiografico, bensì un racconto di quello che il calcio è per noi calciatori, o almeno, per tanti di noi, in quanto il calcio essendo uno sport formato da una complessità infinita di fattori, è per ognuno qualcosa di diverso.

Vi svelerò come un calciatore vive il suo mestiere, troppe volte erroneamente ridotto a “tirare due calci ad un pallone”, descritto da chi per il calcio ha dato tutto, facendone la principale ragione di vita. Da chi per esso ha sofferto abbastanza da arrivare ad odiarlo in alcuni momenti, per poi tornare ad amarlo non appena provata una di quelle emozioni che solo il calcio regala. Trasformerò tiri, passaggi e contrasti in parole, per guardare e raccontare il calcio da un’angolazione del tutto inedita.

RILEGGI L'EPISODIO 1: Come diventare un calciatore

RILEGGI L'EPISODIO 2: La settimana-tipo di un calciatore

  • IL RAPPORTO CON COMPAGNI E ALLENATORE

    Lo spogliatoio, il sacro tempio per una squadra di calcio. Un generatore di emozioni che puoi provare solo se lo vivi.Il raccoglitore di attimi che saranno quelli che più mancheranno a chi, un domani, non potrà più entrarci per indossare gli scarpini e la maglietta della propria squadra.

    Cosa si vive tra i locali dello spogliatoio prima, durante e dopo una partita?

    Proverò a raccontarvelo, pur mantenendo un velo di riservatezza, per quelli che sono i momenti più profondi e celati di una squadra di calcio. Proprio lì infatti, nascono i particolari che creano il carattere di una squadra, e ne determinano l’umore e l’identità.

    Si potrebbe pensare che si crei un comune rapporto tra colleghi, ma stiamo parlando di calcio, e il mestiere del calciatore, lo sappiamo, è una cosa a sé. Ogni relazione, all’interno di un gruppo squadra, ha una forza diversa, che crea un particolare legame, differente da tutti gli altri che viviamo negli altri ambienti. Sto parlando di quell’unione d’intenti nel dover raggiungere tutti lo stesso obiettivo.

    Io ho bisogno di ogni mio compagno per giungere alla destinazione comune, ogni mio compagno ha bisogno di me, e di tutti gli altri, per arrivare dove ci siamo prefissati. Questa connessione di obiettivi non può far altro che legare tante persone diverse in un rapporto unico e fuori dal comune. Ogni mio compagno di squadra rema nella mia stessa direzione, come potrebbe non generarsi qualcosa di speciale?

    Il lottare individualmente per un obiettivo collettivo porterà anche alla soddisfazione personale di tutti i membri del gruppo, in quanto vincendo a livello di gruppo sarà più facile conseguire i vari scopi personali.

    Quanti bomber, infatti, possono permettersi di diventare capocannonieri senza chi crossa correttamente Senza chi fa loro l’assist giusto? Quanti portieri possono permettersi un clean sheet senza una difesa che li aiuta?

    Chiaro, nasce inoltre anche la semplice amicizia, dettata da interessi comuni extra calcistici, da vari hobby o affinità comuni. Sarei ipocrita, comunque, se dicessi che in uno spogliatoio tutti sono amici di tutti.

    Succede di vivere spogliatoi in cui difficilmente ci si sopporta, ma che comunque dentro al campo ci si sacrifica per il compagno e quella, alla fine, è la cosa più determinante di tutte.

    Personalmente mi sento dire però, che le esperienze migliori, e che ricordo ancora con immenso piacere, sono quelle in cui si è creato qualcosa anche fuori dal campo.

    A Cittadella, nel famoso “Citta dei Visionari”, era scoppiato qualcosa di straordinario tra noi ragazzi, ma anche tra le famiglie di ognuno di noi, tutto dovuto all’altissima qualità delle persone di tutto l’ambiente, dello spogliatoio e del contesto generale.

    Condividevamo parecchi momenti extra campo: pranzi, cene, colazioni, aperitivi, momenti di relax e svago. Quello che si era creato ce lo portavamo anche dentro il campo, e spinti a dare ancora quel qualcosa in più per i nostri amici, vincemmo un campionato e sfiorammo due volte la Serie A tramite i playoff.

    I risultati importanti che ho ottenuto a livello collettivo nella mia carriera hanno sempre creato rapporti duraturi e che mi porto avanti nel tempo, o è forse il contrario? Sono portato a pensare che i rapporti non siano indispensabili per raggiungere le mete di squadra, ma che influenzino notevolmente il risultato.

    Si vince quando si è disposti a fare qualsiasi cosa sia necessaria per vincere, ma se siamo circondati da persone che stimiamo e a cui vogliamo bene, forse si può arrivare a dare anche un 1% in più da sommare al, sempre necessario, 100%.

    Il rapporto con gli allenatori invece esiste nella misura in cui loro permettono che esista. In base al metodo comunicativo che utilizzano, qualcuno può essere più aperto al confronto e alla condivisione, altri magari preferiscono rimanere per le loro.

    Difficilmente questo crea problemi, alla fine per noi è quasi come se fossero i nostri datori di lavoro e ci adattiamo quindi a quella che è la loro metodologia. Ho avuto allenatori che hanno fatto aperitivi col gruppo e altri che sapevo che non li avrei mai incrociati in ambienti esterni al centro sportivo.

    Il rapporto con un allenatore è chiaramente una cosa diversa rispetto a quello con i compagni, ma l’alchimia necessaria si può, e si deve, creare a prescindere dal rapporto extra campo tra le due parti.

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  • Spogliatoio CittadellaGetty

    LO SPOGLIATOIO PRIMA DELLA PARTITA

    Sembra impossibile, eppure lo spogliatoio inevitabilmente cambia quando ci si avvicina alla gara. Si crea un fascino negli ambienti che circondano la squadra dove si respira la tensione della partita e il desiderio che l’arbitro fischi quel benedetto calcio d’inizio mettendo così fine all’attesa ed ai preparativi. Escono le motivazioni, c’è chi si incita, chi si isola, chi si prepara con gli ultimi ritocchini a livello fisico.

    È chiaro che l’incitamento e le parole di conforto la fanno da padroni prima di un match, ognuno comunque ha un atteggiamento diverso e interpreta il pre-gara a suo modo. Io per esempio nella stagione a Monza non sono mai stato in grado di rinunciare al riscaldamento manuale alla schiena di quel mago di fisioterapista di Matteo Ficini.

    Un anno a Lecco invece sdrammatizzavo i momenti che anticipavano il discorso del Mister, leggendo immerso nel silenzio tombale dello stanzino dell’antidoping. Ognuno si porta dietro i suoi personali riti, chi ascolta musica, chi fa allungamento e posture, chi anticipa l’uscita in campo per il riscaldamento.

    Ho visto invece qualcun altro vivere un pre-partita davvero memorabile. Lucas Chiaretti, uno dei migliori compagni mai avuti a Cittadella, proprio nel momento in cui doveva partire da casa per raggiungere lo spogliatoio in vista del discorso del Mister, scoprì che la sua macchina non voleva saperne di accendersi e condurlo allo stadio. In preda al panico, dato che un ritardo il giorno della partita non è tra le cose più simpatiche che esistano per noi calciatori, non ebbe altra scelta che fare l’autostop lungo la strada.

    Si fermò solo un ragazzo in motorino, che riconoscendolo e rimanendo basito di quello che stava vedendo lo caricò nella parte posteriore del sellino e senza casco lo portò praticamente fino a dentro lo spogliatoio, puntualissimo, spaccando il minuto. Vinse la maglia n.10 di Lucas, un aperitivo con tutta la squadra e tutta la nostra stima e simpatia!

    Mi sono sempre chiesto invece quanto gli addetti ai lavori, lo staff e le persone che gravitano attorno a noi giocatori possano condizionare una prestazione. Fulvio Fiorin mio allenatore al Milan nel suo libro “4-2-3-1” sulla metodologia di allenamento ha espresso un parere parecchio curioso, secondo lui un allenatore non incide più del 40% nel risultato finale. Mister Roberto Venturato invece, a Cittadella, sosteneva che una squadra che in spogliatoio prima della partita non parla è un buon segno, significa che sa già tutto quello che deve fare.

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  • COSA SUCCEDE ALL'INTERVALLO

    La partita è quella che più di tutte può creare l’armonia tra noi calciatori. Vedere i compagni che mettono l’anima per portare a casa il risultato. Vedere la panchina che gioca a suo modo, che incita, che spera che a quelli in campo riescano le giocate che devono fare. Vedere che tutti cospirano per un fine comune. Quello più di qualsiasi altra cosa è fonte di ispirazione per un giocatore. Quello più di tutto crea quella partecipazione tra compagni che porta a fare le cose con uno stato d’animo che può fare la differenza al termine di una partita, o meglio, di una stagione.

    L’andamento del match ovviamente determina quello che si verificherà al rientro negli spogliatoi a fine primo tempo. Ci si disseta e ci si “riposa” quei 10/15 minuti, qualcuno ne approfitta per sistemare le interferenze che possono sorgere a livello fisico. Nel frattempo l’allenatore corregge quello che c’è da aggiustare e dà le indicazioni del caso.

    Interferenze fisiche, di ogni genere. L’intervallo che mai potrò scordarmi è sicuramente quello che vede queste come protagoniste del momento. Il portiere, colpito il giorno della partita da vomito e diarrea, era stato costretto a stringere i denti (e non solo) per giocare, in quanto gli altri estremi difensori avevano ulteriori problemi fisici. Ma al rientro in campo l’arbitro facendo la conta notò che mancava un giocatore, proprio lui. La partita riprese con 7 minuti di ritardo perchè non riusciva ad alzarsi dalla tavoletta. Non lo cito per ovvie ragioni, ma sono sicuro che si stia facendo due risate, leggendo di questo indelebile ricordo.

    Negli intervalli mi è successo, come a tutti, di prendere delle sveglie clamorose quando le cose non andavano bene, ma di prenderne anche quando le cose andavano comunque bene, probabilmente per far sì che si continuasse sulla strada giusta.

    Ricordo che in un intervallo nella mia seconda stagione a Lecco, rientravamo in spogliatoio sopra di 2 goal in una partita chiave per noi. Luciano De Paola, allenatore direi abbastanza sanguigno, spaccò la lavagna solo per dirci che non voleva saperne di prendere goal, altrimenti saremmo diventati noi la lavagna.

    Funzionò!

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  • IL POST-GARA

    Da cosa è condizionato questo, a volte delicato, a volte euforico, momento? Non potrebbe che essere il risultato, e cosa altrimenti? Ma non solo, anche la prestazione, personale e collettiva, determina gli umori all’interno di uno spogliatoio a fine partita.

    Silenzi interminabili in caso di sconfitta, pochissime volte interrotti da sfoghi fatti a caldo e analisi affrettate, da parte di staff e giocatori. Esultanze, abbracci e festeggiamenti nell’esito opposto, che terminano con le terapie del caso e la giusta integrazione. Spesso e volentieri infatti si approfitta delle vasche del ghiaccio e ci si “raffredda” per qualche decina di minuti.

    Prima ho parlato del Cittadella dei “Visionari”. Uno dei nostri valori aggiunti fu Enrico Alfonso, portiere, uomo spogliatoio e grande compagno di avventura, che dopo le varie vittorie si trasformava in capo tribù e capo ultras. Lo seguivamo noi, e lo seguivano anche tutti i tifosi e ultras, nei cori che lanciava al termine delle gare, negli spogliatoi ma anche sotto la curva, portando alle stelle l’entusiasmo di tutto l’ambiente, con il suo innato senso del divertimento.

    Ricordo che a Monza c’erano a disposizione delle piscinette dove l’acqua era gelata, e che appena terminato il bagno trovavamo a disposizione un pasto completo, qualsiasi fosse l’orario, fatto dei giusti alimenti per reintegrare lo sforzo. Non nascondo che in altri spogliatoi si preferiva integrare con pizza e birra, alla fine perché privarsi di una piccola gioia, soprattutto quando si ha qualcosa da festeggiare?

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  • Maglia Filippo Lora Getty

    COSA CI MANCHERÀ PIÙ DI TUTTO?

    Sembrano tutti momenti banali o irrilevanti, eppure la vita di spogliatoio raccoglie attimi che quando non potremo più vivere, ci mancheranno infinitamente.

    Il suono dei tacchetti nel tunnel che porta al campo, la tensione condivisa con un tuo compagno prima della partita, l’adrenalina che scende al triplice fischio dell’arbitro. Guardarsi in faccia sapendo che ognuno darà tutto per l’altro.

    Entrare in campo e guardare gli spalti gremiti di persone venute per vedere te e la tua squadra. I consigli dati e ricevuti, gli incitamenti, le strillate. Le sfide tra colleghi di reparto, quelle fatte di giusta e sana competizione. Le risate e le scaramucce tra le panche dello spogliatoio. Il confronto su cosa si poteva fare meglio, la gratificazione su quanto di buono fatto. Le sofferenze vissute nel prepararsi per il meglio, le fatiche durante l’allenamento, le esultanze di gioia al rientro negli spogliatoi.

    Queste, più di qualsiasi altra cosa, più dei contratti, più della fama, più dell’orgoglio per giocare in determinate categorie, saranno le cose che ci mancheranno un domani, quando per il calcio saremo solamente spettatori e non più protagonisti.

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