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GFX Vangioni MilanGetty

Leonel Vangioni, dall’esordio con Maradona alla bocciatura di Montella: il carneade di Galliani

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Rimpianti tanti. Dubbi altrettanti. Leonel Vangioni è uno dei tanti acquisti del Milan, nell’epoca di Adriano Galliani, che da meteora ha solo sfiorato il mondo rossonero, finendo in un dimenticatoio nel quale terminano i tesserati meno apprezzati dalla tifoseria meneghina. Una parabola affidata a Vincenzo Montella, che gli diede un colpo di grazia tale da rispedirlo in America, senza eccessivi rimpianti da parte della dirigenza rossonera.

Eppure, Vangioni quando arrivò al Milan, preso a parametro zero, aveva un curriculum di tutto rispetto, a partire dall’esordio in Nazionale con Diego Armando Maradona come commissario tecnico dell’Argentina. Lo aveva portato con sé per la sfida con il Ghana del 30 settembre 2009, in un’amichevole che aveva permesso all’Albiceleste di scendere in campo con Martin Palermo e Gabriel Hauche in attacco. La Nazionale l’aveva assaporata solo altre due volte (nel 2012 e nel 2014) fino a una doppia convocazione durante il periodo al Milan che chiusero per sempre la sua esperienza con la maglia dell’Argentina. Perché Gerardo Martino in quel ruolo può affidarsi a Rojo e perché con Otamendi, Di Maria, Aguero e Messi, sembra che Vangioni non c’entri più così tanto.

Leonel Vangioni al Milan arriva con grandi speranze, con il sogno di imporsi in Italia, dopo esser stato strappato ai Millonarios del River Plate. Legato al territorio, alla famiglia, tanto da essere soprannominato “Piri”, nomignolo che gli viene affibbiato in onore di suo padre, che da giovane veniva chiamato “Pirincha”: arriva in Italia col sogno di poter un giorno tornare al suo paese, nella sua città, al Club Atletico Riberas de Paraná, dichiarando sin da subito che per lui la Serie A è di passaggio. Nulla di strano, nulla di clamoroso, perché tutti i sudamericani, chi più chi meno, prima o poi vogliono tornare nelle loro terre calde, ricordando quella saudade che colpiva più i brasiliani che gli argentini.

Il Piri arriva a Milano con un nuovo tatuaggio direttamente sul polpaccio destro: il 25 agosto 2015, infatti, dopo aver vinto la Copa Libertadores, se la fa tatuare sulla pelle, la fa diventare parte di sé. Alza quella coppa con il River Plate e non vuole separarsene più, così come non avrebbe voluto separarsi da lui Rodolfo D’Onofrio, il presidente dei Millonarios, che però alla fine cede. Vangioni quindi arriva alla corte di Vincenzo Montella per offrire un’alternativa importante nel ruolo di terzino sinistro. Il tecnico napoletano, però, non è dello stesso avviso, rifiutando quasi l’imposizione che arriva dal tandem, all’epoca dirigenziale, formato da Galliani e Rocco Maiorino. Uomo ombra, ma direttore sportivo del Milan, il dirigente che negli anni successivi ha legato il suo nome al Las Palmas si preoccupa di siglare l’accordo con Vangioni, che sogna l’Europa e arriva per dare una svolta alla propria carriera, fare un passo in avanti: il Milan, per lui, è perfetto.

L’affare è in pieno stile Galliani: a sei mesi dalla scadenza del suo contratto, il terzino sinistro argentino è libero di accordarsi con un’altra squadra e il Milan ne approfitta. Lo porta in Italia a parametro zero e gli affida la maglia numero 21. Prima di debuttare, però, passa mezza stagione. Montella gli preferisce prima Antonini, poi De Sciglio. Poi quest’ultimo, nel secondo semestre di campionato, si infortuna e Montella è costretto, il 16 gennaio 2017, a mandare in campo l’argentino, che nel frattempo nel mercato invernale non viene ceduto. Subentra a Calabria nei minuti finali della gara pareggiata per 2-2 con il Torino e da lì spera di poter trovare la continuità desiderata in Europa.

Leonel Vangioni Milan@acmilan

Al Milan nel 2017 arriva Lucas Ocampos, c’è Suso, ci sono anche Gabriel Paletta, José Mauri, Carlos Bacca, Mati Fernandez e José Sosa: è una squadra con dei nomi che un tempo si sarebbe fatta difficoltà ad accostare alla proprietà Berlusconi e alla gestione Galliani, ma la rifondazione di una squadra che guarda da diversi anni la classifica non dal primo posto, saldamente nelle mani della Juventus in quelle stagioni, passa anche da Leonel Vangioni. L’argentino dopo il debutto col Torino riesce a scendere in campo da titolare per cinque partite di fila, giocando per l’intera durata della gara: febbraio e marzo sono i suoi mesi, concedendosi uno stop soltanto per una gara, quella con la Juventus capolista del 10 marzo 2017, persa 2-1 dai rossoneri. È l’unica sconfitta di quei due mesi, perché oltre ai pareggi con Lazio e Pescara, poi Montella le vince tutte e lo fa con Vangioni titolare.

Il Milan, però, trova la sua dimensione nel settimo posto e nonostante le vittorie non riesce a scalare la classifica: Vangioni continua a ritagliarsi spazio fino alla fine del campionato, cedendo qualche minuto a De Sciglio e a Ocampos, col quale spesso fa staffetta: oltre alle 15 presenze in Serie A, però, non riesce ad andare. Anzi, prima del suo debutto a gennaio, Montella lo nasconde in tribuna per la gara di Supercoppa Italiana contro la Juventus, compromettendo un morale già di per sé molto sotto le scarpe. Gioca poco, lo spazio diminuisce e in estate perde tutti i suoi possibili estimatori. Galliani e Maiorino cedono il passo alla nuova proprietà, alla nuova dirigenza formata da Mirabelli e Fassone: subentra la gestione delle cose formali, delle operazioni che vogliono rifondare il Milan per riportarlo a essere grande e fulgido. Uno sperpero di denaro che non guarda in faccia a nessuno, nemmeno a chi è arrivato gratis un’estate prima come proprio Vangioni, che subito viene scaricato.Il suo cartellino viene ceduto per 2 milioni di euro al Monterrey, in Messico, dove firma un contratto triennale: al suo posto, alla corte di Milanello, arriva Ricardo Rodriguez.

Appena un anno per capire che l’Europa non fa per lui e il ritorno in America gli permette di assaporare, con i tacchetti, un terreno diverso. Il Monterrey gioca la Concacaf Champions League, che tra l’altro gioca e nel 2019 vince anche: per la quarta volta nella propria storia, i Rayados sono la miglior squadra del Nord America e si guadagnano l’accesso al Mondiale per Club in Qatar. Leonel Vangioni si ritrova dinanzi all’Al-Sadd e lui, che negli anni si è trasformato in un esterno moderno e cavalca sulla fascia sinistra come fanno adesso i quinti di centrocampo, apre le marcature di quel 3-2 che spinge i messicani in semifinale contro il Liverpool. Contro i Reds di Jurgen Klopp, reduci dalla vittoria della Champions League, Vangioni ha l’occasione di riassaporare quell’Europa che non ha potuto dominare come fatto in Sud America: Antonio Mohamed, tecnico del Monterrey, lo schiera nella sua difesa a cinque in una formazione catenacciara che punta a ostracizzare il tridente Shaqiri-Origi-Salah. A nulla serve, però, il gol di Funes Mori (gemello del ben più famoso difensore del Villarreal) dinanzi a Keita e Firmino, che al 90’ chiude la pratica e va a vincere il Mondiale per Club con il Flamengo ai tempi supplementari.

Per Vangioni è l’atto conclusivo di un triennio al Monterrey che gli permette di riassaporare i campi internazionali, ma che al termine della stagione lo spinge lontano dal Messico, con un contratto scaduto e non rinnovato, nel pieno della pandemia legata al coronavirus. Il 19 ottobre 2020 si aggrega al Libertad nella prima divisione del Paraguay, nella città di Asuncion, alla scoperta di un nuovo campionato, di una nuova realtà. La squadra è la terza miglior società dello stato, i Gumarelos hanno vinto 20 titoli nazionali e inseguono i record di Olimpia (45) e Cerro Porteno (33).

Nel 2022, infine, il ritorno a casa. Non al River Plate, ma al Newell's Old Boys. Lì dove, in sostanza, tutto è cominciato. I colori sono il rosso e il nero, gli stessi del Milan. Una sorta di nostalgia al contrario.

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