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Pep Guardiola Manchester CityGetty

L'esasperante esaltazione del 'guardiolismo': quando l'idea vince a prescindere

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Chi siamo noi per criticare Pep Guardiola? E come si può criticare un allenatore che ha cambiato la visione del calcio? Tutto giusto, tutto vero. E' praticamente impossibile dire qualcosa in contrario, quasi sacrilego per chiunque ami il pallone. Eppure, dopo la finale di Champions persa contro il Chelsea, si ha come l'impressione che il 'guardiolismo', come ideale, sia diventato più importante di Guardiola, come allenatore

Talmente perfetto, talmente innovativo e rivoluzionario, da non poter essere messo in discussione. E su questo, per carità, c'è poco da dire: Guardiola ha partorito un modo di vedere e pensare il calcio diverso da chiunque altro. Con il suo Barcellona ha fatto la storia, e non soltanto per i trofei vinti. Del resto stiamo parlando probabilmente della squadra più forte di sempre, come giocatori e come gioco

Merito di Guardiola, che ha reso Leo Messi una macchina perfetta, in un contorno ancor più perfetto costruito da Xavi, Iniesta, Busquets, Macherano, Puyol e Dani Alves. Lo chiameranno per sempre il Barcellona di Guardiola, quello con cui ha vinto due Champions, le prime e le uniche della sua carriera. La linea, però, è piuttosto sottile tra il fatto che sia stato Guardiola a plasmare il mito del Barcellona o quel Barcellona a creare il mito di Guardiola. 

Di sicuro il suo pensiero è rimasto ed è stato trapiantato anche dopo l'addio al Camp Nou. Nel 2013 il Bayern, fresco vincitore del triplete con Heynckes, si è affidato proprio a Pep per abbandonare quel tipo di calcio così maledettamente concreto, ma poco spettacolare e troppo tedesco. Vincere sì, ma con il bel gioco. Un pensiero diventato praticamente un'ossessione nel calcio moderno, dove vincere non basta più.

Pep Guardiola David Alaba FC Bayern MünchenGetty Images

L'idea principale era quella di mostrare un Bayern differente in campo europeo, non più il solito vecchio, noioso, antipatico e vincente Bayern. Il 'guardiolismo' come benzina per una rivoluzione che si è materializzata più nelle idee che nei fatti. Nella vita, come nel calcio, i fatti dovrebbero essere oggettivi, inopiinabili. Con Guardiola, tuttavia, i fatti sono diventati spesso soggettivi, così come i risultati.

Che Guardiola sia un vincente non ci sono dubbi. E' un fatto, oggettivo. Tuttavia sono le sue sconfitte ad essere diventate stranamente soggettive. Anche quelle più nette, come l'ultima finale di Champions col Chelsea. Guardiola ha perso, sì, ma ha comunque rivoluzionato ed innovato. Guardiola ha perso, sì, ma ha comunque osato e mostrato qualcosa che nessuno ha il coraggio di mostrare. Tutto vero, sicuramente pure oggettivo, ma dannatamente esasperante. 

Si dice che i giocatori o gli allenatori non si giudichino dalle proprie vittorie. Ma quest'ultimo è un concetto puramente soggettivo. Certe vittorie pesano meno di altre, certe sconfitte pesano più di altre, anche se si tratta della stessa identica situazione. Ma da cosa dipende esattamente? Forse dall''hype', quel termine inglese che ci piace tanto usare, o magari dall'estremizzazione di alcuni ideali che sempre più spesso vanno oltre quello che succede realmente sul campo. E' per questo motivo che una sconfitta di Guardiola è diversa dalla sconfitta di qualunque altro allenatore, giusto o sbagliato che sia.

Se andiamo a fare un'analisi meccanica, statistica e probabilmente assai impopolare degli ultimi anni della carriera di Guardiola, soffermandoci sulla Champions, ci rendiamo conto che se fosse stato un altro allenatore saremmo qui a parlare di fallimento. Tre volte eliminato in semifinale col Bayern e mai oltre ai quarti con il Manchester City, se escludiamo quest'anno. Sappiamo benissimo quanto la Champions possa essere influenzata da diversi fattori, come la fortuna o gli episodi, ma anche questi sono discorsi che non vengono fatti per tutti gli allenatori.

Ha sempre guidato top club, ha sempre avuto a disposizione budget spropositati, specialmente con il Manchester City, eppure negli ultimi 10 anni è arrivato in fondo soltanto una volta. Questa è l'analisi meccanica, statistica e impopolare, quella che non piace a nessuno. Eppure, se non ti chiami Guardiola, te la becchi in pieno. Perché magari non hai innovato, perché magari non hai un ideale rivoluzionario o perché magari non hai avuto il merito di dominare una Premier League giocando senza una vera punta.

Perché Guardiola può perdere, ma il 'guardiolismo vince a prescindere. L'ideale vince sempre. Un discorso che negli ultimi anni sembra si stia trasformando lentamente da valore aggiunto in attenuante, ed infine in scusa. Idealismo non deve diventare radicalismo o addirittura estremismo. Intuizione non deve diventare presunzione. Il 'guardiolismo' non è una rendita, ma un modo di interpretare il calcio. Va esaltato, ma non a prescindere. E va criticato, sì, va criticato. Perché le vittorie e le sconfitte sono uguali per tutti, anche per uno come Pep. 

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