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Diabaté Benevento JuventusGetty Images

La parabola di Cheick Diabaté: dalla doppietta alla Juventus al Persepolis

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“Io voglio giocare!”.

La mano colpisce il petto, il volto si contrae in un'espressione corrucciata. Cheick Diabaté proprio non capisce perché mai debba lasciare il campo. Si sente in forma, capisce di poter lasciare un segno. Eppure, da quando indossa la maglia del Benevento, ha trovato pochissimo spazio. Un paio di partite in tribuna, un altro paio in panchina, qualche spezzone di partita qua e là. Ed ecco che, dopo aver finalmente cominciato a puntare su di lui, Roberto De Zerbi vuole nuovamente toglierlo dal campo.

Inaudito, almeno dal punto di vista del centravanti maliano, uno dei tanti rinforzi esotici pescati dal Benevento nel gennaio del 2018. Il 4 aprile di quell'anno, con i giallorossi in vantaggio sul Verona, Diabaté non riesce a trattenere la propria irritazione. Il problema è che De Zerbi pare deciso a far valere la propria autorità:

“L'allenatore sono io”.

Alla fine, come per magia, tutto si ricompone. De Zerbi cambia idea e Diabaté riceve l'ok per rimanere in campo per tutta la partita. E, proprio come aveva sperato, lascia il segno: il Benevento travolge per 3-0 il Verona e la doppietta che chiude i conti, dopo il vantaggio di Letizia nel primo tempo, è proprio sua. Dirà RDZ dopo la gara che “vorrei che tutti i giocatori avessero questa personalità”. Una qualità che al centravantone di Bamako non è mai mancata.

  • Diabaté BordeauxGetty Images

    TRAGEDIE E INCOMPRENSIONI

    Ci vuole personalità, intanto, per accettare di giocare nel Benevento versione 2017/18. Alla prima esperienza in Serie A, i sanniti stanno mettendo in mostra un rendimento tra i peggiori che il calcio italiano ricordi. Le prime quattordici partite di campionato le hanno perse tutte (!): nessun pareggio, nessunissima vittoria, solo delusioni in serie. Non è un caso che De Zerbi, arrivato in sostituzione di Marco Baroni all'indomani del nono ko, metta già le mani avanti parlando di “missione salvezza quasi impossibile”.

    Però si può retrocedere anche con dignità. Lo pensa l'allenatore, lo pensa anche la società. Che a gennaio rivoluziona la rosa, andando a raccattare qualche vecchia gloria del pallone: l'ex Tottenham Sandro, ad esempio, oppure Bacary Sagna. Nel calderone finisce anche Diabaté: arriva in prestito dai turchi dell'Osmanlispor, dove non ha praticamente giocato anche a causa di un infortunio, con l'obiettivo di rilanciarsi.

    Quando Diabaté mette piede a Benevento, scatta la corsa all'informazione. La gente locale cerca di capire chi sia questo lungagnone di un metro e 94 per quasi 80 chili, come giochi, come si comporti fuori dal campo. Si scopre così che ha avuto una vita tremenda: da ragazzino ha perso prematuramente la madre, ha visto morire il padre e il fratello per una grave malattia e il migliore amico in un incidente.

    Il calcio è così diventato una forma di riscatto. Prima in patria, in Mali. Poi in Francia, al Bordeaux. Qui gli inizi sono faticosi, tra problemi di ambientamento e la difficoltà ad adattarsi a una nuova cultura. Nel corso degli anni è diventato celebre l'aneddoto del rapporto con Patrick Battiston, il suo primo allenatore nelle giovanili dei Girondins. I primi tempi, Diabaté non riesce proprio a guardarlo negli occhi mentre questi gli sta parlando: un affronto per il tecnico, che fraintende il suo atteggiamento e non lo schiera in campo.

    “Prima di venire in Francia – ha detto Diabaté a 'BeIN Sports' – mio padre mi diceva di rispettare le persone e soprattutto di non guardare negli occhi le persone più anziane di me mentre mi parlavano. Mi diceva di guardare verso il basso per dimostrare loro il mio rispetto”.

    Una volta risolta l'incomprensione, Diabaté risale le gerarchie. Viene aggregato alla prima squadra, ne diventa un titolare, in sei anni stabilisce una media di una rete ogni tre partite. Vive il momento più complicato nel 2015, quando un paio di infortuni lo costringe ai box per un totale di otto mesi. L'anno dopo va a guadagnare all'Osmanlispor e poi torna in Francia, in prestito al Metz, che aiuta a ottenere la salvezza. Fino alla chiamata un po' random: il Benevento ultimissimo in Serie A.

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  • Diabaté Benevento JuventusGetty Images

    "MISTER, FAMMI GIOCARE"

    Con De Zerbi non è che sia subito amore. Inizialmente, l'allenatore bresciano quel gigante proprio non lo vede. Il primo mese, Diabaté non gioca mai: contro Bologna e Torino non viene neppure convocato, contro Napoli e Roma rimane in panchina dal primo all'ultimo minuto. Quel Benevento così sgangherato, manco a dirlo, le perde tutte e quattro. Ed è lì che Cheick decide di forzare la situazione per ritagliarsi finalmente uno spazio all'interno dei pensieri del tecnico.

    "Andai nel suo ufficio a parlagli per chiedergli spiegazioni – ha raccontato nel 2020 in un'intervista a 'France Football' – Gli dissi 'Mister, ma perché mi avete comprato se non mi fate giocare?'. Ma da quel momento mi parve chiaro che non era stato lui a volermi, perché mi disse: 'Ma Cheick, qualcuno ti ha fatto delle promesse sul tuo impiego in campo'. Gli risposi di no, ma non capivo perché dessero una possibilità a tutti tranne a me. In un'altra discussione con l'allenatore, gli dissi: 'Perdiamo da quattro partite, fammi giocare e vedrai che con me in campo non perderemo così tanto'. E lui allora mi disse 'Cheick, la prossima giochi tu'. Da quel momento in poi non sono più uscito dal campo".

    Con Diabaté tra i titolari, il Benevento finalmente inizia a togliersi qualche soddisfazione. Mette in mostra un bel calcio, palla a terra, come pretende De Zerbi. Batte 3-2 il Crotone, conquistandosi la prima vittoria della propria storia in Serie A, e il goal decisivo a un paio di minuti dalla fine è proprio del maliano. Poi se la gioca alla pari con Inter e Fiorentina. Quindi batte nettamente il Verona, nel celebre pomeriggio in chi Cheick è il principale indiziato a uscire dal campo, ma punta i piedi e timbra una doppietta.

    Pochi giorni più tardi, al Vigorito arriva la Juventus di Paulo Dybala e Gonzalo Higuain. Madama ha la testa al ritorno dei quarti di Champions League contro il Real Madrid e il Benevento prova ad approfittarne. Alla fine non va, perché la Joya ne segna tre e i bianconeri si portano a casa un 4-2 che li avvicina ulteriormente all'ennesimo Scudetto, ma dall'altra parte è proprio Diabaté ad accendere le speranze dei sanniti: goal del momentaneo 1-1, goal del momentaneo 2-2 e partita tenuta in bilico fino alla fine. Tanto che anche De Zerbi, alla fine, si convince di aver fatto bene a puntare su di lui.

    "Il mister mi regalò un dolce, una specie di torta, e mi disse: 'Cheick, tutto quello che dici, tu lo fai'. Non avrei mai immaginato una cosa del genere".
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  • IL PRESENTE IN IRAN

    Il giovanissimo Diabaté non avrebbe voluto abbandonare il proprio paese. Sognava di rimanere lì, in Mali. Fu la madre a convincerlo a acquistare un biglietto di sola andata per l'Europa. Roba di inizio millennio. Una ventina d'anni più tardi, Cheick sta conoscendo il mondo: oggi gioca nel Persepolis, in Iran, dopo aver militato anche negli Emirati Arabi e in Qatar. Per un breve periodo ha pure convissuto con Andrea Stramaccioni all'Esteghlal.

    Gioca e non gioca, Diabaté. Segna e non segna. Normale: ha 35 anni, è ormai arrivato al rettilineo finale della carriera. E così ogni tanto ripensa a quel che ha passato nel corso della propria vita. Agli ostacoli. Ai lutti che lo hanno portato a dire che “bisogna amare tutti, non serve a nulla essere cattivi”. Ai momenti bizzarri, anche: come quando l'umorista francese Julien Cazarre gli ha dedicato una canzone intitolata “Outé Cheick Diabaté”.

    La doppietta alla Juve è probabilmente la testimonianza più concreta lasciata da Diabaté nel nostro calcio. Non l'unica. Nel suo piccolo – non di statura – Cheick è nella storia del Benevento: gli ha regalato la prima vittoria (contro il Crotone) e il primo punto esterno (contro il Sassuolo) in Serie A. Ed è il miglior marcatore del club nel massimo campionato. E poi, guardando i numeri generali si scopre che il maliano ha timbrato 8 volte in 11 presenze, con un'impressionante media realizzativa dello 0.73. Meglio di Cristiano Ronaldo e di Zlatan Ibrahimovic. Hai detto nulla.

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