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Edson Braafheid LazioGetty

I Mondiali, la Lazio, il cibo italiano e i dilettanti della Florida: la parabola di Braafheid

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Vivere un Mondiale da comparsa, accumulando panchine su panchine e nessun minuto in campo, salvo poi scoprire che nel momento che più conta, nel frangente più importante dell’intera storia del calcio del tuo Paese, tocca proprio a te.

Il compito che ti viene affidato è tra quelli più gravosi in assoluto. Ti viene chiesto di entrare in campo nel corso dei tempi supplementari con il risultato inchiodato sullo 0-0, di presidiare la fascia sulla quale il tuo avversario sta spingendo più forte e di sostituire il tuo capitano che, stremato, alla sua ultima partita da calciatore ha l’occasione di regalarsi la più bella delle istantanee per chiudere la sua gloriosa carriera: quella con la Coppa del Mondo tra le mani sollevata al cielo.

E’ questa la situazione che si è ritrovato a vivere Edson Braafheid l’11 luglio 2010. Roba da far tremare le gambe, soprattutto se sei uno di quei calciatori che, come ammesso molti anni dopo, faticano a reggere la pressione.

A Johannesburg si sta giocando la finale dei Campionati del Mondo e in campo, a sfidarsi da oltre un’ora e mezza, ci sono Olanda e Spagna, le due squadre che più in assoluto hanno meritato di contendersi il più importante trofeo al quale si possa ambire in ambito calcistico.

Al minuto 105’ Giovanni van Bronckhorst non ha più un briciolo di energia in corpo, gli fa male il ginocchio e dalle sue parti c’è Jesus Navas che, essendo tra l’altro molto più fresco, spinge come un forsennato.

Bert van Marwijk si volta verso la panchina e decide che è arrivato il momento di gettare nella mischia Braafheid, un terzino puro e dall’indole più difensiva rispetto al suo capitano. Non è mai entrato nelle rotazioni nel corso del torneo, è reduce da una stagione complicata, ma è anche un giocatore che è arrivato a guadagnarsi la maglia del Bayern Monaco, e questo vuol dire che è uno sul quale si può fare affidamento.

“Stavo per giocare la partita più importante che ci sia e mentre il 90% della popolazione mondiale la stava guardando alla tv. Ero super nervoso e super eccitato allo stesso tempo. Mai, nemmeno in un milione di anni, avrei immaginato di essere protagonista su un palco così grande”.

  • Edson Braafheid NetherlandsGetty

    LA FINALE DI BRAAFHEID

    Quando Edson Braafheid fa il suo ingresso sul terreno di gioco, la partita sembra destinata ai calci di rigore. Olanda e Spagna hanno dato tutto in una finale che ha assunto contorni drammatici, ma non sono riuscite a regalarsi neppure il minimo vantaggio.

    Gli Oranje sono andati più vicini all’1-0, ma sono stati costretti a fare i conti con la giornata complicata dei loro attaccanti e con quella di grazia di Iker Casillas. Gli iberici, dal canto loro, sembrano averne un po’ di più e soprattutto possono contare su una maggiore qualità complessiva e su giocatori che, in ogni momento, possono cambiare il volto delle cose.

    “Ho visto Giovanni van Bronckhorst toccarsi il ginocchio dopo uno scatto con Jesus Navas - ha raccontato anni dopo a ‘Vice’ - in quel momento ho sentito il sangue scorrermi nelle vene. Non ricordo niente del riscaldamento, solo che Gio esce ed io entro. Ho pensato che tutto il mondo mi stesse guardando e quel pensiero ancora mi perseguita. Ero teso, ma sono stato subito chiamato ad ingaggiare un duello in velocità con Navas”.

    Si vede da lontano che Braafheid è teso come una corda di violino. In occasione di un cross in area dalla sinistra avversaria, è così impegnato ad osservare il suo avversario che non si accorge che il pallone, in piena area di rigore, sta spiovendo proprio sulla sua testa. Non lo vede nemmeno arrivare, la sfera gli rimbalza addosso e fortunatamente assume una traiettoria strana che trasforma il tutto in un perfetto retropassaggio per Stekelenburg. E’ una scena che ha del comico, se non fosse che non c’è nulla da ridere: almeno, non in un simile contesto.

    Il più clamoroso autogoal dell’intera storia dei Mondiali è stato evitato grazie ad un pizzico di buona sorte, ma pochi minuti più tardi la ‘dea bendata’ deciderà di voltarsi dall’altra parte quando proprio Braafheid darà involontariamente il via all’azione decisiva, quella che porterà al goal che manderà la Spagna in paradiso: il terzino, nel tentativo di sventare una minaccia, serve Iniesta che con un colpo di tacco serve Fabregas. Il 15 dell’Olanda si fa ingolosire dal pallone, lo insegue fino ad una zona che non è di sua competenza lasciando libero uno spiraglio nel quale si infila proprio Iniesta che, penetrato in area di rigore, scaraventa il pallone in rete con tutto ciò che gli resta. E’ 1-0 a 5’ dalla fine e la Coppa prende la strada di Madrid.

    “I miei Mondiali? Ventidue minuti. Niente di più e niente di meno, ma nessuno potrà mai portarmeli via. Eravamo così vicini e ancora oggi fa male, ma posso parlarne solo con il sorriso. Cos’altro potrei fare? Il dolore è così forte che è meglio riderci su”.

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  • Edson Braafheid, Bayern Munich 2009Getty

    LA LITE CON VAN GAAL

    Braafheid non giocherà mai più in vita sua una partita così importante. Ha assaporato il gusto della sconfitta più amara che possa esserci, ma può consolarsi sapendo che ad attenderlo c’è una seconda possibilità al Bayern. Il club tedesco, su indicazione di Van Gaal, l’ha acquistato un anno prima, ma complice anche qualche prestazione non all’altezza delle aspettative, già nel gennaio del 2010 l’ha girato in prestito al Celtic.

    Il terzino accetta la destinazione scozzese solo per garantirsi i minuti che gli darebbero la possibilità di puntare ad una convocazione per i Mondiali. E lo fa anche perché gli è stato promesso che, se farà bene, gli sarà data una nuova chance a Monaco di Baviera.

    Braafheid torna dunque con la volontà di imporsi finalmente ad alti livelli ma, quando capisce che Van Gaal lo considera l’ultimissima delle sue alternative a sinistra, va su tutte le furie.

    “Giocammo una partita in casa del Borussia Mönchengladbach, Van Gaal mi fece scaldare a lungo ma non mi fece entrare. Lo incrociai negli spogliatoi e sappiamo come è fatto, è un tipo emotivo. Ha toccato corde che non doveva toccare e la cosa è sfociata in uno scontro fisico. Sentivo di essere stato trattato senza rispetto e di avere tutto il diritto di reagire così. Oggi non vado orgoglioso di quello che ho fatto, me ne sono pentito”.

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  • UNA STAGIONE INTERA FUORI ROSA

    Dopo la lite con Van Gaal, per Braafheid si chiuderanno per sempre le porte del Bayern. Ripartirà dall’Hoffenheim, tornerà poi in Olanda per vestire la maglia del Twente in prestito e, una volta ripresa la strada per la base, si renderà conto che per lui in Germania non c’è più spazio.

    Nella stagione 2012-2013 ha giocato con discreta continuità ed è quindi convinto di poter avere qualcosa di importante da dare all’Hoffenheim, ma il suo allenatore Markus Babbel non la pensa così e nessuno l’ha avvertito della cosa.

    “Contattai il direttore sportivo dopo la pausa estiva - racconterà a ‘Spox’ - perché nessuno mi aveva indicato la data dell’inizio del ritiro. Pensai che si fossero dimenticati di avvertirmi, poi un sabato mi chiamano per dirmi ‘L’allenatore vuole provare un qualcosa di diverso, sei fuori. Allenati e trovati una sistemazione il prima possibile’. Pensavo fosse uno scherzo, non c’era motivo di trattarmi così perché non avevo mai causato problemi ed ero sempre stato molto professionale. Andai ad allenarmi ogni giorno lontano dalla prima squadra, come se fossi un criminale”.

    A Braafheid, a trent’anni, non resta che aggregarsi ai ragazzi della squadra U23. La carriera da calciatore gli sta scivolando via dalle mani e chiede un incontro con il suo allenatore che riuscirà ad ottenere solo mesi più tardi. Chiede spiegazioni, vuole sapere dove ha sbagliato e se gli verrà data una possibilità.

    “Ero pronto ad essere la sua terza scelta, allora mi guardò, mi sorrise e disse ‘Mi piace il tuo atteggiamento, vedrò cosa posso fare a ti ricontatterò tra qualche giorno’. Non l’ho più sentito”.

    Braafheid non si è mai sentito meglio in carriera, ma è costretto a vivere una stagione da semplice spettatore. Quello che non può sapere è che in Italia c’è già chi ha deciso di scommettere su di lui.

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  • Carlos Tevez Braafheid Lazio Juventus Serie A 22112014Getty Images

    LA CHIAMATA DELLA LAZIO

    “Questa è una grande opportunità per rilanciarmi e voglio coglierla con due mani. Voglio tornare a giocare, tornare ai miei livelli e magari vincere con la Lazio. Sono arrivato in un grandissimo club, possiamo fare grandi cose insieme”.

    E’ il 29 agosto 2014 quando Edson Braafheid si presenta alla stampa da nuovo giocatore della Lazio. Il suo ingaggio ha colto molti di sorpresa, ma il direttore sportivo Tare non ha dubbi sulla bontà dell’operazione.

    “Abbiamo preso un giocatore che ha fatto molto bene in Olanda e che viene a completare una rosa importante che aveva delle carenze a sinistra. Ci si è presentata questa scommessa, visto che viene da un’annata difficile, e abbiamo deciso puntarci. E’ esperto, ha giocato una finale dei Mondiali e sarà molto utile a questo gruppo”.

    Braafheid, prima di apporre la firma sul contratto, è stato visionato da vicino da Stefano Pioli nel corso di alcune settimane di prova. La sua condizione inizialmente non è delle migliori, ma lavora sodo per mettersi a regime e già il 14 settembre fa il suo esordio in Serie A in una partita contro il Cesena. Si ritaglia un posto da titolare a sinistra ma, proprio nel suo momento migliore, ad inizio dicembre riporta un serio infortunio in occasione di una sfida con il Parma: lesione di secondo grado al legamento collaterale interno, con piccola lesione del menisco.

    Tornerà in campo solo ad inizio aprile, ma ormai il titolare a sinistra è diventato Radu. Per quanto fatto vedere nelle sue diciotto presenze complessive, si guadagna il rinnovo per la stagione successiva e quindi fino al giugno 2016.

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  • LO SCONTRO CON RADU E IL ‘NO’ ALLA SALERNITANA

    Fin dalle prime settimane della sua seconda stagione in biancoceleste diventa evidente a tutti che Braafheid non rientra nei piani di Pioli.

    Di lui si perdono le tracce fino agli inizi di settembre quando si sparge la voce che, nel corso di un allenamento, si è sfiorata la rissa con Radu. A fare da innesco è stata una brutta entrata e solo l’intervento dei compagni ha evitato il peggio.

    Braafheid non gioca mai, colleziona un’infinità e a novembre decide di rivolgersi ai tifosi biancocelesti con un post pubblicato su Instagram

    “Molti di voi mi chiedono perché non gioco. Non sono infortunato, sto bene e mi sto allenando al 100%. Il periodo nero è passato, aspetto la mia chance e sono pronto a lottare per questi colori e a dare il massimo per voi”.

    Quello che non sa è che la Lazio ha già deciso di cederlo. Lotito vuole ‘dirottarlo’ in Serie B, nella sua Salernitana, convinto che quel trasferimento possa rivelarsi un colpo sensazionale per la compagine campana: Braafheid non ci sta e rifiuta.

    “Sia lui che Morrison non hanno accettato il trasferimento - dirà Lotito nel gennaio del 2016 - Non potevo costringerli a farlo. Sarebbero stati due giocatori di valore assoluto per la Serie B, ho fatto di tutto fino all’ultimo secondo, ma non ci sono riuscito. Gli avevo promesso anche dei bonus, ma nulla. Vuol dire che resteranno alla Lazio per non giocare”.

    Qualche mese dopo Braafheid saluterà la Lazio avendo totalizzato cinque presenze nella sua seconda annata in biancoceleste.

  • Edson Braafheid, FC Utrecht 09242017ProShots

    IL CIBO ITALIANO E I DILETTANTI DELLA FLORIDA

    Svincolatosi dalla Lazio, Braafheid ripartirà dall’Olanda e dall’Utrecht, la sua prima squadra in carriera, ma ormai del giocatore che sei anni prima si era guadagnato una convocazione per i Mondiali, è rimasto poco.

    Ha superato i trentatré anni, ha perso lo smalto di un tempo e deve fare i conti con problemi di peso.

    “Mi sono fatto accompagnare da un dietologo, perché ero in sovrappeso quando sono tornato in campo - ha svelato ad ‘AD’ - La scorsa stagione mi sono allenato con la Lazio, ma ho giocato poco e la cosa fa la differenza. Devo inoltre dire che a tutto questo hanno contribuito la vita italiana ed il loro cibo delizioso. Ora ho perso quattro o cinque chili e mi sento bene”.

    Braafheid non riesce a ritagliarsi il proprio spazio e, quando nell’aprile del 2017 viene relegato nella formazione giovanile, capisce che è veramente finita: il 1° gennaio 2018 annuncia il ritiro dal calcio giocato.

    Sembra l’ultimo atto di una carriera vissuta sulle montagne russe, tra infiniti alti e bassi, ma intanto sua moglie, che è americana, ha deciso che il ‘giro d’Europa’ è finito e che è arrivato il momento di tornare a casa.

    Negli Stati Uniti, lontano dalle pressioni e dai ritmi che il calcio europeo impone, Braafheid torna a sentirsi un calciatore e, a pochi mesi dal suo ritiro, annuncia il ritorno in campo per legarsi all’Austin Bold. Si unisce così ad un club che prende parte alla USL Championship, il livello immediatamente successivo alla MLS, e che è nato poche settimane prima, tanto che presenterà il suo logo nel giorno dell’arrivo dell’olandese.

    A trentasette anni Braafheid si riscopre la stella del suo campionato, il vicecampione del mondo ammirato da tutti gli avversari.

    “Spesso durante le partite mi chiedono ‘Ma è vero che hai giocato una finale dei Mondiali? E’ pazzesco!’. Vedo che contro di me vogliono sempre dimostrare un qualcosa in più e la cosa mi motiva, perché sono ancora un tipo molto competitivo”.

    Svincolatosi nel 2020, Braafheid si lega al Palm Beach Stars, club semiprofessionistico nel quale si riscopre a condividere spogliatoio e campo con un’altra meteora della Serie A dal passato importante: il brasiliano Keirrison. Le luci dei riflettori del calcio che conta sono più lontane che mai, ma divertirsi sotto il sole della Florida non è poi così male.

    “Sono molto orgoglioso di quello che ho fatto nella mia carriera - ha spiegato a ‘Vice - ma in me prevale la sensazione che avrei potuto fare di più. Sono una persona che pensa molto, cerco nel profondo di me stesso cosa è andato storto. Penso ad alcune scelte e mi dico ‘chi ti credevi di essere’? Cose che riguardano solo me, non altri, non gli allenatori o i compagni di squadra”.

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