È difficile, per non dire impossibile, parlare di Gianluigi Buffon senza scadere nel mare di banalità. Tutti noi abbiamo vissuto le gesta di un fuoriclasse che ha saputo ammaliare (quasi) tre generazioni, ma in pochi hanno avuto il privilegio di conoscere il vero Gigi: quello privato, lontano dai riflettori, leader, padre.
Resta quindi il percorso di colui che, a detta di molti, rappresenta il miglior portiere della storia. Ecco, questo è un tema controverso, in quanto ritengo sia sempre errato confrontare calciatori di epoche differenti. Di certo, e lo dicono le parate, SuperGigi ha ideato uno stile inarrivabile tra i pali.
Nessun punto debole, neanche quella fandonia legata ai rigori (basterebbe leggere le statistiche). Un autentico predestinato pagato 75 miliardi (più la cessione di Jonathan Bachini valutato 30 miliardi) nell’estate del 2001.
Dal Parma alla Juventus, io c’ero, e ho vissuto i primissimi momenti di Gigi all’ombra della Mole. Un’estate caldissima, quella, per la Triade. E non mi riferisco al clima, bensì alle manovre di mercato. Via Zinedine Zidane – tra il malcontento generale – venduto al Real Madrid. Dentro Pavel Nedved dalla Lazio, Lilian Thuram dal Parma e, sempre dai gialloblù, il rampante SuperGigi.
Un’autentica rivoluzione. Ecco allora le visite mediche pre-campionato, che in quegli anni per i tesserati della Juve si svolgevano presso l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino. Altri usi e costumi, con la concreta opportunità di strappare un contatto diretto con i propri beniamini.
Fan muniti d macchina fotografica e taccuino per gli autografi, niente sicurezza, filtri-filtraggi inesistenti. Ecco quindi che, nel luglio del 2001, SuperGigi si ritrova nel capoluogo piemontese: un arrivo un po’ trafelato, con una fiammante Porsche gialla, alla ricerca della giusta porta all’interno di un impianto dispersivo.
Musica per le orecchie dei tifosi accorsi al fu Comunale, premiati – nonostante i tempi stretti – da colui che poi in bianconero sarebbe diventato a tutti gli effetti una leggenda. Morale della favola? Supporter rientrati a casa con la sigla “GB”. Nessuno escluso.
Buffon è sempre stato così, disponibile con l’intero mondo, pure nei momenti più caotici. Ed è per questo motivo che, nell’arco di un’inimitabile carriera, ha saputo conquistare la stima anche degli acerrimi nemici.
Genuinità al potere, la stessa con cui – da campione del mondo in carica – Gigi ha deciso di seguire la Juventus in Serie B. Un pensiero folle, considerando lo status, divenuto realtà per pura riconoscenza nei confronti della piazza. Una mossa costata, probabilmente, il Pallone d’Oro finito nelle mani di Fabio Cannavaro.
Poi, certo, i rimpianti non mancano. Vedi la Champions League, mai arrivata. Ma le presenze in bianconero – 685 – non hanno bisogno di spiegazioni. Un fenomeno di longevità, che la Juve l’ha vissuta in due segmenti, togliendosi la soddisfazione di vivere una fugace ma intensa parentesi transalpina. Dopodiché, l’inizio e la fine, nel segno del Parma. Che SuperGigi avrebbe voluto riportare nell’élite nostrana, ma non è andata. Appunto, i rimpianti.
Spontaneo, originale, sincero. Di Buffon regnerà per sempre sovrano il Mito. Di generazione in generazione, di prodezza in prodezza, all’insegna semplicemente dell’unicità.


