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Mo Johnston RangersGetty

Mo Johnston, il bomber odiato sia dai tifosi del Celtic che da quelli dei Rangers

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Quella tra Rangers e Celtic è molto più di una partita. La rivalità tra i due club di Glasgow ha un’aura romantica che persino pochi derby possiedono. Perché non si tratta soltanto di una rivalità sportiva, ma di una rivalità totale e assoluta, nata persino due secoli prima della disputa del primo incontro.

“Cattolici contro protestanti”, è la contrapposizione più frequentemente accostata al derby di Glasgow. Ma quella religiosa è soltanto la punta dell’iceberg di una rivalità che rende le due realtà distanti anni luce l’una dall’altra.

Impensabile per un cattolico tifare Rangers. Altrettanto impossibile immaginare un protestante tifoso del Celtic. Una famiglia divisa tra le due fedi? Merce rara, rarissima.

Quando Lorenzo Amoruso, difensore che in Italia ha vestito le maglie di Bari e Fiorentina, fu ingaggiato dai Rangers non avrebbe mai immaginato di poterne diventare capitano. E invece divenne il primo capitano cattolico con addosso la maglia dei Rangers. Per sempre nella storia.

Di storie romantiche e incredibili, l’Old Firm ne ha regalate a bizzeffe, dentro e fuori dal campo. Non sempre encomiabili, ma sufficienti per riempire un libro di epica.

Una rivalità di altissimo livello anche dal punto di vista sportivo, peraltro, basti pensare al fatto che per ben 106 volte su 125 edizioni, il campionato scozzese è stato vinto da una delle due: 55 volte dai Rangers e 51 dal Celtic, per la precisione.

È in questo scenario che si incastona il nome di Mo Johnston, un uomo capace di farsi odiare da entrambe le tifoserie.

Ma andiamo con ordine. Johnston, nato nel 1963, fa parte della Glasgow cattolica. Inevitabilmente, dunque, è uno dei Bhoys: il suo futuro è biancoverde, non ci sono dubbi. E così sarà. All’età di 21 anni, dopo le importanti esperienze con Partick Thistle e Watford, Johnston corona il suo sogno e conquista la maglia del Celtic.

Mo Johnston CelticGetty

Quella maglia biancoverde fa in tempo ad indossarla per tre anni, durante i quali mette insieme più di 50 goal, conquista quella della Nazionale e si gode la vittoria del campionato del 1986.

Poi arriva il Nantes, desideroso di tornare ai vertici del campionato francese dopo i tre titoli conquistati tra il 1977 e il 1983, a decidere che Mo Johnston è l’uomo giusto per riuscirci. In Francia, pur facendo molto bene, il bomber dai capelli rossi ci resta però soltanto due anni.

Nell’estate del 1989, infatti, Johnston torna a Glasgow. Al Celtic? No, anzi. Ai Rangers. Apriti cielo. I Gers, guidati da Graeme Souness nell’inedito ruolo di giocatore-allenatore, freschi di trionfo in campionato grazie ai goal di Ally McCoist, si portano a casa anche l’ex bomber dei rivali. È Souness a volerlo. E la disponibilità economica dei Rangers fa il resto. Johnston accetta. È il delirio.

Graeme Souness RangersGoal

Souness liquida le insistenti domande che fanno seguito all’affare con una battuta destinata a diventare storica:

“Ho sposato una donna cattolica, figuriamoci se avrò problemi ad allenare un giocatore cattolico”.

I tifosi, però, non si accontentano della battuta di Souness. E quando parliamo di tifosi parliamo sì dei tifosi dei Rangers, ma anche di quelli del Celtic. E qualche problema, Souness, lo avrà eccome.

Il tradimento di Johnston, un cattolico che va a giocare con i protestanti, manda su tutte le furie i tifosi biancoverdi. La scelta dei Rangers di affidarsi ad un cattolico, per di più ex bandiera degli odiati rivali, fa schiumare di rabbia i tifosi del club protestante.

Bandiere e maglie dei Rangers vengono bruciate davanti ad Ibrox, il giocatore riceve offese e minacce da parte di entrambe le tifoserie che, per una volta in accordo, lo ribattezzano Judas.

Johnston è costretto ad assoldare a proprie spese tre guardie del corpo per salvaguardare la propria incolumità, ma alla fine preferisce quasi rintanarsi in casa. Il magazziniere del club si rifiuta persino di lavargli la divisa da gioco, costringendolo a portarla a casa e a pensarci da solo. Ma Johnston ne fa una questione di principio e non si fa impressionare.

Gioca, spesso bene, e segna parecchio. Segna il suo primo goal contro l’Aberdeen, poi va a segno anche contro Hearts, Dundee United, St Mirren ed Hibernian. Cinque goal nelle prime undici giornate. E il sesto? Beh, a Johnston piace fare le cose in grande e lo segna in un derby contro il Celtic giocato ad Ibrox davanti a più di 40.000 spettatori.

È il minuto 89, il centravanti dai capelli rossi raccoglie una corta respinta al limite dell’area e con un destro rasoterra batte il leggendario Pat Bonner. È il goal che deciderà la partita. I compagni lo abbracciano, i tifosi esultano. Pace fatta? Non proprio. L’indomani Johnston tornerà ad essere bersaglio di insulti e minacce da entrambe le tifoserie anche se, a quanto pare, alcuni tifosi dei Gers decidono di "ringraziarlo” per quel goal, iniziando ad ignorarlo.

Alla fine di quella stagione riesce a mettere insieme 17 goal, in quella successiva addirittura 19, nella terza fa in tempo a farne 10 in pochi mesi, poi viene acquistato dall’Everton e sceglie di lasciare nuovamente la Scozia. Comportandosi da professionista, così come aveva fatto quando aveva deciso di tornare.

Concluderà la carriera indossando anche le maglie di Hearts, Falkrik e Kansas City Wizards, prima di iniziare la carriera di allenatore, sempre negli Stati Uniti. Molto distante dalla sua Glasgow dove nessuno, ne siamo certi, lo ha dimenticato.

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