Mateo Kovacic sa bene cosa significhi alzare una Champions League. Non tutti se lo ricordano, ma quand'era al Real Madrid lo ha fatto per tre volte. Con un piccolo particolare: nelle finali vinte non è mai sceso in campo. E ora che si avvicina la grande sfida di Oporto contro il Manchester City, il centrocampista del Chelsea confessa in un'intervista esclusiva a Goal la propria emozione.
"Se per me vincere avrebbe un significato superiore? Sì, certo. Anche se questo è uno sport di squadra. Siamo 25 giocatori e ognuno fa la propria parte. È stato fantastico far parte di quel Real Madrid, vincendo tre titoli di fila, ma anche deludente non aver giocato nemmeno un minuto in finale. Pensavo di meritare di giocare, perché ho dato molto a quella squadra. Molti giocatori avevano una possibilità, io no. Ma questo è il calcio. È la vita. Si impara anche dalle delusioni. Ora voglio dimostrare che posso farcela di nuovo".
Fuori dal campo, Kovacic è una persona impegnata nel sociale: in Croazia è molto sensibile al tema dei bambini con la sindrome di Down attraverso la sua Fondazione Mateo Kovacic.
"Da bambino dicevo a mio padre che, se fossi diventato un calciatore, mi sarebbe piaciuto aiutare altre persone. Quando perdevo una partita mi arrabbiavo, ma i miei genitori dicevano: 'Guarda le altre persone: non hanno una casa o non stanno bene'. Ho sempre capito che ero fortunato a essere in salute e a fare il miglior lavoro del mondo. È incredibile la vita che conduciamo, quindi condividere e aiutare altre persone fa star bene, è piacevole.
Facile, dunque, identificare Kovacic come un calciatore lontano dai più classici stereotipi. Ed è una sensazione confermata anche dalla ritrosia dell'ex nerazzurro ai social network.Se posso essere d'aiuto, voglio essere presente. So che non posso aiutare tutti, ma farlo anche con una o due persone va bene. Ci sono situazioni difficili ovunque nel mondo, ma io cerco di fare il meglio per il mio paese. Le basi non sono grandi, ma stiamo crescendo. Di solito non mi piace parlarne e non leggo i giornali. Lo faccio principalmente per me stesso e per le persone a me vicine. Ma voglio che le persone sappiano della mia fondazione e che possano dare una mano. Voglio che cresca, magari che si espanda fuori dalla Croazia".
"Mio padre mi diceva: 'Non parlare mai di te stesso, lascia che gli altri parlino di te quando fai del tuo meglio'. Io voglio solo essere me stesso e fare del mio meglio dentro e fuori dal campo. I media scrivono molto e i social sono molto importanti. A volte cerco di postare qualcosa e le persone mi chiedono di farlo di più. Per me è strano".
Chiusura con il Chelsea, dove Kovacic è arrivato nell'estate del 2018. Inizialmente in prestito e poi a titolo definitivo.
"Sono arrivato a un'età in cui mi sento forte. È sempre meglio giocare e far bene, e i risultati negli ultimi tre o quattro mesi sono stati buoni. Dal primo giorno, qui mi sono sentito benissimo. È importante che la mia famiglia si senta felice, e ci sentiamo tutti davvero bene qui".




