
Italia sinonimo di eccellenza in ambito calcistico. In un’epoca nella quale spesso si parla di stadi obsoleti, di conti che non tornano e di talenti che preferiscono cercare altrove grandi sfide e grandi guadagni, si fa forse un po’ più di fatica a ricordare che la Serie A è stata per anni il centro nevralgico di tutte le più importanti vicende ‘pallonare’.
Per decenni nessun campionato è riuscito ad attirare campioni come quello italiano ed anzi, il ‘Bel Paese’ per tanto tempo ha rappresentato un vero e proprio oggetto del desiderio per tutti i più grandi fuoriclasse del pianeta.
Negli anni ’80, in particolare, erano molte le squadre della massima serie che potevano contare su grandi talenti nelle proprie fila. Che si trattasse delle big o di quelle realtà che già allora venivano definite di ‘provincia’, poco importava: i più forti calciatori brasiliani, argentini, francesi, tedeschi, olandesi o di qualunque parte del globo, in un modo o nell’altro facevano a gara per accaparrarsi un ingaggio, lì dove si giocava un calcio di un altro livello rispetto quello di tutti gli altri Paesi.
Non deve sorprendere quindi il fatto che l’Italia sia stata in grado di accogliere contemporaneamente tre tra i più grandi numeri 10 dell’intera storia del calcio mondiale: Zico, Michel Platini e Diego Armando Maradona.
Tre geni, tre fuoriclasse assoluti, che sui campi della Serie A hanno trovato terreno fertile per consacrarsi e per imporsi poi come autentiche leggende.
Già il semplice fatto di poter giocare al loro fianco ha rappresentato per molti il coronamento di un sogno, ma tra coloro che sono riusciti a condividere con loro maglia e spogliatoio e che hanno quindi avuto modo di ammirarli da vicino, c’è un solo calciatore che può vantarsi di aver giocato con tutti e tre: Massimo Mauro.
Esterno destro dotato di grande estro, buona corsa e tanta qualità, in realtà il suo grande sogno l’ha realizzato ben prima che la sua strada si incrociasse con quella dei tre più grandi campioni della sua generazione.
La sua più grande aspirazione era infatti quella di poter vestire un giorno la maglia del suo Catanzaro, cosa che è tra l’altro riuscito a fare molto presto. E’ infatti l’estate del 1979 ed è in vacanza quando, durante una partita di pallacanestro tra amici, gli dicono che è meglio tornare a casa, perché è arrivata una telefonata importante: dall’altra parte della cornetta c’è infatti il segretario del club calabrese.
Carlo Mazzone, che all’epoca era l’allenatore della compagine giallorossa, aveva notato quel diciassettenne che tanto bene stava facendo con la Primavera e decide quindi di aggregarlo al gruppo della prima squadra.
Mauro nel giro di poche ore si ritrova a passare da un campetto di pallacanestro al condividere lo spogliatoio con il suo grande idolo: Massimo Palanca.
Sarà proprio l’attaccante umbro, che intanto a Catanzaro si è già guadagnato il soprannome di ‘Imperatore’, il primo straordinario talento con il quale avrà modo di confrontarsi. Giocatore dal piede piccolissimo, 37 il suo numero di scarpe, ma dalle qualità tecniche enormi, aveva trovato in Calabria il suo paradiso calcistico.
Sono quelli gli anni migliori dell’intera storia delle ‘Aquile del Sud’. Tra il 1980 ed il 1982 arriveranno prima un settimo e poi un ottavo posto, tra l’altro in una delle Serie A migliori di sempre.
Quando nel 1982 si trasferisce ad Udine, sa quindi già bene cosa voglia dire confrontarsi con i più forti e ai più alti livelli, quello che però non può immaginare e cha da lì a un anno suo compagno di squadra diventerà colui che all’epoca è semplicemente definito ‘Il Pelé bianco’.
E’ infatti il 1983 quando il presidente dell’Udinese, Lamberto Mazza, stupisce il mondo annunciando l’acquisto di Arthur Antunes Coimbra: per tutti semplicemente Zico. Il suo nome, nel corso dei mesi precedenti, era stato accostato a quello di Milan, Juventus e soprattutto Roma, ma saranno i friulani a superare quella straordinaria concorrenza, cosa che nel calcio di oggi sarebbe impensabile, versando nelle classe del Flamengo qualcosa come sei miliardi di lire.
In Italia gli verrà riservata un’accoglienza straordinaria, ma un problema a livello federale porterà l’operazione ad un passo dal naufragio. La situazione che si viene a creare porta ad una vera e propria sollevazione popolare e ad Udine venne coniato il motto ‘O Zico o Austria’. Quello che doveva essere un semplice trasferimento in ambito calcistico si trasforma in un affare di stato, tanto che perfino il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, deciderà di esprimersi a riguardo.
WikipediaQuando arriverà la definitiva fumata bianca Zico, che in Brasile era considerato quasi una divinità, si presenterà ai nuovi compagni dell’Udinese spiegando qual è il suo obiettivo.
“Quest’anno dobbiamo vincere lo Scudetto”.
Il titolo di campione d’Italia non lo vincerà mai, ma al suo primo anno in Serie A realizzerà 19 goal in 24 partite che gli varranno un secondo posto nella classifica dei marcatori alle spalle del solo Platini. Nessuno straniero era riuscito a fare tanto all’esordio nel campionato italiano.
Mauro era uno degli uomini di punta di quella squadra. Era ancora giovanissimo, ma la cosa non gli impedì di imporsi come un titolare inamovibile.
“Zico era il miglior giocatore che un allenatore potesse avere. Era un grande atleta e un grande uomo. Era bravissimo nel saper coinvolgere tutti, aveva una sensibilità straordinaria. Sembrava avesse gli occhi anche dietro la nuca e non sbagliava mai”.
I destini di Zico e Maradona si incroceranno il 12 maggio 1985. Mauro quella partita non la giocherà, ma i due grandi numeri 10 sì. Uno contro l’altro.
All’88’ l’Udinese è avanti 2-1 quando Maradona con un tocco di mano, spinge in rete il pallone che vale il pareggio. Non è un gesto entrato nella storia come ‘La Mano de Dios’, ma tanto basta a Zico per andare su tutte le furie. La rabbia del momento gli costerà sei turni di squalifica e di fatto non indosserà mai più la maglia bianconera.
“Diego non fu corretto in quella occasione - racconterà il brasiliano - Io mi arrabbiai moltissimo e gli urlai di tutto nel tunnel. Quando ci confrontammo mi disse che io ero la faccia buona del calcio e lui quella cattiva”.
L’avventura di Zico all’Udinese si chiuderà di lì a poco e anche Massimo Mauro lascerà il Friuli nel corso dell’estate. A volerlo fortemente è la Roma e in particolare il presidente Dino Viola. I due si incontrano, trovano rapidamente anche un accordo e appongono le firme su una sorta di pre-contratto. Sembra tutto fatto, ma sono quelli gli anni nei quali il potere decisionale dei giocatori è molto inferiore a quello delle società e l’Udinese decide di cederlo alla Juventus.
Mauro a 22 anni si ritrova davanti ad un bivio: rifiutare o meno la Juve.
Dire ‘no’ a Boniperti e al club bianconero era praticamente impossibile e così il giovane centrocampista, a cinque anni dal suo esordio con il Catanzaro, si ritroverà a vestire per la prima volta la maglia di una big.
Quelli di Torino saranno gli anni dei primi trofei. In una squadra colma di campioni non solo riuscirà a ritagliarsi il suo spazio, ma si prenderà ben presto un posto da titolare che di fatto non cederà a nessuno.
Getty ImagesAll’ombra della Mole si consacra come uno dei migliori esterni del campionato, vince uno Scudetto ed una Coppa Intercontinentale e lo fa al fianco di ‘Le Roi’. Il Re.
“L’intelligenza applicata al calcio - dirà in un’intervista al Corriere dello Sport - Michel era straordinario per le scelte che faceva durante le partite e per come amministrava il tempo insieme ai compagni, insieme all’allenatore, insieme al presidente. Ed era veramente una lezione guardarlo, io stavo attentissimo ai comportamenti di Platini, perché, se uno ha un po’ di sale in zucca, a frequentare gente così impara molto. Se è vero che Platini si allenava con le pantofole? E’ vero che non aveva bisogno di allenarsi. Anche se poi era una persona seria, non era assolutamente uno scansafatiche. Spesso veniva sporco di terra rossa, giocava a tennis un’ora prima e poi veniva all’allenamento. Però serietà assoluta, mai un problema nello spogliatoio, mai una mancanza di allenamento, mai un orario sbagliato, un grandissimo professionista, sotto tutti i punti di vista”.
Alla Juventus Mauro si rende conto che Platini è un giocatore diverso da tutti gli altri, non solo perché è dotato di qualità tecniche fuori dal comune. In lui trova un genio capace di vedere le cose prima di tutti gli altri, ma anche un uomo che, seppur leader dentro a fuori dal campo, spesso tende a tenersi tutto dentro.
Una figura molto diversa da quella che incontrerà nel corso della sua esperienza a Napoli. Una figura molto diversa da Diego Armando Maradona.
(C)Getty imagesE’ il 1989 e Massimo Mauro è già da tempo un giocatore importante quando la Juventus decide di puntare forte su Zavarov. Il talento russo gioca in un ruolo diverso dal suo e nelle intenzioni della dirigenza bianconera è in qualche modo destinato a raccogliere l’eredità di Platini, ma Mauro intuisce che forse per lui lo spazio a disposizione potrebbe essere meno.
Decide quindi di cambiare aria e di farsi una sorta di regalo: giocare al fianco del più grande di tutti.
“Accettai di trasferirmi per una ragione soltanto - svelerà anni dopo all’Huffington Post - avere la possibilità di giocare con Diego. Alla Juve c’era Platini, un altro di quelli che non bastano certo le parole a descrivere. Ma Diego era un miracolo ancora più grande. Decisi di andare. E ancora oggi, dopo aver conosciuto a fondo entrambi, tra Platini e Maradona sceglierei Diego, perché Diego non era solo un il solista fenomenale, era anche un direttore d’orchestra inarrivabile”.
In realtà quando arriva a Napoli trova una situazione particolare. Il presidente del Marsiglia, Bernard Tapie, ha infatti offerto qualche mese prima a Maradona un assegno in bianco pur di convincerlo a trasferirsi in Francia.
Il fuoriclasse argentino vede nell’OM una grande occasione: avrebbe la possibilità di guadagnare cifre astronomiche e al contempo di puntare alla Coppa dei Campioni, visto che quella che sta venendo su è una squadra fenomenale.
Ferlaino promette a Maradona di liberarlo, ma poi torna sui suoi passi. La cosa si traduce in un lungo braccio di ferro che porterà Diego a posticipare il suo rientro a Napoli. Per settimane si rincorrono voci di una possibile rottura definitiva e all’inizio del campionato la maglia numero 10 azzurra si riscopre orfana del suo padrone.
Ad indossarla sarà proprio Mauro, che impiegherà pochissimo tempo nel capire quanto pesante possa essere. Quello che ancora non ha toccato con mano è però cosa realmente vuol dire Maradona per Napoli e ne prenderà coscienza solo quando, dopo cinque partite, il 'Pibe de Oro' farà finalmente ritorno in città dove, nonostante tutto, verrà accolto ancora come un re.
All’ombra del Vesuvio vincerà un altro Scudetto e una Supercoppa Italiana e nel corso di quella che poi sarà la sua ultima esperienza da calciatore, maturerà due convinzioni: trionfare a Napoli è diverso dal farlo in qualunque altro posto, e inoltre nessuno può essere paragonato a Maradona.
Il fuoriclasse argentino è infatti dotato di una qualità quasi sorprendente per uno del suo calibro: un’umiltà unica.
In campo è sempre al fianco del compagno che ha la palla, è lì per aiutarlo, per dargli un appoggio e nel caso rincuorarlo. Maradona riesce a tenere fuori dal rettangolo di gioco il peso che dà l’essere Maradona e se è il più amato all’interno dello spogliatoio non è perché fa vincere le partite da solo, ma semplicemente perché è un generoso.
“Nel più bravo di tutti ti aspetti sempre un po’ di presunzione - ha raccontato al Corriere della Sera - In lui non c’era. Poteva trovarsi di fronte a un intellettuale o a un operaio, ma Diego si metteva sempre al livello degli altri, per potere stare assieme a loro. E poi era impressionante sul campo”.
Quello che si viene a creare con il fuoriclasse argentino è un rapporto così solido che spesso, in piena notte Maradona, per sfuggire dalle braccia di una città che lo venera, lo chiama per chiedere ospitalità. Mauro non la nega ma, ma a differenza del più famoso compagno di squadra, una volta aperta la porta poi è solito tornare a dormire, anche perché lui, a differenza del Pibe, ha bisogno di allenarsi il giorno dopo.
Giocare al fianco di un fuoriclasse è un qualcosa che può valere più di uno Scudetto o di una Coppa, è un’esperienza unica che può cambiare più che il semplice volto di una carriera. Vuol dire essere a pochi metri del genio, essere presente nel momento stesso in cui si crea arte calcistica.
“Ho giocato con Zico, Platini e Maradona, tre personaggi interessanti, tre persone diverse, ma molto intelligenti. Non ci sono più stati altri giocatori come loro, forse il solo Messi nelle sue giornate migliori”.
Massimo Mauro ha raccontato cosa ha voluto dire condividere il campo con tre tra i più grandi fuoriclasse di ogni tempo in un’autobiografia pubblicata nel 2001 dal titolo eloquente: ‘Ho giocato con tre geni'.
E’ stato un giocatore molto forte e proprio le sue qualità gli hanno permesso di arrivare ad intrecciare la sua vita calcistica con quella di Zico, Platini e Maradona. Ha visto il calcio elevato ai suoi massimi livelli e lo ha fatto al fianco di tre fuoriclasse profondamente diversi tra loro, ma dotati dello stesso dono.
Un privilegio per pochi. Anzi per nessun altro.
