Dejan arriva con una felpa di colore oro. ‘Sti 2000, penso. E’ tutta una trappata. Sembra vestito come Sfera Ebbasta, anche se poi tiene la testa giù, si guarda le scarpe da divo e sembra spaventato. L’abbigliamento dice trash talking, la faccia dice cerbiatto. L’abbiamo aspettato in 8 dentro il museo del Parma.
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Lui è solo, con l’ufficio stampa che lo accompagna. Noi siamo tutti adulti. Lui ha 19 anni e noi lo fissiamo come si fissa una preda: parlaci di te, confessaci chi sei, facci vedere i neuroni. Gli chiedo come sta. Bene, dice. Lo microfoniamo, lo proviamo a mettere a suo agio e lui parla poco. È fisicamente enorme: un armadio. È lo scheletro ad essere grosso - un nuovo stato evolutivo - l’essere umano che si sta ampliando.
Gli faccio vedere un video sul telefono. Subito, così, di prima intenzione. Lui lo guarda e si vergogna da morire, ma poi ride. È il video di una sua presentazione scolastica del 2014. In pratica l’altro ieri, per me. Per lui, invece, una vita fa: in questi 5 anni Dejan è diventato Kulusevski, uno delle migliori promesse del calcio mondiale.
Ci sediamo.
PiediXTerra, nuovo format DAZN, funziona così: prendiamo un ragazzino che in Serie A si comporta da adulto e lo piazziamo per terra, per riportarlo a fare il ragazzino. Poi ci facciamo una chiacchiera, seduti per terra anche noi. Mi sembra che funzioni, almeno per ora. “Sai cosa vuol dire tenere i piedi per terra?” gli chiedo.
“Si”
“E te lo dicono molto ultimamente?”
“Si”
“Ti dà fastidio?”
E qui il monosillabico Dejan Kulusevski si apre. Stare seduti per terra, faccia a faccia, inizia a funzionare dalla terza domanda in poi. Lui elimina chiunque ci stia intorno (cameraman, ufficio stampa, addetti vari) e inizia a chiacchierare con me. Partiamo per un viaggio. Solo i miei occhi e i suoi - sticazzi di tutto il resto.
Torniamo in Svezia, “Ho capito che Stoccolma è bellissima quando me ne sono andato”, “Greta Thunberg, mia coetanea e concittadina, ha ragione”; parliamo della sua famiglia, “Mio padre è la persona più umile del mondo”, “Mia sorella è incazzata con me perché posto solo cose di calcio”, “Mia mamma vuole che io sia felice”; e ovviamente parliamo di calcio. “Guardo tutto”.
Assembla cose. Come fa con centrocampo e attacco. Come fa con fisico e tecnica. Mette insieme una sbalorditiva educazione scandinava, da ragazzo cresciuto in Svezia, e una tangibile personalità balcanica, figlia di due genitori macedoni. Ti parla dritto, Dejan. A volte scorda anche l’umiltà. “Di testa non devo crescere: è la testa che mi ha portato qui, non il talento”. Frasi brevi e incisive, come Ibra, come Zeman. Ad effetto. Come il tiro a giro sul secondo palo contro il Bologna: “Quando la colpisci così, non ti serve neanche guardare se entra. Vai dritto ad esultare”.
Va dritto, vero.
“Dopo qualche mese in Italia volevo mollare. A volte piangevo. Ma mai al telefono con i miei. Solo dopo aver messo giù”.
Zero ripensamenti. Solo obiettivi. A proposito, gli faccio scrivere il suo, di obiettivo stagionale, sul mio telefono. Gli ho promesso di non dirvelo. Ma se lo realizza, ho il suo ok. Allora ci aggiorniamo.
Perché, francamente, mi dà l’idea di uno che, quello che vuole, se lo prende.


