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Da Varese alle Maldive, passando per dieci Paesi: il viaggio di Ratto, il "portiere filosofo"

Quando, poco più di un anno fa, Giacomo Ratto ha salutato ufficialmente il Victoria Wanderers, club di Second Division in Gozo Football League (fino a una stagione fa, comunque, in First Division), seconda serie del campionato dedicato ai club dell’isola maltese di Gozo, la domanda non è mai stata “è finita?”, ma “dove andrà, adesso?”. Perché, in fin dei conti, puoi separare un giocatore da diversi obiettivi, cambiare la sua strada in molti modi, disegnare tracciati imprevedibili, ma non potrai mai spegnere un ideale. Fosse anche il più insolito.

Ad aprile Giacomo Ratto ha compiuto 36 anni: fa il portiere, è cresciuto nel Varese, ma in Italia ha giocato poco, pochissimo. Ha vestito le maglie del Luino, poi quella del Tradate: le ultime sono state quelle di Malnatese e Gavirate. Forse è anche per questo che il suo addio al Victoria è sembrato quasi la perfetta chiusura del cerchio, dopo un viaggio interminabile.

Perché “viaggio”, nel suo caso, assume un valore diverso. È il 23 giugno del 1994 e in Ratto scatta qualcosa, quando al Giants Stadium due immagini segnano irreversibilmente l’immaginario degli spettatori italiani: Roberto Baggio che esce, non felicissimo. E questa è la prima: Arrigo Sacchi è costretto a sostituirlo, per “colpa” (si fa per dire) di Gianluca Pagliuca, espulso al 21’ per aver toccato con la mano il pallone fuori area. Entra Luca Marchegiani.

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“Quando ho visto Marchegiani al Mondiale contro la Norvegia, ho preso la mia decisione: volevo fare questo nella vita”, ha spiegato a Cronache di Spogliatoio.

Dopo essere passato dalla Svizzera, dove ha giocato con Castello e Mendrisio, contatta Mario Muscat, ex portiere della Nazionale maltese e gli invia video e curriculum, proponendosi per un futuro a Malta. Non è da tutti prendere per mano la propria vita e percorrere vie insolite (ai più). Per Ratto, però, evidentemente il calcio non è mai stato solo un semplice sport o una questione professionale. Muscat raccoglie l’invito e gli spalanca le porte (tutte, quella calcistica compresa) del Victoria: il portiere varesino sta poco. Dopo aver fatto la preaseson con il Tauro, a Panama (sì, è stato anche a Panama), torna in Italia per problemi personali. Poi, nel 2014, prepara le valigie e si trasferisce in Nicaragua, all’UNAN Managua.

Da quelle parti la vita non è proprio la stessa di quella vissuta a Varese: la temperatura massima media è di 32 gradi, quella minima media è di 22 gradi. In America centrale fa caldo: troppo per allenarsi con costanza durante la giornata. Troppo per farlo persino di sera: le sessioni iniziano alle sei del mattino, con sveglia puntata. La dieta dei calciatori non è proprio “atletica”: pollo fritto. Tanto pollo fritto. All’esordio Ratto viene eletto “uomo partita”, poi si fa male e cambia tutto.

A marzo è un nuovo giocatore del Suva, squadra del massimo campionato delle Fiji: sono i “Capital City Boys Whites” e giocano all’ANZ Stadium, un impianto da 30mila posti. Il più grande dell’intero Paese che, tra le altre cose, è il sesto della carriera di Ratto, che però non smette di viaggiare.

Torna in Europa, in Svizzera, al Taverne, quindi si prende una pausa (complice un altro infortunio e il mancato pagamento del compenso) e passa all’Ulaanbaatar. In Mongolia: dove fa freddo, tanto freddo. È il primo calciatore italiano nella storia del Paese. Ma come ha fatto a finire in Mongolia? La storia è bizzarra. Riceve la chiamata di un agente portoghese che gli propone di andare in Africa. Accetta, ma sorgono dei problemi.

“Dovevo incontrare l’agente a Dubai, ma non è venuto per altri impegni. E sono cominciati i problemi: avevano un portiere l’anno prima che era andato via con l’ok del team manager e del presidente, ma non dell’allenatore. Quando l’ho incontrato ho capito che aveva qualcosa contro di me: ho giocato un torneo a quattro squadre, anche piuttosto bene. Il procuratore arrivò il giorno prima della scadenza del visto e l’allenatore ebbe tutto il tempo di fare i suoi comodi. Convinse l’altro portiere a tornare e il presidente a non farmi firmare il contratto”, racconta a Gianlucadimarzio.com.

Una volta in Africa, e precisamente in Zimbabwe (la squadra era il Tsholotsho), contatta l’allenatore del Cape Town, Hendrik Pieter de Jongh (con un passato al Waalwijk e all’AZ Alkmaar come vice), che gli spiana la strana per la Mongolia. È il 2016, ma non è mica finita qui.

Nel 2017 è la volta della Grecia: è la volta del Philippos Alexandreia. La sfortuna fa di nuovo visita a Ratto: emergono problemi nella registrazione del contratto, e nel frattempo scadono i termini per siglare l’accordo. Sta praticamente un anno ad allenarsi da solo, prima di tornare a Malta e prepararsi per una nuova sfida: il Vestri, in Islanda.

“Vivo a Ísafjördur, tremila abitanti, a 500 km e cinque ore di macchina dalla capitale. Non riesco ad adattarmi al clima, purtroppo”, spiega a Cronache di Spogliatoio.

Ratto resiste tre mesi, poi eccoci all’incipit del nostro racconto: tornato al Victoria Wanderers (dopo l’esperienza al Fgura United), il portiere varesino non si ferma. No: alla domanda che tutti si pongono, “dove andrà, adesso?", risponde viaggiando ancora, raggiungendo le Maldive. In due mesi, tra settembre e ottobre 2022, cambia squadra passando dall’Eydhafushi al Nilandhoo. Parteciperà alla FA Maldives North, Central & South League, competizione che potrebbe permettergli di giocare alla Dhivehi Premier League, il massimo campionato maldiviano. Da giramondo, ma non solo.

“Mi chiamano ‘il portiere filosofo’. L’ha coniato il mio allenatore in Mongolia, Rodrigo Hernando. Definisce chi sono io e quello che è il mio viaggio”: infinito, aggiungiamo noi, e storico. Quasi da “Carpe Diem”, cogliendo l’attimo. E il pallone dritto in porta, calciato da tutte le parti del globo.

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