La stagione della Roma è già a titoli di coda, o quasi. È vero, i giallorossi sono ancora in corsa tanto in Conference League che in Coppa Italia (qui sarebbe stato difficile non esserlo, dato che per Abraham e compagni la competizione inizierà soltanto la prossima settimana) e conquistare un trofeo per la Roma, dopo più di 10 anni di astinenza, sarebbe comunque un traguardo importante
Detto questo, della stagione della Roma per ora si salva poco o nulla. Doppia sconfitta col Milan, doppia sconfitta con la Juve, ko pesante in casa contro l’Inter, derby perso e sei goal subiti in Norvegia contro il Bodo-Glimt: la splendida prestazione sfoderata a Bergamo contro l’Atalanta rappresenta fin qui l’unico lampo in un “big-match”.
L’arrivo di Josè Mourinho avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni della proprietà, dare personalità a una squadra che, nonostante non disponga di un organico all’altezza delle prime della classe, da anni dà l’impressione di avere un potenziale inespresso, pronto a venire fuori se accompagnato da un’adeguata tenuta mentale. Ma la mancanza di tenuta mentale, Tallone d’Achille atavico in casa Roma, sembra sempre più evidente.
È vero, gli alibi allo ‘Special One’ non mancano: rosa corta, qualche gara persa immeritatamente e qualche decisione arbitrale penalizzante hanno sicuramente impedito al tecnico portoghese di dare una sterzata alle ambizioni della squadra. Tuttavia, proprio da Josè Mourinho ci si aspettava quella scossa a livello psicologico che avrebbe aiutato i suoi giocatori a crescere partita dopo partita.
GettyE invece, la squadra giallorossa ricade sempre negli stessi errori. Cambiano i calciatori, cambiano le proprietà, cambiano - appunto - anche gli allenatori, ma la Roma no. Crolli psicologici che arrivano inesorabili non appena la situazione si complica (vedi disastro in Norvegia, ma non solo), cartellini rimediati ingenuamente a gare ormai compromesse (vedi Mancini in Milan-Roma, ma non solo), gambe tremolanti nei momenti decisivi (vedi Pellegrini dal dischetto contro la Juve, ma non solo).
La Juventus, che sul piano tattico e del gioco ha mostrato più lacune della Roma, ha dimostrato ancora una volta come la tenuta mentale sia fondamentale nello sport. E così, dopo aver subìto l’impeto della Roma, non appena ha visto la lupa in difficoltà, l’ha azzannata, trovando 3 goal in 7 minuti e compiendo una rimonta di istanbuliana memoria.
Con molta lucidità, Mourinho nel post-partita ha evidenziato i limiti della Roma, ammettendo di non essere ancora riuscito a metterci una pezza. “Voglio una squadra che si innalzi ai miei livelli, non il contrario”, ha detto. Ma in effetti, almeno per ora, sembra proprio che sia stata la Roma a contagiare Mourinho e non il contrario. Sono passati quasi cinque mesi dalla prima gara ufficiale del tecnico lusitano alla guida della Roma e pregi e difetti sembrano rimanere identici.
Per un Abraham sempre più convincente c’è un Ibanez a tratti impresentabile, per un Rui Patricio che rappresenta un upgrade enorme rispetto alle ultime tre stagioni ci sono troppi desaparecidos (da Shomurodov a Diawara, passando per Villar e Kumbulla), ma più in generale tutti i componenti della rosa, sia come singoli calciatori che come squadra, sembrano viaggiare a corrente alternata.
E così, Smalling contro la Juve sembra un muro per 70 minuti, e poi combina la frittata, Abraham a Venezia gioca forse la sua miglior partita ma si divora un goal pesantissimo, Zaniolo sembra essere tornato quello ammirato prima dei terribili infortuni ma non riesce a trovare continuità in zona goal, Pellegrini pennella una punizione capolavoro e poi fallisce banalmente il rigore del 4-4. E quello che succede ai quattro giocatori probabilmente più forti dell’organico, che difettano in continuità, vale per tutti. Con qualche eccezione, nel bene (leggasi Rui Patricio) e nel male (leggasi Mancini).
Mourinho, almeno per ora, sembra intenzionato a proseguire sulla panchina della Roma per portare avanti il progetto triennale del quale ha sempre parlato. La proprietà a metterlo in discussione non ci pensa nemmeno. I tifosi si dividono, ma anche i più critici nei confronti del tecnico non possono non accorgersi delle evidenti lacune di rosa e giocatori, a livello tecnico e soprattutto - come detto - mentale. “Ma Mourinho è stato chiamato proprio per crescere sotto quell’aspetto!”, ripetono in tanti. E probabilmente hanno ragione. Ma è difficile dare le colpe a Josè quando i suoi commettono errori individuali inspiegabili. E dunque si andrà avanti così, con Mourinho che proverà a lavorare ancora sulla testa dei suoi e nel frattempo continuerà a chiedere alla proprietà quei rinforzi dei quali ha innegabilmente bisogno.




