
Henrikh Mkhitaryan sente il bisogno di essere protagonista in campo. Lo è sempre stato in ognuna delle squadre in cui ha giocato. È nella sua natura. Quando è al centro della scena, si esalta e dà il meglio di sé stesso. Lo hanno scoperto anche alla Roma e all'Inter, dopo gli eccellenti segnali mandati nelle scorse annate. Nella sua carriera l’armeno è sempre stato al centro della scena, a partire da quando si è fatto conoscere al grande calcio europeo con lo Shakhtar Donetsk. Poi, successivamente, al BorussiaDortmund con Jürgen Klopp, il tecnico che più di tutti lo ha segnato. Quando è arrivato in Germania, come erede di Mario Götze, appena passato al Bayern Monaco, Klopp lo aveva definito un fit perfetto per la sua squadra, paragonandolo a “un sedere su un water” per quanto fosse azzeccato l’acquisto. Aveva ragione. Anche se la stagione migliore di Mkhitaryan in Bundesliga è stata nel 2016, quando è stato eletto miglior giocatore del campionato, con Thomas Tuchel in panchina. Il rapporto con Klopp, comunque, è stato diverso. Speciale.
“Per me è stato quasi uno psicologo. Ero severo con me stesso, per un errore potevo chiudermi in camera, spegnere il telefono e non parlare con nessuno. Mi ha aiutato a raggiungere un maggiore equilibrio. Con lui ho giocato al mio massimo livello. Prima di giocar con l’Eintracht, mentre mi allenavo sui tiri in porta, mi sfidò: ‘Se ne segni sette ti do 50 euro, se no me li dai tu‘. Non li feci, pagati. Ma il giorno dopo in partita feci doppietta e dissi a Klopp: ‘Ora me li ridai quei 50 euro’…”.
È stata l’unica scommessa che ha fatto in vita sua. Anche perché lui in primis non si è mai sentito una scommessa. Ne ha fatte, anche su sé stesso, come andare a giocare in Brasile nel San Paolo a 15 anni. In realtà soltanto a inizio carriera: qualcuno diceva che fosse troppo magro. Curioso, perché all’Arsenal in un certo periodo fu accusato dai tifosi di avere una pancetta un po’ troppo vistosa. A Londra, in realtà, non ha trascorso un anno e mezzo memorabile. Ci era arrivato dopo uno scambio alla pari con Alexis Sanchez con il ManchesterUnited nel gennaio del 2018. Entrambi hanno condiviso lo stesso destino: esperienze deludenti, spediti in Italia in prestito nell’estate 2019 e poi ceduti a zero insieme in estate. Roma e Inter. Col senno di poi, uno scambio ‘lose-lose’. Aveva deciso di andare in Premier League nel 2016, con un solo anno di contratto rimasto col Dortmund e poca voglia di rinnovare. Aveva fame di trofei. È diventato il primo armeno a giocare in Premier League. Voleva essere protagonista, ma non andò bene. Né allo United con Mourinho, né all’Arsenal con Emery. Che poi lo ha spedito gratuitamente in Italia. Dove si è ritrovato.
“Emery era molto attento alla tattica, ha cambiato il mio ruolo. Giocavo da ala, ma dovevo aiutare in impostazione il centrocampo. Non ho potuto contribuire con goal e assist. A me piace di più giocare liberamente, andare dove c’è lo spazio, ma dovevo ascoltare l’allenatore”.

In Inghilterra, comunque, ha conquistato quello che è probabilmente il suo successo più importante in carriera: la vittoria dell’Europa League nel 2017, in finale a Stoccolma, segnando uno dei due goal con cui lo United di Mourinho ha battuto l’Ajax. In finale di Europa League ci è tornato con l’Arsenal due stagioni dopo, nel 2019. Doveva giocare contro il Chelsea un derby di Londra storico, poi vinto dai Blues di Maurizio Sarri con un rotondo 4-1 finale. Eppure quella partita Mkhitaryan non poté giocarla. Non per una scelta tecnica, non per un infortunio, bensì per colpa della propria nazionalità e di un conflitto che va avanti da trent’anni.
Per l’Armenia a livello sportivo Mkhitaryan è a tutti gli effetti un punto di riferimento, non solo a livello calcistico. È senza dubbio il miglior giocatore armeno di tutti i tempi, miglior realizzatore con 32 reti della Nazionale (a cui ha dato l'addio a marzo 2022). Vederlo così in alto era probabilmente il sogno di papà Hamlet, scomparso a soli 33 anni a causa di un tumore al cervello. Aveva fatto in tempo a giocare con la neonata nazionale dell’Armenia dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, ma non è riuscito a sconfiggere un male incurabile. La mamma di Mkhitaryan lavora ancora nella federazione armena, mentre la sorella lavora nell’UEFA. Ed è curioso soprattutto quest’ultimo aspetto, perché proprio l’UEFA è stata al centro del dibattito che è impazzato nel maggio 2019, prima della finale di Europa League.
Come detto, una finale il classe 1989 l’aveva già giocata. A Stoccolma con lo United era in campo ed era stato decisivo, ma due anni dopo, a Baku, capitale dell’Azerbaigian, non ha nemmeno preso parte alla trasferta. Per la sua sicurezza personale ha deciso di non viaggiare nel paese caucasico. Da ormai trent’anni tra Azerbaigian e Armenia i rapporti diplomatici sono nulli e c’è un gelo totale, dovuto alla guerra del Nagorno Karabakh, un territorio che si trova a cavallo tra i due stati. Un’area area storicamente etnicamente armena, che passò alla Russia 200 anni fa. Dopo la rivoluzione russa, nel 1923 Stalin la assegnò all’Azerbaigian. Anche se è sempre stata una regione autonoma.
Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, però, le cose sono cambiate. Gli abitanti della regione, che si sentivano armeni e nella quasi totalità hanno quell’origine, iniziarono a pianificare la riunione alla madrepatria. Nel 1988, dopo atti di violenza di entrambi gli stati, la regione si dichiarò autonoma. L’Azerbaigian, però, votò contro l’autonomia, per lo scioglimento della repubblica, e a inizio 1992 ebbe inizio la guerra, terminata formalmente nel 1994, ma in realtà ancora in corso. Così come i negoziati di pace, condotti dal Gruppo di Minsk, creato appositamente dalle Nazioni Unite.
Getty ImagesL’Azerbaigian, inoltre, ha emanato un divieto: gli armeni e le persone di discendenza armena non sono autorizzate ad entrare nel paese, previa autorizzazione formale delle autorità. Una decisione che è stata contestata a livello internazionale e oggetto di diversi dibattiti politici e umanitari. Henrikh Mkhitaryan, comunque, rientra nel divieto a livello teorico. Proprio per questo motivo, e per la sua sicurezza personale, quando giocava nel Borussia Dortmund non era andato in trasferta per giocare contro il Gabala (era il 2015) e nemmeno nel 2018, quando l’Arsenal affrontava il Qarabag, aveva viaggiato con la squadra. Per non creare casi.
La stessa decisione che ha preso successivamente, nel maggio 2019, quando doveva viaggiare alla volta di Baku con l’Arsenal per la finale di Europa League. Gli era stata garantita la sicurezza massima da parte dell’UEFA, ma ha temuto per la sua incolumità e ha deciso di rimanere a Londra.
“Avendo considerato tutte le ipotesi, abbiamo deciso che non viaggerò con la squadra per la finale di Europa League con il Chelsea. È una partita che è raro giocare e mi fa molto male non poterci essere”.
È stato costretto a non giocare. La decisione fu presa di comune accordo con il club, visti anche i precedenti già esistenti. La finale sembrava poter essere un’eccezione, ma alla fine la scelta fu fatta di comune accordo. L’Arsenal, che si vide danneggiato, parlò di decisione “inaccettabile” attraverso il manager Vinai Venkatesham, che chiese all’Uefa di tutelarsi in questo senso perché la situazione non si ripetesse.
“Fatico a trovare le parole per descrivere come mi sento. Viviamo una situazione totalmente inaccettabile. È una decisione di tutti. Non sentiamo che possa venire con la squadra ed è un situazione incredibilmente triste. Gli è stata tolta una grande opportunità, un’opportunità rara per un calciatore. È una vergogna che non possa aiutarci a conquistare un trofeo così importante. Non deve accadere mai più, all’Arsenal o a qualsiasi altro club”.
Getty ImagesDietro la rinuncia di Mkhitaryan ci sarebbe stata anche la volontà di non mettere ulteriore pressione ai suoi compagni, che già avevano abbastanza pensieri per la testa, vista l’importanza della partita. La notizia fu ovviamente accolta con grande tristezza anche dall’allenatore UnaiEmery: tutti i giocatori diranno poi di voler vincere per il loro compagno, per potergli dedicare un trofeo.
Qualcuno sulla stampa inglese puntò il dito contro l’UEFA, per la decisione di giocare quella partita in Azerbaigian, conoscendo la situazione diplomatica del paese. La federazione calcistica azera, dal canto suo, aveva provato a garantire il massimo della sicurezza, come voluto dall’organo di controllo del calcio europeo. Lo ha evidenziato in un comunicato dopo la decisione, attraverso un portavoce che aveva scaricato le responsabilità sul giocatore.
“Ci dispiace che sia stata presa questa decisione personale, ma vogliamo ribadire che come paese ospitante abbiamo preso tutte le misure di sicurezza necessarie richieste dall’Uefa per assicurare la sicurezza del giocatore. Non c’è quindi nulla che possa mettere in dubbio la nostra serietà”.
La risposta dell’Armenia non si è fatta attendere ed è arrivata attaverso Anna Naghadalyan, portavoce per il Ministero degli affari esteri
“L’Azerbaigian aveva un’opportunità per mostrare quando reale fosse preparare la gente per la pace. Le manifestazioni di razzismo e xenofobia nello sport non dovrebbero trovare spazio. In questo senso, il rifiuto dell’Azerbaigian di garantire sicurezza totale e di mettere un divieto di ingresso nel paese ai tifosi di origine armena è l’ennesima manifestazione di razzismo e pone in dubbio la scelta di tenere simili eventi in Azerbaigian”.
Mkhitaryan, alla fine, vide i suoi compagni perdere 4-1. Una doppia delusione per “Heno” come viene chiamato in Armenia. A livello internazionale, invece, è ormai noto per tutti come “Micki”. All’inizio il soprannome non gli piaceva, perché sosteneva essere irrispettoso verso le sue origini e il suo nome. Aveva promesso che avrebbe segnato tanti goal, così tutti si sarebbero ricordati il suo nome. Poi se lo è fatto andar bene (tanto che oggi è anche il suo nickname su Instagram: @micki_taryan) grazie a Klopp, perché il suo nome era difficile da pronunciare.
KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty ImagesProprio attraverso il popolare social network, nel settembre 2020 il fantasista dell'Inter è tornato a difendere il suo paese e prendere una posizione forte sul conflitto ripartito nella regione dell’Artsakh, nella zona sud del Nagorno Karabakh. Chiedendo un’azione internazionale per fermare i bombardamenti. Dopo un mese, la Russia è intervenuta occupando militarmente la zona, formando uno schieramento di pace sul confine. Ha chiesto anche che venisse riconosciuta l’indipendenza del popolo che lui riconosce come armeno. Perché, oltre il calcio, il legame tra Mkhitaryan e il suo paese è più forte di tutto.




