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Loracconto io - Ep. 1: diventare calciatoreGOAL

Loracconto io - Il calcio raccontato da un calciatore. Ep. 1: come si diventa professionisti

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Un altro punto di vista. Siamo abituati a vedere i calciatori dentro ad un rettangolo verde, con indosso maglia e scarpini, circondati da uno stadio che fa da teatro allo spettacolo del calcio giocato. Cercate ora di immaginarvi uno di questi attori, di fronte ad una tastiera, che prova a tramutare in parole alcuni aspetti dell’esperienza calcistica vissuta in prima persona.

Mi chiamo Filippo Lora, centrocampista della Torres, e su GOAL proverò a portarvi nel nostro mondo: non sarà un tema autobiografico, bensì un racconto di quello che il calcio è per noi calciatori, o almeno, per tanti di noi, in quanto il calcio essendo uno sport formato da una complessità infinita di fattori, è per ognuno qualcosa di diverso.

Vi svelerò come un calciatore vive il suo mestiere, troppe volte erroneamente ridotto a “tirare due calci ad un pallone”, descritto da chi per il calcio ha dato tutto, facendone la principale ragione di vita. Da chi per esso ha sofferto abbastanza da arrivare ad odiarlo in alcuni momenti, per poi tornare ad amarlo non appena provata una di quelle emozioni che solo il calcio regala. Trasformerò tiri, passaggi e contrasti in parole, per guardare e raccontare il calcio da un’angolazione del tutto inedita.

  • AC Milan Junior Camp kids Getty

    COME SI DIVENTA CALCIATORE?

    Trovatemi una cosa che appassiona e lega milioni di persone come solo il calcio sa fare. Qualcosa che, come quella sfera che rotola in un rettangolo verde, accomuna nello stesso sogno migliaia di ragazzi, facendo crescere in loro quel fortissimo desiderio di diventare come i propri idoli. Il calcio è motivo di argomento praticamente ovunque e chiunque ha una sua opinione a riguardo. Tutti noi, quante idee diverse ci facciamo su una partita o su un giocatore? Non è forse questa una delle bellezze di questo sport? È praticamente allergico alla monotonia. Ma chi più di chiunque altro genera tutta questa passione e provoca questo attaccamento? I protagonisti, gli interpreti. Quelli che con le loro gesta fanno gioire o disperare, esultare o piangere, fanno brillare gli occhi di alcuni tifosi e ne fanno imprecare altri. Sono loro (o forse dovrei dire “siamo noi”?), i calciatori, che stabiliscono il risultato di una partita, che a sua volta determina, spesso e volentieri, lo stato d’animo di tifosi e supporters.

    E quindi, come si diventa calciatore?

    I bambini si immaginano, un giorno, a calcare i campi di San Siro, di giocare una partita di Champions League al Santiago Bernabeu, ma cosa devono affrontare per arrivare a coronare il loro sogno? La strada è lunga e complessa, proprio per la complessità di fattori che compone il Gioco del calcio. Si comincia chiaramente con la scuola calcio, che raccoglie quell’infinito entusiasmo dei più piccini, capaci di divertirsi instancabilmente per tutta la durata dell’allenamento.

    Mio figlio Santiago ha 5 anni, ha cominciato da poco la scuola calcio, e ogni volta che lo accompagno agli allenamenti rimango sbalordito dalla foga che vedo sprigionarsi in quei campetti. Invidio in lui e nei suoi compagni l’energia sconfinata che riescono ad esprimere, senza mai stancarsi. Beh, posso già darvi una risposta alla fatidica domanda: “come si diventa calciatore?” Senza mai perdere quell’entusiasmo che nasce da bambini, e soprattutto, facendo in modo che giocare sia solo un innocente divertimento, senza pensare al domani. Chi se non un bimbo col pallone tra i piedi, può permettersi il privilegio di pensare solo a divertirsi? Per tutto il resto ci sarà tempo.

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  • I PROVINI, I 'PRIMI ESAMI'

    Poi allora, cosa succede? Le prime partite, i primi tornei, qualcuno che spicca per talento e capacità. Ed ecco che spuntano le prime occasioni. I provini. Quei primi “esami” che tanto emozionano genitori e figli.

    “Papà, ma cosa devo fare perchè mi prendano?” “Cerca di giocare come sai e divertiti, nient’altro!”

    Mi rispose così mio padre, a Linate, mentre Franco Baresi a bordo campo, guardava bambini di 9/10 anni che come me, per la prima volta, indossavano la maglia del Milan. Ci provai, ma diciamo che non andò una meraviglia, 5 ore di macchina per riuscire a toccare forse 2 palloni. Eppure, durante il viaggio di ritorno, avevamo entrambi la consapevolezza che ne era valsa la pena!

    Tornai quando di anni ne avevo 13 e mi bastò toccare, appunto, due palloni perchè Stefano Eranio, persona dalla capacità di insegnare calcio in maniera assolutamente invidiabile, si assentasse per raggiungere i dirigenti dicendo loro di prendermi all’istante. Questo per dire che le occasioni arrivano e, prima o poi, quelli che vogliono davvero arrivare le colgono.

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  • UN'ADOLESCENZA DI SACRIFICI

    Ad un certo punto arriva l’età adolescenziale, con tutte le problematiche legate allo sviluppo e alla maturazione. Si è costretti a crescere prima dei propri coetanei, si compiono diversi sacrifici in quanto il calcio comincia a richiedere l’impiego di parecchio tempo. Tempo che si toglie per esempio alle amicizie e al divertimento.

    Lungo la mia esperienza nel settore giovanile ho sentito una frase ripetersi a dismisura: “Se un giocatore deve arrivare, in un modo o nell’altro, arriva!” Questa frase non si riferisce a fenomeni mistici o a raccomandazioni di vario genere, bensì alle difficoltà che un ragazzo, che vuole affermarsi nel mondo del calcio, è in grado di fronteggiare e superare.

    Man mano che si sale e si passa di categoria, dagli esordienti, ai giovanissimi, allievi e così via, diventa sempre più difficile affermarsi. È come una scala che si restringe sempre di più. Fulvio Fiorin, mio allenatore per due anni negli allievi del MIlan ripeteva spesso: “È una selezione naturale!” Come dargli torto. È complicato arrivarci, figuratevi confermarsi. Giocare, e farlo nel miglior modo possibile, qualsiasi sia il contesto in cui ci si trova e nonostante tutte le difficoltà del caso. Perché se non si rende in campo, non si va avanti. Non importa a nessuno se si attraversa quella fase di crescita dove è anche normale sbandare. O si risalta in campo per doti tecniche e morali, oppure non si progredisce. L’unico vero giudice è il campo di gioco.

    C’è un aneddoto di cui ora mi rendo conto, ma che anni fa è stato un bivio importante della mia vita. Trasferito da qualche giorno nel collegio del Milan a 14 anni, assieme ai ragazzi stranieri e a quelli che venivano da tutte le zone d’Italia, ricevetti una notizia alquanto sgradevole. Il Destino, l’Universo, o la pura semplicità dei fatti, chiamatelo come ritenete più opportuno, mi pose di fronte un grande ostacolo: il mio tesseramento aveva avuto dei problemi e da lì a fine anno avrei potuto giocare solo uno o al massimo due tornei, nemmeno una partita di campionato. Per potermi tesserare la società doveva aspettare la stagione successiva. Trovavo difficile reggere la distanza da casa e dalla famiglia, vivere in un convitto, in una realtà totalmente differente da quella in cui ero cresciuto e rivoluzionare la mia vita senza poter effettivamente giocare per una stagione intera, ma allenandomi solamente. Però, nonostante tutto, quante altre occasioni mi sarebbero capitate per diventare calciatore? Quante opportunità avrei avuto in futuro di vestire ancora la maglia del Milan se avessi mollato? Mi convinsi che ne sarebbe valsa la pena, scommisi su me stesso e continuai a credere di poter raggiungere i miei obiettivi. A prescindere da come sarebbe andata, quell’esperienza mi avrebbe comunque insegnato qualcosa.

    Continuando, non bisogna dimenticare che si parla dell’età in cui un adolescente deve formarsi anche dal punto di vista scolastico. Ho avuto una grande fortuna durante gli anni del settore giovanile al MIlan: i miei genitori, e i tutor che mi accompagnavano in questa avventura lontano da casa, mi hanno trasmesso l’importanza di voler finire forzatamente gli studi. E volete sapere cosa che mi ha insegnato questo approccio? Ho imparato il valore di portare a termine i miei compiti e la disciplina da avere di fronte ad un impegno. Queste sono qualità che poi ci si porta in campo e sono convinto che anche così si diventa calciatori.

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  • AC Milan Primavera 2013Getty

    LA PRIMAVERA, IL GRADINO PIÙ RIPIDO

    La Primavera infine è l’antipasto di quello che sarà il calcio dei grandi. È facile pensare, che una volta che si arriva in questa categoria, manchi poco per affermarsi nel mondo delle Prime Squadre professionistiche. Si tratta però della fine di una corsa lunga e pesante, dove l'ultima parte del tragitto, come sempre quando stai per raggiungere un obiettivo importante, è in salita, con una dura pendenza da affrontare. Vi basta pensare che, stando a quanto dimostrano i dati, circa il 75% dei giocatori delle rose di Primavera non giocheranno neanche 1mn tra i professionisti. Ve lo immaginavate un salto così difficoltoso? Che fossero così pochi i “privilegiati” a potersi meritare il professionismo? Eppure l’avventura è appena iniziata, per quei pochi che riescono ad inserirsi nelle Prime Squadre comincia la parte in cui devono affermarsi e confermarsi, ecco perchè cambia totalmente la prospettiva con la quale devono affrontare il loro mestiere. È questo l’ultimo gradino, ma anche il più ripido, per diventare calciatore.

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  • LO SPIETATO CALCIO DEI GRANDI

    La realtà alla quale si è abituati in Primavera non ha niente a che vedere con l’effettiva realtà che si vive nell’ambiente di una Prima Squadra. Me ne sono accorto io sulla mia pelle, e me ne accorgo vedendo quei disagi, a volte piccoli a volte grandi, che provano i “giovani” una volta usciti da quella categoria e trapiantati in uno spogliatoio di adulti.

    Salve, scusi, sa dove posso poggiare la mia roba?”

    Queste furono le mie prime parole, appena entrato in spogliatoio a Cittadella, alla mia prima esperienza in Prima Squadra in Serie B. Il fatto è che mi rivolsi così ad Andrea Pierobon, dando del lei al portiere che sì, di lì a poco avrebbe compiuto 44 anni, ma che rimaneva pur sempre un mio compagno di squadra! Mancava solo l’inchino… Vinsi scherzosamente un giro “a quel paese” e da lì cominciò la mia avventura nel mondo dei grandi.

    Si viene catapultati in un ambiente totalmente diverso, dove la distinzione tra “over” e “under” evidenzia un fattore fondamentale nella carriera dei calciatori, ovvero la disponibilità di tempo. Quanto tempo ha un calciatore per raggiungere i propri sogni? Per conseguire i propri obiettivi? Un ragazzo di 19/20 anni crede di avere sempre tempo a disposizione, ha appena iniziato, è giovane, è convinto di avere sempre nuove opportunità nel caso fallisca le prime occasioni. “L’anziano” grazie all’esperienza avuta sa che il mondo del calcio è spietato, che non guarda in faccia nessuno, che basta un’occasione fallita, un infortunio grave, o un treno mancato per poco, che le dinamiche possono portare a percorsi davvero in salita, e che niente è scontato! Questo è uno dei primi gap che un ragazzo deve colmare entrando in una Prima Squadra, qualsiasi essa sia.

    Raccontavo prima della ferma consapevolezza che le sfide del passato sarebbero valse la pena, un domani, per me come per tutti, nella realizzazione del sogno di giocare ad alti livelli. Infatti, ebbi la fortuna di realizzare uno dei miei più grandi desideri, solo alla mia seconda apparizione nel calcio dei grandi: giocare alla Scala del Calcio di MIlano. Anni e anni (ben 6) a rincorrere un pallone vestendo rossonero, sognando San Siro, e non appena lasciai il Milan, il Destino cosa mise sul mio cammino? Una partita di Tim Cup esattamente a Milano, sponda neroblu questa volta. Il 18 agosto mi trovai a giocare contro Icardi, Guarin, Kovacic, Handanovic…e a portarmi a casa la maglietta di Cambiasso! Curiose e incontrollabili le Leggi del Calcio. E se mi chiedessero se ne è valsa la pena, affrontare le varie difficoltà e passare momenti che la alcuni miei coetanei sicuramente non hanno passato a 14/15 anni, come potrei dire di no?

  • LE PRESSIONI DEL RISULTATO

    Bisogna crescere e farlo alla svelta, perchè in poche settimane ci si trova in piazze calcistiche totalmente diverse e bisogna cercare di capirne il prima possibile le dinamiche. I giovani uscenti dai settori giovanili vanno principalmente ad inserirsi nelle rose di Serie B o ancor di più in Lega Pro, dove si vivono pressioni indubbiamente più rilevanti rispetto a quelle che si vivevano nel campionato precedente. Da poco infatti, in Primavera esistono promozioni e retrocessioni, ma nulla hanno a che vedere rispetto alla posta in gioco per esempio in una Lega Pro. E vi spiego il motivo, come spesso mi sono trovato a fare con qualche giovane in spogliatoio. Il risultato se prima era importante, ora diventa fondamentale, in quanto da quello dipendono tantissimi fattori che determinano il lavoro vero e proprio del calciatore. Una retrocessione dalla Lega Pro determina l’annullamento di qualsiasi contratto, giocatori quindi, per esempio con famiglie, svincolati. Tantissime questioni societarie da risolvere.

    Il nostro lavoro comprende anche questo, non solo quel rettangolo verde, per cui serve calarsi in fretta nella realtà in cui ci si trova e maturare, il prima possibile. Questi discorsi più si scende di categoria più si accentuano. Un “under” che si cala in un realtà di Lega Pro il più delle volte ha quella sana sfrontatezza che permette loro di rendere al meglio nonostante possano esistere momenti di difficoltà, sono giovani e hanno più facilità nel farsi meno problemi di altri. Da una parte quella spensieratezza dei più giovani, noi ”vecchi” la invidiamo, ed è giusto che cerchino di mantenerla il più possibile, pur sempre in maniera responsabile.

    Spensieratezza per alcuni, per altri invece buona spregiudicatezza. Ho avuto compagni che già a 16 anni non avevamo bisogno che gli si insegnasse come diventare calciatori, lo erano già! Bryan Cristante, al di là della sicurezza nelle sue capacità, aveva la convinzione che avrebbe spaccato tutto di lì a poco. Non a caso è diventato Campione d’Europa, queste cose non accadono mai per caso. De Sciglio e Verdi per esempio avevano un comportamento esemplare in qualsiasi ambito, calcistico ed extra calcistico, ci si aspettava solo il momento in cui avrebbe preso il volo la loro carriera. Andrea Petagna invece più anarchico e controcorrente, e la voglia di imporsi lo ha portato a fare tuttora una carriera di altissimo livello. Sono tutti approcci diversi, ma accomunati da una stessa caratteristica: tutti quelli che ho visto arrivare, non solo a grandi livelli ma anche in Serie B e Lega Pro, hanno sempre vissuto in funzione del loro obiettivo, facendo tutto il necessario per fare della loro passione il loro mestiere.

    Un’altra questione rispecchia il fatto che la maggior parte dei giocatori che escono dalle Primavere vestivano poco prima le maglie dei Settori Giovanili più importanti di Serie A, questo significa quindi abituati a strutture e a comodità importanti. Io per esempio ho avuto la fortuna di allenarmi per 3 anni a Milanello, e mi ripetevo spesso di godermi quel privilegio, perché una volta uscito da lì sarei andato in una realtà sicuramente differente, in quanto le strutture e le disponibilità della maggior parte delle squadre di Serie B o Lega Pro sono chiaramente inferiori a quelle dei top club di Serie A. È luogo comune tra noi giocatori, che abbiamo già trascorso diversi anni di carriera, ripeterci che se tornassimo indietro certi errori non li ripeteremmo più. D’altronde, alcune cose si apprendono solo con l’esperienza, l’esperienza di quel salto che tutti noi calciatori abbiamo affrontato e che tanto ci ha fatto imparare.

    In tantissimi desiderano diventare calciatori, ma in pochissimi di quelli che ci provano riescono a vivere di questo. Significa che avere l’occasione per crearsi un futuro in questo mondo è raro ed esclusivo. La mia avventura in questo mestiere, che secondo la mia personale e di parte visione è il lavoro più bello del mondo, mi ha insegnato che il tempo, e appunto le opportunità, non tornano più indietro, e che le cose vanno vissute al massimo cercando di farle nel miglior modo possibile. Quando il calcio diventa la propria ragione di vita, e si è disposti a fare qualsiasi cosa per creare le circostanze favorevoli alla propria realizzazione, si poggia un mattoncino in più su quelle fondamenta, formate da fame e passione, che aiuteranno a costruire quel castello dove albergherà il sogno di giocare a calcio ad alti livelli. Così si diventa, e ci si conferma, calciatori.

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