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Leandro DamiaoGetty/GOAL

Leandro Damião, il re della lambreta: dalla corte di Napoli e Milan all'anonimato

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Immaginate di avere a disposizione una macchina del tempo, di montarci su, di tornare indietro di qualche anno. Non troppi, appena una decina. Scegliete il Brasile come destinazione e andate a riguardarvi un paio di chicche degli opinionisti locali. Scoprirete che “Paulo Henrique Ganso è più forte di Neymar”, ma anche che “Leandro Damião è il 9 del futuro della Seleção”. Due previsioni clamorosamente fallite, per un motivo o per un altro. Con la seconda di nuovo di moda, oggi che l'ex centravanti prodigio del calcio sudamericano compie 33 anni.

In questo immaginario viaggio nel tempo, Damião pare davvero poter ripercorrere orme particolarmente illustri. Come quella di Careca, uno dei suoi predecessori con la maglia del Brasile ma soprattutto con quella del Napoli, dove il destino sembra portarlo nel 2013. Ha tutto: tecnica di base, stazza, colpo di testa, capacità in acrobazia. Poi, d'incanto, si torna nel 2023. E si scopre che Damião gioca in Giappone con il Kawasaki Frontale, dopo aver assaggiato il calcio europeo appena per una (dimenticata) manciata di partite.

È proprio in quel fatidico 2010 che il mondo inizia a sentire parlare di Damião. Che a 21 anni appena compiuti è una seconda scelta nell'attacco dell'Internacional, ma che non ha nessun timore a entrare a gara in corso in una finale di ritorno di Copa Libertadores, contro i messicani dei Chivas di Guadalajara, e a contribuire al trionfo con una rete magnifica: drible de vaca sul diretto avversario, ovvero palla da una parte e giocatore dall'altra, fuga verso il portiere e destro vincente.

La stella di Damigol nasce proprio in quella sera di agosto. Il ventunenne di origini paranaensi qualche rete l'aveva già realizzata, ma solo nel Gauchão, lo Statale del Rio Grande do Norte, e non è la stessa cosa. Dopo la prodezza coi Chivas, puntare i riflettori su di lui diviene naturale e scontato. L'Europa inizia a notarlo, un anno più tardi Mano Menezes lo chiama nel Brasile e insomma, tutto sembra andare per il verso giusto.

2018-12-14 Leandro DamiaoGetty Images

A renderlo celebre è poi un gesto tecnico che in pochissimi hanno il coraggio di effettuare in una partita vera: la lambreta. Ovvero l'atto di alzare il pallone con entrambi i piedi dietro la schiena, sopra la testa, mentre si scatta in avanti per superare l'avversario diretto. Per Damião diventa una sorta di ossessione, tanto da provarlo con successo anche in un'amichevole contro l'Argentina del settembre 2011: umiliato il terzino Papa, con successiva palombella contro il palo. Ancor oggi tutti si ricordano per questo di quel Superclásico de las Américas, finito 0-0. Senza esagerazioni: sarebbe stato uno dei goal più belli degli ultimi 10 anni.

Anche in Italia ci accorgiamo di lui, tanto che a un certo punto l'arrivo di Damião nel nostro campionato sembra davvero essere solo questione di tempo. A puntarci con maggiore convinzione nel 2013 è il Napoli, ma l'affare non si fa mai. Gli azzurri ripiegano così su un'operazione extralusso: Gonzalo Higuain dal Real Madrid. Tra Fiorentina e Juventus, nomi buttati lì senza troppa convinzione, l'approccio vero è quello del Milan, che nel 2014 ci prova concretamente trovando però un muro proprio nel diretto interessato.

"Sono stato io a voler restare al Santos. Molte squadre europee mi hanno presentato delle offerte e mi hanno cercato: tra queste l'offerta del Milan era veramente molto allettante. Ripeto, sono felice al Santos e sono contento di essere rimasto".

Nessun problema, pensa Damião. Gli anni sono appena 25, il tempo per approdare in Europa c'è tutto. E invece, nonostante un'offerta ufficiale del Marsiglia fatta partire a fine agosto 2015 e svelata da Football Leaks, le porte si chiudono. Si riaprono parzialmente solo qualche mese dopo, nel 2016, quando il Betis lo ottiene in prestito dal Santos tentando di annaffiare un fiore già parzialmente appassito. Sei mesi in tutto a Siviglia, tre spezzoni di partita, nessun goal. Un disastro totale che, a fine stagione, si conclude con l'inevitabile ritorno alla base.

Il flop spagnolo va ad inserirsi in un contesto che fa a pugni con i fulminanti esordi. Damião va in doppia cifra nel Brasileirão del 2011, ma riuscirà a ripetersi solo 7 anni più tardi, ancora con la maglia dell'Internacional. Nel mezzo arriva al massimo a 7 (2012, sempre a Porto Alegre). Anonimo al Santos, anonimo al Cruzeiro reduce da due campionati vinti di fila, anonimo al Flamengo, dove deve fare i conti con la concorrenza di Guerrero, poi ritrovato all'Inter. Poche reti, poco da ricordare. Rimane, insomma, un buon attaccante da standard brasiliani. Uno che pare sempre essere lì lì per esplodere, gode di buona stampa e ottima reputazione, ma non compie mai il salto di livello.

2018_12_14_Leandro_Damiao(C)Getty Images

Certo, pure lui ci mette del suo con qualche episodio imbarazzante. Come la celeberrima auto-trattenuta in una partita persa contro il Criciúma nell'ottobre del 2014: Damião si porta una mano verso la schiena e tira la propria maglietta nella speranza (vana) di ingannare l'arbitro ed indurlo ad assegnare un rigore al Santos. L'unico risultato che ottiene sono le prese in giro dei tifosi avversari, la disperazione di quelli del Peixe e pure una denuncia, conclusa poi senza che gli venga comminata alcuna squalifica.

Così, colui che doveva guidare il Brasile agli attesissimi Mondiali casalinghi del 2014 diventa lentamente, quanto inesorabilmente, un attaccante qualunque. Segna 6 goal alle Olimpiadi londinesi del 2012, chiuse col ko in finale contro il Messico di Giovani dos Santos, ma è il suo unico vero sussulto con la maglia verde-amarela. Dunga lo inserisce nella lista dei preconvocati per la Copa America di tre anni più tardi, ma non lo porta in Cile. 3 reti in 15 presenze, tutte in amichevole: questo recitano i suoi scarni tabellini in Nazionale.

A 34 anni, mentre la carriera scorre verso le ultime curve, Damião si guarda alle spalle e scopre, suo malgrado, di essere il perfetto simbolo della promessa non mantenuta, del fiore mai completamente sbocciato, del campione potenziale e mai reale. Con l'Internacional, dov'è tornato nel 2017 con la squadra precipitata in Serie B, ha superato il muro dei 100 goal (sono 106). Ha vinto da protagonista una Libertadores, ha giocato in Nazionale. Ma non ha mai varcato la soglia che separa il giocatore qualunque dal craque.

Il presente di Leandro Damião si chiama Kawasaki Frontale: ci gioca dal 2019, anno in cui si è preso il lusso di segnare addirittura al Chelsea, battuto per 1-0 in un'amichevole precampionato. Un guizzo vincente, un colpo di testa ravvicinato da attaccante vero dopo aver già colpito una traversa, per ricordare al mondo la propria esistenza. Lui che un tempo pareva poter stringerlo nelle proprie mani, il mondo.

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