Il 12 febbraio del 2018, nel campionato di Promozione veneta, si è assistito all'ennesimo caso di razzismo nel calcio. Yves Roland Gnago, attaccante dei trevigiani del Portomansué, ha segnato una doppietta decisiva al Treviso e si è beccato gli insulti di alcuni tifosi avversari. Gnago, per la cronaca, la maglia biancoceleste l'aveva pure vestita.
È un episodio che, seppur molto alla lontana, ha riportato alla mente uno dei più celebri casi di razzismo che il pallone italiano ricordi. O forse il più celebre, assieme magari a quello che coinvolse il messinese Zoro nel 2005. Quattro anni prima, i riflettori dell'indignazione si spostavano sul veneto. Sempre su Treviso. Il triste e involontario protagonista: Akeem Omolade. Da poco meno di un anno non c'è più: nel giugno del 2022 è stato trovato morto all'interno dell'auto di un amico, nel mercato di Ballarò, a Palermo. Non aveva che 39 anni. E un passato che nessuno ha più dimenticato.
Il 27 maggio del 2001, Omolade è un giocatore della Primavera del Treviso. Il club gioca in Serie B, perché quelli sono ancora anni di gloria, nonostante una retrocessione in terza serie alle porte. Akeem non ha che 18 anni e sogna di sfondare nel nostro calcio. Magari in A. Il Treviso lo ha portato in Italia un anno prima dalla Nigeria, con il compito di svezzarlo e farne un potenziale giocatore d'alto livello.
Quella domenica pomeriggio, Akeem compie il primo passo della scalata: l'esordio in B. Al Liberati di Terni, il Treviso sta perdendo per 2-1 contro la Ternana. È una sconfitta che, pur senza la conferma della matematica, sta sostanzialmente decretando la caduta in C dei veneti con un paio di giornate d'anticipo. E così l'allenatore, Mauro Sandreani, decide di regalare qualche minuto al giovanissimo nigeriano. Al 67' esce Nicolella ed entra lui. Omolade non può sospettarlo, non può sospettarlo Sandreani, non può sospettarlo nessuno, ma è un momento destinato a entrare nella storia del calcio italiano.
Al momento del suo ingresso in campo, mentre va a sistemarsi in attacco sperando che qualche pallone gestibile possa capitare dalle sue parti, accade il fattaccio: i sostenitori del Treviso presenti in Umbria – quelli che teoricamente dovrebbero essere i suoi tifosi – lo accolgono con fischi e ululati razzisti dopo aver già fatto lo stesso al momento dell'ingresso in campo del ternano Adeshina. Di più: per protesta lasciano lo stadio. Via le bandiere, via gli striscioni. Non sono che una trentina, un gruppetto sparuto, ma fanno terribilmente rumore. “Il nero non lo vogliamo”, urlano. Nemmeno assistono al 3-1 finale segnato proprio da Adeshina.
Prossima partita
L'episodio finisce sulle prime pagine nazionali. Anche perché a Treviso, città governata dallo “sceriffo” Giancarlo Gentilini, sindaco leghista, non si tratta di una prima volta. I buuu razzisti degli ultras, o perlomeno di una loro fetta, hanno già colpito un altro calciatore di colore come Pelado, di origine non africana ma brasiliana, praticamente costretto ad andarsene. Tanto che il capitano, Diego Bortoluzzi, è arrivato a minacciare il ritiro dal campo della squadra. Però questa volta è tutto più amplificato. Quello del Liberati è un gesto troppo plateale per poter essere messo da parte dopo qualche ora.
Nelle ore e nei giorni successivi, l'argomento Omolade rimbalza su televisioni, radio e quotidiani. La condanna a quanto accaduto è unanime, o quasi. Gentilini prova a minimizzare, spostando l'attenzione sul malcontento per l'ormai imminente retrocessione, pur affermando di “volere dieci Davids” in squadra. Il presidente del Treviso, Renzo Barcé, definisce gli ultras di Terni “gente pericolosa che ho condannato più volte”. L'amministratore delegato Giovanni Gardini annuncia che il club acquisterà ancora calciatori di colore, ma “fatta questa precisazione – dice un paio di giorni dopo alla 'Gazzetta dello Sport' – siamo disponibili solo a occuparci di calcio. È inutile, anzi dannoso, che la società si esprima ancora su questioni simili, dato che non ha gli strumenti, nemmeno sul piano giuridico, per affrontarla. Non abbiamo altro da aggiungere. E, se permettete, io torno a occuparmi di una squadra che ripartirà dalla C1”.
Omolade, lui, ha il cuore e l'anima a pezzi. Sul pullman che riporta la squadra a Treviso si lascia andare a un pianto incontrollato. I compagni provano a consolarlo, ma si rendono conto che la questione non si può risolvere completamente. Non subito, almeno. L'idea del gruppo di Sandreani di fare qualcosa di concreto non nasce lì, non nasce immediatamente. Inizia in maniera graduale a farsi strada nella testa dei calciatori, magari con una maglietta che ribadisca ancora una volta il no al razzismo. Ma è la domenica successiva, una domenica destinata a entrare nella storia, che il gesto trova compimento.
Il 3 giugno, il Treviso ospita il Genoa. In caso di mancata vittoria la retrocessione, che già è un concreto fantasma, diventerà aritmeticamente realtà con 90 minuti d'anticipo. Ma la squadra ha altro per la testa. Durante il riscaldamento il centravanti Roberto Murgita, vincitore pochi anni prima della Coppa Italia col Vicenza, ha l'idea definitiva: ragazzi, dipingiamoci tutti la faccia di nero. Il resto del gruppo ci sta. E si mette all'opera, all'insaputa della dirigenza. Trova dei pennarelli, brucia dei tappi di sughero per trasformarli in una sorta di carboncino. Ed entra in campo così, tra lo stupore del pubblico del Tenni e di chi la partita la guarda da casa. Undici ragazzi di colore decisi a stare accanto a un ragazzo di colore.
“Immagini da imprimere nella memoria – dice Alessandro Forti della Rai nel proprio servizio per 90° Minuto – un grande esempio per tutti quelli che cogliono combattere la piaga del razzismo nei nostri stadi”.
“C'era in quel periodo a Treviso un certo clima non proprio positivo, anche per ragioni politiche – è il ricordo alla 'Tribuna di Treviso' dell'ex difensore William Pianu, che faceva parte di quella rosa - prima di quell'episodio a Terni ce n'era stato un altro a Reggio Emilia col Piacenza. Allora Roberto pensò a quella cosa e noi subito aderimmo”.
Omolade non c'è. O meglio, c'è ma parte in panchina. La partita, considerando anche che il Genoa si è assestato in una più che deludente posizione di metà classifica, ha poco da raccontare. Il Grifone chiude il primo tempo avanti di una rete grazie a Mino Francioso. Nella ripresa ecco l'1-1, di testa, dell'ex parmense Lorenzo Minotti. E al 20' ecco il cambio, lo stesso di Terni: fuori Nicolella, dentro Omolade. Stavolta nessuno lascia lo stadio. Anzi, dalle tribune arrivano soltanto applausi.
La favola è completa a quattro minuti dalla fine: Pasquale Foggia prende palla nella zona di destra, se la porta sul sinistro e la scodella al centro, dove Omolade, di testa, vola a spizzarla alle spalle del portiere genoano Lorieri. Non serve a nulla in chiave classifica, ma tutti esultano come se fosse una finale di Champions League. Il giovane Akeem e i suoi compagni, stretti in un abbraccio collettivo. Poco importa che Carparelli infligga loro una piccola delusione, trovando il pareggio e il definitivo 2-2 a recupero inoltrato: la risposta del Treviso è destinata a fare il giro del mondo.
“Sapevamo che una nostra protesta, proprio nel giorno della retrocessione, si sarebbe prestata a chissà quali ironie – dice Minotti, come riporta 'Repubblica' il giorno dopo – Però non ce la sentivamo di far passare sotto silenzio un atto così grave. Si sente in giro che i giocatori sono superficiali e senza valori, forse perché hanno la fortuna di avere ottimi stipendi. Però anche noi abbiamo una coscienza. Mentre in questo senso ho dei dubbi su chi si è messo a ridere quando ci ha visto entrare in campo con la faccia nera. Significa che non ha capito niente ed è responsabile tanto quanto chi era l'altra domenica a Terni. Perché girarsi dall'altra parte e fare finta di niente vuol dire essere come i razzisti che fanno il verso della scimmia ai giocatori di colore. E, credetemi, anche nell'amarezza della retrocessione, è stata una grande gioia alla fine negli spogliatoi sentirsi dire grazie da un ragazzo di 18 anni".
I giorni e le settimane successive sono particolarmente intensi. Il romanista 'Pluto' Aldair applaude: “Sono stati davvero bravi, hanno fatto un bel gesto, hanno dato un segnale, dovrebbe succedere in tutti gli stadi dove ci sono episodi di intolleranza”. Il presidente del CONI, Gianni Petrucci, spera: “Mi auguro che certe iniziative abbiano a ripetersi”. Il sindaco Gentilini, invece, è ironico e se la prende con i giocatori: “Hanno scelto il colore giusto per la retrocessione in C: il nero della vergogna”. Aggiungendo che il razzismo a Treviso “è una fandonia della sinistra”.
Qualche mese più tardi, a novembre, Omolade riceverà il Premio Fair Play dall'UEFA. Da giocatore del Torino, che all'indomani della retrocessione lo preleva dal Treviso. Inizialmente per farlo maturare nella Primavera, quindi anche in prima squadra, con tanto di esordio in Serie A in un Torino-Inter 0-2 del febbraio 2003. La carriera di Akeem, in realtà, non raggiungerà più il picco di quel pomeriggio contro il Genoa: un tentativo alla Reggiana in Serie C, quindi la discesa nelle categorie inferiori del pallone italiano, tra Puglia, Calabria e Sicilia.
Ma la piaga del razzismo è sempre dietro l'angolo. Omolade, nonostante il segnale forte dato solo pochi anni prima, è ancora oggetto di epiteti per il colore della propria pelle. Una volta, nel 2008, gioca col Gela a Celano e perde le staffe dopo l'ennesimo insulto razzista di un avversario: ne nasce una rissa furibonda che porta a quattro giornate di squalifica per l'ex trevigiano.
“Negro di merda, negro di merda sempre negro di merda. Non cambiano nemmeno il modo di dirmelo, è sempre lo stesso, da otto anni – si sfoga Omolade in un'intervista a 'Repubblica' – Potrebbero usarne quante ne vogliono di offese, ce ne sono un'infinità, e per la strada le ho imparate tutte quante. E invece loro no, loro in campo ne usano una sola, sempre la stessa [...] Non gliene frega niente a nessuno, è successa una cosa schifosa domenica e mi hanno squalificato. Hanno punito solo me. Gli altri no. Non dico che non fosse giusto, per carità: io ho sbagliato a reagire, anche il presidente me l'ha spiegato, però quelli hanno sbagliato di più. E non gli hanno fatto niente […] Non è normale che l'arbitro non abbia detto nulla. Non abbia scritto nulla. Non si sia accorto di nulla. Non si era detto che le partite andavano sospese quando dagli spalti c'erano manifestazioni di razzismo? E perché lui non l'ha fatto? Cosa mi gridavano contro quelli del pubblico l'hanno sentito chiaramente tutti. Ma non risulta da nessuna parte e così finisce che io faccio la figura del pazzo violento”.
Nel giugno del 2022, quando Omolade viene trovato morto a Palermo, tutto torna prepotentemente alla mente. Lo scandalo di Terni, la risposta dei compagni di squadra, gli attestati di solidarietà del mondo del calcio. Il problema vero, però, è che alla fine tutto pare ridursi alle parole amare di Pianu:
“Se continuiamo a parlare di razzismo, a distanza di così tanto tempo, significa che il nostro messaggio non è servito a niente”.