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Mauro Zarate Lazio Roma Serie AGetty

Mauro Zarate alla Lazio: un lampo nel cuore travolgente e fugace

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Non sempre Claudio Lotito ha utilizzato il latino per esprimere i propri concetti. Nel 2013, ad esempio, ne spiegava uno piuttosto importante in italiano: “Quando si raccolgono dei frutti da un albero, se ne possono anche trovare alcuni andati a male”. Uno sfogo da amante tradito, da appassionato del pallone catapultato di colpo sulla terra. Si riferiva a Mauro Zarate, con cui ai tempi vigeva una diatriba legale. L'argentino aveva appena intentato una causa per mobbing, tornando al Velez Sarsfield. Tre anni dopo si sarebbe rivisto da avversario con la maglia della Fiorentina, esultando dopo aver segnato e facendo calare il sipario definitivo sul rapporto.

La chiusura più amara di una storia d'amore breve, ma intensissima. Zarate era stato uno squarcio di luce nel buio. Una scossa adrenalinica, di quelle che ti fanno sentire vivo, tremante di eccitazione, pulsante. Genio e sregolatezza, a volte con una percentuale superiore di genio e altre di sregolatezza. Eppure, quando la Lazio lo acquista nel 2008, in pochi possono dire di conoscerlo veramente. Si sa che è reduce dalle Olimpiadi in Cina, assieme a Messi, Di Maria e Agüero. Che in patria si è fatto conoscere con il Velez, ma che in seguito ha peregrinato tra Al-Sadd e Birmingham City. Che a 20 anni la scelta di andare a giocare in Qatar è stata troppo strana e insolita per non storcere il naso e farsi qualche domanda.

A incendiare gli animi, ai tempi, ci pensa proprio Lotito: “Zarate è più forte di Messi”. Ohibò. Il pres lo dice tra il serio e il faceto, forse. Però lo dice. E un pochino magari ci crede. Maurito è un piccoletto zigzagante che attrae verso di sé sentimenti ambivalenti. Non ti puoi non innamorare immediatamente di uno come lui. E, un secondo dopo, non puoi non provare quell'irritazione riservata ai talenti che proprio non riescono a includere il termine “continuità” nel proprio vocabolario personale.

Eppure, in quell'estate 2008, Zarate è un terremoto che si abbatte sulla Serie A, stordendola. Segna subito due volte in casa del Cagliari. Poi punisce anche la Sampdoria. Infine realizza la rete della bandiera a San Siro contro il Milan, vincente per 4-1. La Zarate-mania scoppia in quel momento. Anche perché sono anni in cui la Lazio è appena uscita dalla convalescenza del post Cragnotti e di campioni non ne vede moltissimi. Certo, non come ne vedeva a cavallo del millennio. Vero, l'anno prima ha giocato i gironi di Champions League. Ma si è anche piazzata dodicesima in campionato. Maurito dimostra immediatamente di non essere come tutti gli altri. Ha qualità vera, tecnica da vendere. È il nuovo beniamino della gente, negli store non si trova che la sua maglia. Ed è pure “un ragazzo d'oro” secondo Lotito, che non immagina proprio cosa gli riserverà il futuro.

Non sono tanto le giocate in campo a infiammare i laziali. O meglio: non sono soltanto quelle. Certo, la punizione sotto l'incrocio della porta del Siena, con Curci (un ex romanista...) pietrificato, è una perla assoluta. Ma c'è più che altro la sensazione di aver trovato un condottiero, un anarchico del pallone, uno per il quale innamorarsi a prima vista. Non capitava da tempo, come detto. Zarate sa bene come cavalcare l'onda. Più volte dichiara: “Siamo forti, da Scudetto”. Basta questo per incendiare la gente. Quando nel 2009 viene squalificato per un paio di giornate, poi, l'argentino si infila in Curva Nord a guardare la partita assieme ai tifosi. Sintonia totale.

Mauro Zarate Lazio Mura Europa League 08302012Getty Images

Diventa un simbolo, Zarate, anche quando c'è da difendere l'orgoglio biancoceleste contro la Roma. Che in quegli anni ha Francesco Totti in campo e Luciano Spalletti in panchina, va più volte a un soffio dalla conquista del campionato e gioca il miglior calcio della Serie A. Sono spesso batoste, nei derby. Tranne l'11 aprile 2009. La Lazio trionfa con un 4-2 senza storia e Maurito estrae dal cilindro la prodezza del campione: sull'1-0 per i biancocelesti prende palla sulla sinistra, si accentra, ha il corpo rivolto verso le panchine dalla parte opposta ma calcia comunque, incastonando la palla nell'angolo più lontano della porta di Doni.

Maurito cosa hai fatto! – urla il radiocronista laziale Guido De Angelis, dando voce in quell'istante a migliaia e migliaia di pensieri – Maurito cosa hai fatto! Maurito cosa hai fatto! Maurito mio, bello mio de' casa, cosa hai fatto Mauri'! Hai tirato da sotto casa all'incrocio dei pali!”.

Con Totti, poi, sono scintille. Più di una volta il capitano giallorosso definisce Zárate “un buon giocatore, non un campione. I fenomeni sono altri”.Quando segna in quel derby, Maurito passa accanto al rivale e gli urla: “Allora, non sono un campione?”. È una querelle che va avanti a lungo, quella tra i due. Nel 2011, Zarate dirà di Totti: “Lui un fenomeno? I fenomeni sono quelli che vincono il Pallone d’Oro”.

Nel mezzo, anno di grazia 2009, Maurito viene intervistato in patria e parla del capitano romanista come di “un giocatore finito”.Uno che “parla parecchio, ma per dieci derby di fila non ha mai segnato”. Totti gli risponde in modo insolito, attraverso il proprio blog, poco prima di Natale. Gli fa ironicamente gli auguri, piazzando un paio di emoticon sorridenti in mezzo a qualche litro di veleno.

Visto che siamo nel periodo natalizio e tutti dobbiamo essere più buoni, non posso che fare 240 volte auguri al campionissimo Zarate. E spero nel 2010 di fare qualche altro gol e assist per raggiungerlo nei suoi record di cannoniere e rifinitore. Devo anche fare in fretta perché sono un calciatore finito... beh, a pensarci quasi finito, visto com'è andato il 2009”.

Il 2009, a dire il vero, è stato un anno speciale anche per Zarate. Alla Lazio ha vinto due trofei in poche settimane. La Supercoppa Italiana (cinese, meglio) contro l'Inter di Mourinho, destinata al Triplete meno di 12 mesi più tardi. E prima ancora la Coppa Italia. Da protagonista: nella finale dell'Olimpico contro la Sampdoria ha segnato il momentaneo 1-0 e poi uno dei rigori conclusivi. La Lazio lo ha posto al centro del villaggio nei festeggiamenti, creando ad hoc una maglietta con la sagoma sua e quella di Totti: “Zarate campione, Totti zero titoli”.

Ma la magia vera, quella da farfalle nello stomaco, in sostanza si spegne lì. Lo strappo non tarda a consumarsi. Una stagione d'esordio più che positiva, con tutte le pause del caso ma anche con 13 reti in campionato, è seguita da un'altra in tono minore. Nel 2009/10 Zarate gioisce appena tre volte, litiga con Edy Reja, conferma di abbinare tecnica e piedi buoni a un caratterino mica male. Si costruisce, in sostanza, la strada verso l'addio. Tormentato, burrascoso.

Maurito rimane altri 12 mesi, in realtà. Nel 2010/11 si ritaglia il proprio spazio, segna 9 reti, anche lui sogna di riportare la Lazio in Champions League. Ma il 9 maggio 2011 accade il fattaccio. Udinese-Lazio, scontro diretto per il quarto posto. I bianconeri sono avanti 2-0 al Friuli, ma la Lazio ha un calcio di rigore a disposizione. Lo calcia Zarate, che pennella una delle esecuzioni più brutte della storia della Serie A: uno sgorbio debole, centrale, senza senso. Handanovic non si muove e lo blocca senza problemi. Un errore che risulterà fatale, se è vero che le due squadre arriveranno quarte a pari punti, ma l'Udinese approderà ai preliminari di Champions grazie alla miglior differenza reti.

La strada per la separazione è ormai tracciata. Quando Zarate se ne va all'Inter in prestito, nell'estate del 2011, il ds Tare allarga le braccia nei confronti del tifo scontento: “Se uno arriva in ritiro in sovrappeso...”. Dirà Maurito anni dopo alla 'Gazzetta dello Sport': “L’Inter era il club migliore d’Italia”. Ma è un'annata storta. Per tutti. In panchina si alternano allenatori come camicie al termine di giornate in ufficio, i risultati non arrivano, il sesto posto finale è l'inizio della discesa verso l'anonimato che caratterizzerà gli anni successivi dei nerazzurri. Zarate è solo in prestito. È costretto a tornare a Roma controvoglia, con Lotito e Tare ormai sono dardi velenosi ogni volta.

Simone Inzaghi Mauro Zarate Lazio Serie A 10282009Getty Images

Se ne andrà di nuovo, l'argentino. Prima al "suo" Velez Sarsfield, il club dove si era messo in mostra, nel bel mezzo di una lunghissima battaglia legale intentata per mobbing dal calciatore. E poi in Inghilterra, dove aveva già giocato col Birmingham City. Al West Ham, stavolta. E infine alla Fiorentina, nel 2016. È un periodo complicato, perché la moglie Natalia scopre di avere un tumore. Ma Maurito tenta di fare il suo. Altra data da cerchiare in rosso: il 18 dicembre di quell'anno. I viola perdono per 3-1 all'Olimpico, un fischiatissimo Zarate segna e si porta polemicamente una mano all'orecchio. Per provocare la dirigenza, preciserà in seguito, mica i suoi ex tifosi. Ma intanto lo strappo non è completo: di più. Anche se il giocatore, negli anni seguenti, ha più volte tentato di ricucirlo con le parole.

“La Lazio? Il mio primo amore, impazzivano per me – ha detto nel 2020 alla 'Gazzetta dello Sport' – Arrivai a Roma a 21 anni e diventai un idolo. I primi mesi, nel 2008/09, ero imprendibile. Segnai nel derby, vinsi la Coppa Italia con gol in finale e la Supercoppa. L’unico neo è quel rigore sbagliato contro l’Udinese che ci costò la Champions. Tornando indietro calcerei sotto l’incrocio. Il rapporto con i tifosi è stato unico, ad Auronzo dovevo nascondermi nel pulmino per arrivare in tempo a pranzo. Mi cercavano tutti”.

Se si parla di tradimenti, in ogni caso, la rete dell'Olimpico con la maglia della Fiorentina è nulla. Quello vero si consuma qualche anno dopo, già nella fase discendente della carriera. Zarate è di nuovo a Liniers, al Velez, e sono in tanti a pensare che possa chiudere lì la propria avventura. Sbagliato: nel 2018 il Boca Juniors bussa alla sua porta e Maurito non sa resistere alla tentazione di vestire il giallo e il blu. È una decisione sconvolgente. I tifosi bruciano la sua maglia, il fratello Rolando – ex attaccante del Velez – taglia i contatti e spara: “Sta rovinando una famiglia. Sono distrutto, non posso crederci”.

Peggio andrà un anno più tardi. Boca Juniors contro Velez Sarsfield, Copa Argentina. Passa il Boca ai calci di rigore e Zarate realizza la propria esecuzione. Esulta, in barba alle leggi non scritte degli ex, e davanti ai microfoni delle tv argentine spara a zero: “È passata la squadra grande”. Il circo prende definitivamente fuoco, col Velez che gli ritira la tessera di socio del club, inizialmente mantenuta anche dopo il trasferimento alla Bombonera.

Però Zarate è così. Prendere o lasciare. Difficilmente rimane lontano dai riflettori, difficilmente si smette di parlare di lui. Anche ora che da qualche tempo ha messo radici in Brasile, prima all'América-MG (con tanto di storica qualificazione ai preliminari di Libertadores) e poi allo Juventude. E anche ora che gli anni sono diventati 35, il pensiero corre a quei tempi romani, belli e così fugaci, e a quel che sarebbe potuto essere e non è stato. Il rimpianto, quello, non ha età.

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