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EintrachtGetty/GOAL

“Nel cuore dell’Europa”… League: il trionfo dell’Eintracht Francoforte e dell’appartenenza

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Il titolo dell’inno dell’Eintracht Francoforte è “Im Herzen von Europa”. Traduzione letterale: “Nel cuore dell’Europa”. È dovuto ad una mera questione geografica, ma anche economica e geopolitica. Non c’è certamente bisogno di dettagliare. Per una notte, però, nel centro finanziario più importante della Germania si prende la scena il pallone: è il calcio a mettere la città del Meno al centro dell’Europa (League). Per merito di un club che se vogliamo anche un po’ paradossalmente non ha alle spalle grandi investitori o finanziatori, ma è sorretto solo da 100mila soci e dalla regola d’oro del 50+1.

Era da 25 anni che una squadra tedesca non vinceva l’Europa League, dallo Schalke 04 nel 1997, contro l’Inter. Poi sono arrivate le Adler (‘aquile’), che hanno chiuso la stagione all’11° posto in Bundesliga, ma sono imbattute in Europa. Dove hanno affrontato Fenerbahce, Olympiakos, Betis, Barça, West Ham, Rangers. Hanno vinto ogni partita in trasferta. Non hanno mai perso, nemmeno una volta. Si sono guadagnate il rispetto di tutta la Germania: prima del match anche Joshua Kimmich ha fatto gli auguri al club. E Thomas Müller li ha celebrati dopo la vittoria. Per esempio. Saranno l’ottava squadra tedesca in Champions League.

Quando capitan SebastianRode è salito sul palco e ha ricevuto la coppa, probabilmente la sua testa ha fatto un viaggio indietro nel tempo fino a un decennio fa, quando era un giovane talento in rampa di lancio e giocava in 2. Bundesliga con l’Eintracht. Poi ha pensato al trasferimento al Bayern Monaco, al Borussia Dortmund, agli infortuni e poi al ritorno a casa sua. Una carriera di infortuni, di occasioni mancate. Roba che un tacchetto in testa al 6’ di una finale in confronto è una carezza.

Percorsi. Quello delle Adler, ‘le aquile’, è iniziato proprio da quella retrocessione, che ha permesso la ricostruzione, perfezionata nel corso degli anni e accelerata nel 2016 con l’arrivo di NikoKovac, che ha dato una dimensione di vertice nazionale ad una squadra che dopo due mesi dal suo insediamento ha dovuto salvare al playout. Nei successivi due anni è arrivato in finale di DFB-Pokal. Una persa, una vinta. Contro il Bayern. Mica male. Poi l’Europa League del 2019, la semifinale col Chelsea. Vendicata al Pizjuán.

La costanza storicamente non è mai stata il punto forte sulle rive del Meno. Oscillazioni che potremmo definire borsistiche, prendendo in prestito termini finanziari. Oppure, prendendo in prestito un soprannome dell’Eintracht, da “Lunische Diva”, “Diva lunatica”. Avete presente la strepitosa coreografia con una donna in preghiera srotolata prima del fischio d’inizio? Ecco, ora avete colto il riferimento. 

Anni buoni, anni meno buoni, ma sempre riuscendo a trovare una dignità, una quadra. Una squadra. Che si è tolta anche qualche discreta soddisfazione, pur senza mai centrare l’obiettivo Champions League. Tra protagonisti girevoli, allenatori mai troppo longevi, bomber con le valigie in mano — a proposito: Francoforte è il paradiso degli attaccanti. Haller, Jovic, André Silva e ora SantosBorré, ultimo di una lunga serie di acquisti mirati e indovinati. Tutti i successori del grande Alex Meier, capocannoniere della Bundesliga nel 2015 e icona dell’Eintracht, non hanno deluso le aspettative.

Quest’anno vale di più. La scorsa estate è andata in atto una vera e propria rivoluzione dirigenziale. È cambiato tutto l’organigramma. Tranne l’amatissimo presidente PeterFischer, prima tifoso e poi funzionario del club. È cambiato anche l’allenatore. Oltre che l’organico. Tra agosto a settembre la squadra ha vinto solo in Europa League. All’esordio stagionale è stata eliminata dalla DFB-Pokal dal Waldhof Mannheim. Terza serie.

Oliver Glasner però sa cosa vuol dire superare le difficoltà. Ha smesso di giocare per un’emorragia cerebrale. Rangnick lo ha iniziato al ruolo di tecnico. A inizio stagione era già stato messo in discussione da una parte della tifoseria e degli addetti ai lavori. Poi ha espugnato l’Allianz Arena, battuto il Bayern, mettendo qualche puntino sulle ‘i’. La squadra lo seguiva già dall’inizio. Poi sono arrivati anche i risultati. Serviva solo un po’ di pazienza. Ci ha messo poco a far cambiare idea a tutti. È diventato il secondo allenatore austriaco a vincere in Europa dopo il mitico Ernst Happel. Con tanti saluti al Wolfsburg, lasciato dopo un 4° posto per frizioni con la dirigenza. Ha scelto di unirsi a chi aveva battuto nella corsa alla Champions League. Visto che ci giocherà l’anno prossimo, ha avuto ragione lui.

Gli ha dato una mano il suo numero uno KevinTrapp, scaricato dal PSG dopo lo storico 6-1 subito dal Barcellona nel 2017. È tornato da dove era partito, ha ritrovato i suoi livelli abituali. E vincendo il quarto di finale di quest’anno al Camp Nou ha cancellato quel ricordo. Con oltre 30mila tifosi alle spalle. Anche a Siviglia è stato nominato Man of the match: poche parate, ma enormemente significative, che hanno mandato in delirio la marea bianca.

Il tifo caldissimo è stato il biglietto da visita dell’Eintracht in Europa, sia gli scorsi anni che in questa stagione, pur se nel 2021 c’erano ancora importanti restrizioni numeriche. Nel giorno del ritorno al tutto esaurito, nel match interno contro il Barcellona, lo stadio si è sentito in dovere di vestirsi di nero a lutto per ricordare JürgenGrabowski, leggendario giocatore degli anni ’70 ed ex capitano, scomparso un mese prima. È Il dogma implicito del calcio tedesco, che a Francoforte trova una delle più fedeli incarnazioni: il senso d’appartenenza al primo posto. Sempre. 

Eintracht Frankfurt Fans Feier Europa LeagueGetty Images

È cò che porta Lenz, al primo anno a Francoforte, a zittire i tifosi dei Rangers dopo il primo rigore. È ciò che porta un portoghese come Paciência a sentirsi al 100% Frankfurter.

È ciò che viene chiesto a ogni membro del club, dai dirigenti all’allenatore, fino ai giocatori. Avevate mai visto dei calciatori consegnare la coppa ai tifosi in curva per coccolarla, baciarla, stringerla? È successo a Siviglia. Nel giorno dell’anniversario della finale di Coppa dei Campioni giocata e persa contro il Real Madrid 62 anni fa, ultima e unica partecipazione in Champions. 42 anni dopo il successo nel derby tedesco contro il Gladbach. L’Eintracht Frankfurt è tornato calcisticamente “im Herzen von Europa”. Stavolta per restarci. Non solo geograficamente.

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