Se volessimo andare ad annoverare in una rapida lista tutti i campioni del calcio elvetico riusciremmo in maniera piuttosto rapida a fare un appello quasi del tutto completo. D’altronde la Svizzera, che negli anni ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più grande nelle competizioni nazionali, non ha mai rappresentato una fucina di talenti del calcio. Quei pochi, però, li ricordiamo con piacere e in maniera anche abbastanza limpida, grazie ai successi ottenuti e all’aver cristallizzato il loro nome nella storia di una nazione che non ha mai fatto del gioco del calcio il proprio fiore all’occhiello.
Se Alexander Frei e Marco Streller hanno scritto le pagine di storia più gloriosa, se Johan Vonlanthen e Steven Zuber hanno rappresentato i due talenti più estrosi e dai quali ci si aspettava di più negli ultimi anni, Xherdan Shaqiri e Granit Xhaka guidano adesso la bandiera rossocrociata, un tempo il nome che faceva battere il cuore elvetico era uno solo: Stephane Chapuisat.
Figlio d’arte, con il padre Pierre-Albert che era conosciuto come Gabet, Stephane inizia la sua carriera professionistica nel Losanna, la squadra della sua città. Nel Canton Vaud, dove la lingua ufficiale è il francese, Chapuisat nasce nel 1969, in tempo per godersi un pezzo di storia del calcio a cavallo tra quello post-bellico e il moderno che vediamo oggi. Il nome dell’attaccante svizzero, d’altronde, si lega fortemente agli anni ‘90, ai quali arriva forte di un’esperienza raccolta nei suoi quattro anni al Losanna.
Gioca 104 partite con quello che a oggi in molti ritengono esser stato il primo club di calcio fondato nel continente europeo, segnando anche 36 reti. Con la volontà di provare a conquistare anche le terre al di là dei confini svizzeri, nel gennaio del 1991 si concretizza il passaggio in prestito al Bayer Uerdingen: la squadra di Kfredelf, adesso nota come KFC Uerdingen 05, all’epoca si fregiava di un nome diverso per il forte legame, in quanto sponsor principale, con la nota industria farmaceutica che anche sul Leverkusen ha messo le mani.
A volerlo in squadra quell’anno è Friedhelm Konietzska, un pezzo di storia del calcio tedesco: l’attaccante, infatti, fu l’autore della prima rete della storia della Bundesliga, nella prima edizione 1963/64. Profondo conoscitore del calcio svizzero, dopo aver seduto per tre anni sulla panchina del Grasshopper e due su quella dello Zurigo, Timo, così chiamato per la sua somiglianza con Semen Timosenko, è l’uomo che permette a Chapuisat di iniziare a misurarsi con un campionato diverso, che nel 1991 è oramai ben capace di essere uno dei primi cinque dell’Europa.
“Mio padre mi aveva trasmesso una grande passione per questo sport. Mi ha motivato molto, ma mi ha anche reso la carriera difficile: molti pensavano giocassi solo perché ero figlio di Gabet. Ci ho messo tanto a togliermi questa etichetta di dosso”. (Chapuisat a Tio.ch)
Resta a Uerdingen per appena cinque mesi, il tempo di collezionare dieci presenze e quattro goal all’età di ventidue anni. L’estate successiva, infatti, quel trampolino di lancio si trasforma in qualcosa di concreto e arriva la chiamata del Borussia Dortmund. Nel 1991 il palmares dei Schwarzgelben non pullula di trofei: le vittorie della Bundesliga sono appena tre, le Coppe di Germania sono due, la Supercoppa una sola. In ambito internazionale l’unica soddisfazione risale al ‘66, con la vittoria della Coppa delle Coppe. Chapuisat sa di non approdare in un club di prima fascia, ma con l’intenzione di mettersi in mostra in un campionato non suo inizia a trarre il meglio da quell’esperienza. Resta al Borussia per ben otto anni, segnando la storia del club tedesco e diventando in quegli anni un emblema di Dortmund.
Alla sua prima stagione segna 20 goal in campionato, due in meno del capocannoniere di quell’anno, Fritz Walter, e dà il via a quella tradizione svizzera in maglia giallonera che con Alexander Frei si ripeterà, con gioia del Dortmund, qualche anno dopo. Chapuisat inizia a far conoscere il suo mancino in tutto il territorio tedesco, formando con Karl Heinz Riedle una coppia devastante. Con la maglia del Borussia compie un incredibile double, vincendo il campionato tedesco nel 1995 e nel 1996, anno in cui, dopo il primo tentativo andato non benissimo, Chapuisat compie un’altra grande impresa, in direzione Champions League. Dopo aver dominato il girone insieme all’Atletico Madrid, perdendo solo una gara proprio contro i Colchoneros, il percorso dei gialloneri fu trionfale: Auxerre e Manchester United, rispettivamente ai Quarti e in Semifinale, dovettero alzare bandiera bianca, fino alla finale di Monaco, disputata il 28 maggio 1997.
Sotto la sapiente guida di Ottmar Hitzfeld, con dall’altro lato Marcello Lippi, i campioni uscenti della Juventus cadono sotto la doppietta di Riedle e il gol di Ricken, ai quali risponde, invano, Del Piero. Chapuisat resta in campo per 70 minuti, fino al momentaneo 2-1, per cedere poi il posto a Lars Ricken, ma quella vittoria, impreziosita anche dalla presenza di Paulo Sousa a centrocampo, arrivato proprio dai bianconeri, fa la storia del Borussia.
Dopo la prima Champions League della storia arriva anche la Coppa Intercontinentale, l’attuale Mondiale per Club, vinto contro il Cruzeiro in finale: in porta c’è Dida, ancora ben lontano dall’idea di passare al Milan, in attacco c’è Bebeto, mentre in panchina, per il Borussia, dopo che Hitzfeld ha accettato la chiamata del Bayern Monaco, c’è Nevio Scala. Oltre quella gioia, però, Chapuisat non riesce, insieme al tecnico italiano, a ripetere le imprese, anzi. Il Borussia arriva decimo in campionato, perde la Supercoppa UEFA contro il Barcellona e deve arrendersi in semifinale di Champions League contro il Real Madrid, che poi andrà a vincere la competizione. La sua esperienza con i gialloneri gli serve per tagliare l’incredibile traguardo delle 100 reti, un risultato che pochi giocatori stranieri sono riusciti a raggiungere negli anni.
“Il 1997 è stato il mio anno magico: il sapore della vittoria è un’emozione speciale in ogni ambito. Portare la Svizzera ai Mondiali del 1994 ha avuto un significato enorme, invece”.
Con la nazionale allenata da Roy Hodgson gioca il mondiale degli Stati Uniti nel 1994 e gli europei del 1996. La qualificazione alla competizione mondiale è un traguardo storico, che permette a Chapuisat di inserire un’altra tacca nella propria cintura da campione: la nazionale elvetica, infatti, aveva praticamente dimenticato come fosse l’emozione di disputare un campionato mondiale.
Nel 1999 la sua esperienza al Borussia Dortmund arriva alla conclusione, così da permettere a Chapuisat di tornare al Grasshopper. Il club di Zurigo lo accoglie per un ritorno poderoso, per permettere al più grande talento del calcio svizzero a quei tempi in circolazione di rientrare in patria e farsi notare nuovamente. L’anno successivo porta le cavallette a vincere il campionato numero 26, il penultimo della loro storia, ma che in ogni caso permette alla squadra più titolata di Svizzera di continuare a fissare il proprio record nazionale.
Dopo tre anni, nel 2002 passa allo Young Boys, dove in appena tre stagioni riesce a scendere in campo per un totale di 100 presenze e a siglare 53 reti. Infine nel 2005, con la carriera oramai avviata verso la conclusione e a ben 36 anni, è il cuore ad avere la meglio su Chapuisat: la chiusura del cerchio avviene con il ritorno al Losanna, in seconda divisione, per segnare 16 reti in 32 presenze. Al termine di quell’unico anno, di riconoscenza, si interrompe la carriera da professionista di Stephane, per quattro anni il miglior giocatore svizzero della stagione e nel 2003 celebrato come il più grande degli ultimi 50 anni in Svizzera.
In 20 anni di carriera, Stephane Chapuisat ha vinto tutto, ha scritto la storia del calcio svizzero e del Borussia Dortmund, segnando un totale di 283 gol in 676 partite. Qualche anno fa ha lavorato con lo Young Boys, a Berna, in qualità di capo scouting, selezionando i giovani talenti pronti per sfondare nel calcio svizzero: per un periodo ha anche lavorato come preparatore degli attaccanti, per insegnare loro i segreti del successo di un attaccante formidabile. Allenare, invece, non è mai stato nelle sue corde: la moglie Marianne e le figlie Cindy, Sophie ed Emily sono adesso i suoi più grandi successi.
