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Mario Götze gfxGoal

Mario Götze, ascesa e discesa: dal tetto del mondo alla ricerca della tranquillità

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Vivere già diverse vite a 22 anni. Toccare il cielo con un dito. Diventare l’eroe nazionale. Anzi, l’eroe mondiale. Di un Mondiale. Vivere da protagonista e uomo più attenzionato di tutti una finale di Champions League, senza poi nemmeno poterla giocare, quella finale. Vivere momenti di salute poco felici. Essere ripudiato dai tifosi della squadra in cui sei cresciuto.

Mario Götze ha compiuto 30 anni. L’età in cui i calciatori sono nel pieno delle loro forze e della loro esperienza, quello che viene spesso definito il ‘prime’. Intorno a quell’età diversi sportivi vivono il momento migliore della propria carriera. Per Götze, invece, il meglio è arrivato tutto da giovane, giovanissimo. Chi non conosce la sua età potrebbe pensare ad un ultratrentenne. D’altronde si parla di lui da un decennio. Qualcuno ha addirittura paventato l’ipotesi di un ritiro. No, nulla di tutto ciò. L’ex Borussia Dortmund e Bayern Monaco gioca ancora, in Bundesliga, all'Eintracht - questa sera avversario del Napoli in Champions - dopo essere rinato dove non ti aspetti. In Olanda, PSV Eindhoven. Imprevedibile, il destino.

Mario Gotze PSV Galatasaray Champions LeagueGetty Images

A 9 anni nel settore giovanile del Dortmund, a 17 e 5 mesi l’esordio assoluto in Bundesliga. A 18, l’esordio con la Germania. A 19, il primo Meisterschale. Con il suo maestro Jürgen Klopp, al centro di una squadra giovane. Un anno dopo, bis. Mario Götze era semplicemente il talento più limpido del calcio tedesco di quegli anni. Faceva la differenza ad ogni livello. Commetteva errori come tutti i giovani - si ricorda un rosso col Leverkusen per un calcio ad un avversario - e aveva avuto alcuni problemi fisici. Nel 2013, però, nessuno aveva dubbi: sarebbe diventato uno dei migliori giocatori al mondo.

“È stato il mio allenatore, il primo a credere in me. È autentico, dice ciò che vuole. Molti conoscono la versione di lui in panchina. Ma c’è anche un lato molto serio. Quando avevo 17 o 18 anni e non davo il 100%, mi intimidiva. Mi correva dietro e mi urlava in faccia. Poi dopo l’allenamento, con tutta la calma del mondo, mi chiedeva del più e del meno. Non ho mai incontrato un allenatore così naturalmente divertente”, ha dichiarato al Players’ Tribune.

Lo pensavano anche al Bayern Monaco. E come si fa a dire ‘no’ al Bayern Monaco? Lo sanno pochissimi. Uno di questi è Marco Reus. Non Mario Götze. Lui al Bayern quando è arrivata la chiamata ha detto ‘sì’. Pagamento della clausola da quasi 40 milioni di euro. Tempismo, per la verità, rivedibile. Con il senno del poi. Annunciato prima della semifinale di Champions League del 2013, quella del poker di Lewandowski contro il Real Madrid. Peccato che un mese dopo in finale avrebbe incontrato proprio la squadra del suo futuro.

Non l’ha giocata, quella finale, complice un infortunio rimediato nella gara di ritorno a Madrid. Aveva fatto di tutto per recuperare. Sapeva che sarebbe stato al centro dell’attenzione, ma era disposto a tutto pur di poter scendere in campo. A Wembley alla fine sarebbe stato l’uomo più cercato dalle telecamere in tribuna. Il tema di discussione per antonomasia. Comunque sarebbe andata, sapeva che si sarebbe parlato di lui anche dopo. Lui il futuro l’aveva già deciso. E il Dortmund non poteva farci niente. Si dice che il suo trasferimento sia uno dei motivi per cui il club ha deciso di non fissare più clausole risolutorie nei contratti dei giocatori.

Götze PSGetty Images

Avrebbe vissuto momenti difficili, con la polizia fuori di casa per proteggere la sua famiglia. Suo fratello Felix, anche lui calciatore oggi del Kaiserslautern, a scuola veniva affrontato dai compagni.

Bayern, Guardiola, la squadra campione di tutto. Götze sapeva a cosa andava incontro. Tornando indietro, però, probabilmente rifarebbe quella scelta a livello tecnico. Perché grazie a Pep è arrivato al Mondiale del 2014 come un giocatore più completo. Nella prima stagione in Baviera ha viaggiato a una partecipazione ogni 95 minuti, tra goal (10) e assist (9). Ha giocato in tutto il fronte d’attacco, sia come centrale, sia come esterno, sia come trequartista. Guardiola sperimentava, Mario cresceva. E si adattava sempre di più a un tipo di calcio che anche Joachim Löw stava cercando di proporre.

Brasile, Mondiale 2014. Ha esordito da titolare. Ha segnato alla seconda partita. Ha giocato l’ottavo di finale con l’Algeria dal primo minuto. Messo un po’ da parte tra quarti e semifinale, l’1-7 lo ha vissuto dalla panchina. Inizia fuori anche la finalissima con l’Argentina. Entrato a due minuti dalla fine al posto di Miroslav Klose, semplicemente il re dei goal. Lo ha sostituito come meglio non poteva. Segnando il goal che quella finale la decide. Su assist di André Schürrle.

Mario Gotze World Cup final 12072014Getty

Un eroe nazionale. Il punto più alto della carriera di ogni calciatore, toccato a 22 anni. Dopo quattro stagioni da professionista in cui ha vissuto ogni emozione e ogni sentimento possibile. La gioia, l’amarezza, il dolore. Quando arrivi così in alto, puoi solo scendere. Il post Mondiale è stato l’inizio della fase calante. Al Bayern ha vissuto ancora una stagione da protagonista, ma con prestazioni generalmente meno brillanti, che avrebbero portato Guardiola a volere Coman e Douglas Costa per la stagione successiva.

Per Götze, l’inizio dei problemi. Un altro grave problema muscolare, uno stop di mesi. Un ambiente in cui ormai non si sentiva più a suo agio. E poi una telefonata arrivata da Dortmund, per riportarlo a casa. Farlo rinascere. A 24 anni, Mario sembrava aver già messo il meglio alle sue spalle. L’accoglienza traumatica della tifoseria, nell’anno dell’addio di Hummels e delle critiche, non aveva contribuito alla sua serenità. Aveva dovuto affrontare anche una miopatia metabolica, un grave disturbo del metabolismo che aveva messo in pericolo la sua carriera. Provocava debolezza muscolare e un aumento incontrollato del peso.

L’ha messa alle spalle. Ha vinto la battaglia. La stagione 2017/18 l’ha iniziata con ottimismo, ma non sarebbe andata benissimo. 4 goal e una decina di assist nelle (seconde) prime due stagioni di giallonero.

Poi Lucien Favre gli ha ridisegnato un nuovo ruolo, come attaccante centrale del 4-2-3-1. Sembrava avergli allungato la carriera, anche se lui si sarebbe visto più da mediano, da regista. Götze non era più dinamico come nei suo inizi, ma aveva tecnica e visione di gioco. Si alternava con un giocatore più di profondità come Paco Alcácer. Funzionava. Il Dortmund aveva toccato anche i 9 punti di vantaggio sul Bayern Monaco di Niko Kovac, che poi ha rimontato e vinto all’ultima giornata. Non era il solito Mario, ma almeno dava l’impressione di essere di nuovo un calciatore di ottimo livello.

Mario Gotze Borussia DortmundGetty

Idillio durato solo un anno, viste le persistenti esclusioni nella stagione 2019/20, conclusa con l’annuncio di un addio ormai scontato viste le richieste di ingaggio in relazione al rendimento. Per un anno però Götze aveva dato l’impressione di essere ancora in grado di offrire un contributo importante. Tanto che il suo nome era stato accostato a realtà di livello. Compreso il Bayern Monaco: si parlava addirittura di una telefonata di Hansi Flick, che nel 2014 era assistente di Löw quando Mariocanã faceva la storia.

Curioso, il destino. I due uomini decisivi del Mondiale l’estate scorsa non avevano più un contratto. Schürrle ha annunciato il ritiro, schiacciato da un ambiente complicato in cui vivere, in mezzo a pressioni che non si sentiva più di reggere. Nel 2020 Götze ha scelto di ripartire dall’Olanda, dal PSV Eindhoven, da un posto in cui poter giocare senza avere le pressioni e gli occhi addosso di tutto il mondo, come sarebbe stato in Premier League o in altri campionati.

Cercando di rinascere: la sua prima stagione racconta di 25 presenze e 6 reti (divise, queste, tra Eredivisie e Europa League). Lui, senza guardarsi indietro, continua a gettare basi importanti per un futuro completamente diverso: l'inizio della stagione 2021/22 lo spiega forte e chiaro, con la doppietta al secondo turno dei preliminari di Champions League contro il Galatasaray. Il computo totale sarà poi di 12 reti in 52 partite.

“Sono stato un Giuda. Poi un eroe. Poi una delusione, poi quasi fuori dal calcio. Tutto in quattro anni”.

Ha scelto la tranquillità. Quella che gli ha garantito il matrimonio con l’attuale moglie Ann-Kathrin, la nascita del figlio Rome. Sì, come Roma, la città che ha sempre amato senza mai nasconderlo. Che non è mai stata però una tappa calcistica.

Dopo due stagioni in Eredivisie, però, il destino gli ha nuovamente offerto la possibilità di ritornare su quel palcoscenico che per lui aveva rappresentato il grande trampolino. La Bundes, ovviamente.

Lo scorso 21 giugno, Mario ha firmato un triennale con l'Eintracht Francoforte, fresco vincitore dell'Europa League. Formazione con cui ha inanellato, sin qui, 2 goal e 7 assist in 30 apparizioni ufficiali.

Sulla sua strada, questa sera, ci sarà il Napoli di Luciano Spalletti. Scenario, l'andata degli ottavi di Champions League. Non una notte qualunque. Esattamente come quella del 13 luglio 2014 a Rio. Il punto più alto.

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