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Thiago Schumacher gfxGOAL

Thiago Maier, lo Schumacher della Serie A: ci ha giocato solo per 11 minuti

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Dicono che la prima volta non si scordi mai. E se la prima volta è anche l'unica, senza l'onore di un bis e di poter riprovare daccapo le stesse emozioni? Thiago Maier dos Santos ogni tanto ci ripensa, combattuto in maniera piuttosto simmetrica tra l'orgoglio di aver esordito nella Serie A italiana e il rimpianto di averlo fatto soltanto in un'occasione. Per appena sei minuti totali. Undici, contando anche il recupero. E in una partita persa per 1-0, peraltro.

Accade tutto il 5 novembre del 2006. L'Udinese di Giovanni Galeone, che dodici mesi prima disputava i gironi di Champions League per la prima volta nella propria storia e se la vedeva col Barcellona, sta vivendo un avvio di campionato piuttosto altalenante. Ha vinto tre partite, ne ha perse due, ne ha pareggiate tre. Ed è attesa dalla trasferta di Livorno, contro un avversario che allo stesso modo fatica a trovare continuità.

È una squadra a trazione particolarmente offensiva, quella di Galeone: all'Ardenza si presenta con il tridente Barreto-Di Natale-Iaquinta. Per il resto, però, il reparto è piuttosto incompleto. Le seconde linee a disposizione dell'ex allenatore del Pescara sono dei giovani da far crescere e maturare: il ghanese Asamoah Gyan, Cristian Tiboni. E lui, Thiago Maier dos Santos. Che però nessuno conosce così, con il suo nome completo.

Vent'anni compiuti da qualche mese, è un centravanti brasiliano che ha scelto un modo insolito per entrare negli almanacchi: tutti lo conoscono come Thiago Schumacher. Gira voce che l'apelido sia direttamente collegato a Michael, il pilota della Ferrari, che proprio in quelle settimane si sta preparando a lasciare – in maniera solo parziale, in quanto vi rientrerà qualche anno più tardi – la Formula 1. Dicono che Thiago sia diventato Schumacher perché è sempre stato talmente veloce con e senza palla che, un giorno, qualcuno lo ha chiamato così e il soprannome gli è rimasto appiccicato. Ma in realtà l'origine è ben diversa.

“Dai cinque ai sette anni ho giocato come portiere in una squadra di futsal, il calcio a cinque – ha raccontato al portale paranaense D'Ponta – In quegli anni c'era un portiere tedesco, Harald Schumacher, si era messo in mostra ai Mondiali del 1982 e del 1986. Essendo peraltro biondino, mi è stato dato questo soprannome in suo onore”.

Chiaro, non è per questo che l'Italia lo ha scovato. Agli esordi in Brasile, Schumacher si è messo discretamente in mostra con la maglia dell'Atlético Paranaense, club che oggi ha aggiunto un'acca (Athlético) in mezzo al nome. Nel 2005 proprio lui ha deciso una sfida epica, vinta dal CAP per 5-4 sul Cruzeiro: al 93' ha stoppato di petto in area un pallone spiovuto dalla bandierina e lo ha scagliato senza pensarci troppo alle spalle del portiere avversario.

Sono anni in cui la stranierizzazione di massa della Serie A, divenuta oggi fuori controllo, è già iniziata. E nella rete è finito anche Schumacher. L'Ascoli di Marco Giampaolo e Massimo Silva, appena promosso in A assieme al Treviso grazie ai fallimenti di Torino e Perugia, lo ha prelevato in prestito. Una sorta di provino. Inizialmente per la Primavera, con l'intenzione – chissà – di gettarlo nella mischia in campionato. Non è andata bene, perché lo Schumi del calcio ha fatto rapido rientro a Curitiba senza toccare l'apice dell'esordio in prima squadra.

Poi è arrivata la seconda chance. L'Udinese, club all'avanguardia nella capacità di trasformare semisconosciuti di tutto il mondo in potenziali gioielli da rivendere, lo ha richiamato. Ancora una volta per inserirlo nelle giovanili, almeno inizialmente. Thiago ha riempito nuovamente le valigie e, dopo aver conosciuto le Marche, si è trasferito in Friuli. Di nuovo col sogno di entrare a far parte della cerchia di coloro che hanno esordito in Serie A.

Fino a Livorno, al 5 novembre 2006. L'Udinese è sotto di una rete e di un uomo: l'amaranto Bakayoko (Ibrahima, non Tiemoué) l'ha punita a un quarto d'ora dalla fine, pochi minuti dopo che Di Natale si è fatto cacciare per un fallo di reazione su Morrone. Al 39' della ripresa, Galeone si gioca la mossa della disperazione: fuori un terzino come Marco Motta, dentro tale Schumacher. E chi è?, si chiede qualcuno. È un attaccante in più. Inesperto finché si vuole, ma sai mai.

Non funziona. Il giovane brasiliano si schiera al centro del tridente, ma praticamente non tocca palla. E anche se l'arbitro Rocchi concede cinque minuti di recupero, la partita finisce così, con un 1-0 a favore del Livorno che fa parecchio male. Tanto che qualche ora dopo l'Udinese corre ai ripari ingaggiando... Massimiliano Allegri, da poco esonerato dal Grosseto, per affiancare il mentore Galeone. Solo che il Max non potrebbe allenare una seconda squadra durante la stagione, e per questo alla fine del 2007 verrà squalificato per tre mesi. Aneddoti.

Quanto a Schumacher, l'ebbrezza di scendere in campo in Serie A rimane un caso isolato. Nemmeno Allegri, nelle poche settimane di Udine, vede in lui qualità sfuggite ad altri. L'Udinese decide ben presto di non contare su di lui. E di inserirlo nell'ampio elenco delle meteore. Inizia un infinito valzer di prestiti: in Spagna, in Francia, addirittura in Austria. Qui vive discreti momenti con le maglie di Austria Kärnten e Austria Vienna. Ma l'Italia inizia ad apparire sempre più distante. Fino al momento in cui il legame si spezza del tutto: i viennesi lo acquistano a titolo definitivo nel 2011 e liberano l'Udinese di un peso.

“C'è parecchia differenza tra il calcio brasiliano e il calcio europeo – dirà – Quando me ne sono andato, qui la tattica non era così importante, diversamente da quanto accadeva in Europa. In Brasile il centravanti era semplicemente quello che doveva rimanere là davanti, fermo, aspettando solo che arrivasse il pallone per segnare. In Europa non era così: un attaccante doveva aprire gli spazi per i compagni, creare gioco”.

Dirà anche, Thiago, che è il suo è stato anche un problema di carattere. Specialmente in giovane età, ha sempre avuto la tendenza a uscire dalle righe, a controbattere per tutto, a non ascoltare i consigli. A non accettare le critiche degli allenatori.

“Avevo la testa di un ragazzino. Non è semplice quando sei giovane. Ho sempre avuto un temperamento forte, discutevo con gli allenatori pensando di aver sempre ragione. E così finivo per cambiare continuamente squadra”.

Dopo l'Udinese gira parecchio, in effetti. Tre anni in Ucraina, poi il ritorno in Brasile, un po' di Romania e Portogallo. Nel settembre del 2015, nemmeno un decennio dopo gli undici minuti di Livorno, fa la propria ricomparsa in Italia. Ma in Serie D, con la maglia del Castiadas, formazione della provincia di Cagliari. “Farà la differenza”, assicura il presidente. Ma in realtà il matrimonio dura il tempo di un lampo: a novembre Schumacher rifila un pugno al costato di un avversario in una partita di campionato contro la Flaminia, si becca tre turni di squalifica e i sardi lo congedano in fretta e furia.

Il presente si chiama Brasile, di nuovo. Prima all'Operário, il club in cui in assoluto si è trovato meglio e con cui è arrivato a toccare il centinaio di presenze, e poi nel Botafogo più piccolo, quello della Paraíba, in cui si è trasferito a giugno. Gli anni sono appena diventati 36, la “testa di un ragazzino” ha fatto spazio al cervello di un adulto, i sogni sono ormai riposti per sempre nel cassetto. Ma quel pomeriggio da meteora a Livorno, in mezzo a centinaia di prime e uniche volte in A, gli è rimasto scolpito nella mente.

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