GOALL’Etna da Giarre è assai diversa da quella che si vede in cartolina: di fianco, distesa o, più semplicemente, poggiata. Imponente: verrebbe quasi da dire “con le spalle larghe” lì, mirando il sole che tramonta mentre il pomeriggio rinfresca l’atmosfera ben scandita dai lampioni di Piazza del Duomo. Ha un suo perché, fidatevi.
Alla fine degli anni Ottanta non era poi così raro vederlo lì, in incognito, ma pur sempre con la sua schiettezza: arrivava, guardava la partita allo Stadio Regionale e ripartiva. Così, sempre: arrivava, guardava la partita e ripartiva. E ancora. Muovendosi da Genova esclusivamente per raggiungere la Sicilia e seguire il Giarre: non l’ha mai confessato pubblicamente, ma non l’ha mai negato. Se c’è un aspetto del carattere di Paolo Mantovani che viene ricordato tra tutti, quello è senza alcun dubbio la lealtà. Leale lo è stato fino alla fine.
Per la Sampdoria la vigilia del Novanta è stata, com’è noto, il preludio a una stagione di vittorie storiche e indimenticabili. Da presidente blucerchiato Mantovani ha conquistato, innanzitutto, le tre Coppe Italia, due delle quali consecutive e rispettivamente nel 1985, nel 1988 e nel 1989, che porteranno la Samp a iniziare il nuovo decennio, l’ultimo del millennio, segnato dalla vittoria dello Scudetto.
Il Giarre, invece, era una delle tante favole che il calcio, il nostro, ci ha restituito. In cinque anni, dal 1983 al 1988, è riuscito a scalare, senza sosta, i gradini calcistici italiani, passando dai campi di Prima Categoria alla Serie C1. Il cambio al vertice avvenuto nell’estate del 1989, però, testimonia un periodo di grandi cambiamenti e incertezze per il club gialloblù. In primavera si parla di crisi: qualcuno accenna addirittura a un possibile fallimento.
A Paolo Mantovani questa situazione non lascia per nulla indifferente. In un clima totalmente diverso, e in ben altri contesti, luoghi, categorie, il tema all’ordine del giorno è quello della creazione di una nuova competizione nazionale da affiancare alla Serie A e alla Coppa Italia, su modello del Charity Shield, l’attuale Community Shield. Insomma: un trofeo messo in palio in una gara tra i vincitori dello Scudetto e quelli della Coppa Italia.
Se ne discute, per la prima volta, nel 1988. Immaginate adesso una cena tra amici, tutti giornalisti, e a un certo punto uno di loro, precisamente al momento del dolce, propone un’idea al presidente della squadra seguita quotidianamente per lavoro: “Perché non sfidare i Campioni d’Italia?”.
Il fatto che qualche settimana più tardi la proposta sia passata al vaglio del presidente della Lega Nazionale Professionisti, Luciano Nizzola, rende chiaro il concetto di un'idea destinata a fare la storia: ad averla fu Enzo D’Orsi, allora firma del Corriere dello Sport, che insieme agli altri giornalisti presenti convinsero Mantovani a discuterne con più serietà e concretezza.
L’avversario? Il Milan di Arrigo Sacchi, Campione d’Italia 1987/88: non una squadra qualunque, quella. Giovanni Galli in porta, Tassotti, Filippo Galli, Baresi e Maldini in difesa. Donadoni, Colombo, Ancelotti ed Evani in mediana: Gullit e Van Basten (quando non tormentato dai primi problemi alla caviglia) in attacco. Non sarà, comunque, la squadra che avrebbe affrontato la Samp.
Nizzola è d’accordo: nasce la Supercoppa Italiana. Prima edizione? Un anno più tardi, vista la concomitanza con i Giochi di Seul: si gioca a San Siro (scelto perché a Milano, sede della Lega Calcio), il 14 giugno 1989.
Alla formazione di Sacchi si aggiunge anche Frank Rijkaard, che aiuta i rossoneri a vincere la prima Coppa dei Campioni dell’era Berlusconi, a Barcellona contro la Steaua Bucarest. Nella Sampdoria, che dopo due anni si sarebbe laureata Campione d’Italia, c’erano praticamente tutti gli eroi dello Scudetto: Pagliuca in porta, Vierchowood in difesa e Gianluca Vialli in attacco (anche Roberto Mancini, che però non scenderà in campo a San Siro).
La “Scala del calcio” non è pienissima: ventimila spettatori, inconsapevoli (forse) di essere lì, presenti, ad assistere a un pezzo di storia calcistica d’Italia. Passa in vantaggio la Sampdoria con Vialli, risponde Rijkaard pochi minuti dopo: nella ripresa le reti di Mannari e Van Basten consegnano il trofeo al Milan.
Avendola rinviata, la seconda edizione della Supercoppa verrà disputata nello stesso anno, ma il 29 novembre: anche in questo caso in finale c’è la Sampdoria, ma contro l’Inter di Giovanni Trapattoni, Campione d’Italia 1988/89. Finisce 2-0 per i nerazzurri davanti a settemila spettatori: reti di Cucchi e Serena. Paolo Mantovani avrà comunque modo di alzare al cielo la coppa nell’agosto del 1991, quando i blucerchiati batteranno la Roma al Ferraris grazie al goal di Roberto Mancini. Il resto, ovviamente, è storia.
In uno dei suoi tanti viaggi in Sicilia, Mantovani deve essere venuto a conoscenza della difficile situazione del Giarre, proprio mentre Nizzola stava maturando l’idea di dar concretezza alle idee di quel gruppo di giornalisti che durante una cena volevano cambiare il calcio italiano.
“Domandai a Nizzola dove sarebbero finti i soldi dell'incasso e dei diritti tv di quella partita, ma rispose Paolo Mantovani: ‘I soldi andranno al Giarre’”, racconta, pochi anni prima della sua scomparsa, Franco Rossi, uno dei giornalisti presenti allo storico incontro, in un editoriale.
“A chi? ‘Ho letto sui giornali che c'è una società siciliana, il Giarre in serie C, che rischia il fallimento. Aiutiamola’”. Berlusconi è d’accordo con Mantovani. L’incasso va al club gialloblù.
La squadra siciliana passerà, proprio nell’estate del 1989, dalla proprietà Guglielmino a quella Musumeci, che la porterà alle soglie della Serie B con Gian Piero Ventura: nulla, comunque, poté evitare il fallimento del 1994.
Oggi il Giarre è, ovviamente, una società diversa rispetto a quella seguita da Mantovani: milita in Serie D e ironicamente ha vinto l’ultima edizione della Supercoppa siciliana di Eccellenza. Scherzo o segno del destino, questo: uno dei motivi che spinse l’ex presidente della Sampdoria ad aderire all’iniziativa dei giornalisti al seguito della formazione blucerchiata creando la Supercoppa Italiana, salvando il futuro a una squadra a più di mille chilometri di distanza, protetta dall’Etna, distesa, dai raggi del sole al tramonto.
