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José Mari, dal flop al Milan alla trasformazione in smisurato bodybuilder

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Da smilzo e longilineo attaccante che faceva della mobilità il suo punto di forza, e che detestava i difensori dal gioco troppo fisico, a smisurato bodybuilder tutto muscoli da oltre 100 chilogrammi di peso. Il protagonista di una delle trasformazioni più incredibili che si ricordi con protagonista un atleta è lo spagnolo José Mari, che nella sua carriera ha giocato anche in Italia con la maglia del Milan.

Il giocatore, che sembrava destinato ad avere una carriera di primissimo livello, proprio nell'esperienza italiana con i colori rossoneri denoterà invece i suoi grandi limiti sotto rete, finendo per essere ridimensionato. Qualcuno lo etichetterà addirittura, ingenerosamente, come 'bidone'. 

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Più semplicemente da lì in avanti avrà una carriera modesta, segnando sempre poco ma ottenendo risultati importanti con il Villarreal in Europa. Prima di scendere nelle categorie minori e cambiare radicalmente il proprio corpo una volta ritiratosi.

GLI ESORDI E IL DEBUTTO NELLA LIGA

Nato a Siviglia il 10 dicembre 1978, José María Romero Poyón, per tutti semplicemente José Mari, è il più piccolo di 4 figli e sviluppa fin da bambino la passione per il calcio.

"Sono nato e cresciuto nella zona sud di Siviglia, nel quartiere Filippo II, abitato da operai e impiegati. - racconta a 'La Gazzetta dello Sport' - Mio padre Roque e mia mamma Rosario hanno lavorato tutti e due al Comune. Ho tre fratelli, Emilio, Jesus e Roque. In famiglia, chi ha fatto sul serio nel calcio è Jesus, arrivato sino alla Terza serie. La passione me l'hanno trasmessa un po' tutti, anche se, essendo molto più giovane di loro, sono stato quasi un figlio unico. Nelle partite a casa, che macello facevamo in quattro, mamma diventava matta. Da bambini, avevamo tanti campi per noi: alla fine, giocare non era una scelta, ma veniva spontaneo".

La sua carriera da calciatore inizia nella piccola società del San Juán de Avila, poi la chiamata del Siviglia e il grande balzo.

"La mia prima squadra è stata il San Juan de Avila, che ora non esiste nemmeno più: era povera, tanto che adesso non c'è più nemmeno il campo dove giocavamo, e al suo posto ci sono soltanto palazzi. A 11 anni ho ricevuto la chiamata del Siviglia, che storicamente è la prima squadra della città". 

Nel 1989 José Mari inizia la lunga trafila nel settore giovanile del club andaluso e viene cambiato di ruolo.

"Ho cominciato come centrocampista centrale, alla Albertini. Mi piazzavo, per così dire, davanti alla difesa, mi divertivo un sacco. Appena sono passato al Siviglia, non mi hanno nemmeno dato il tempo di scegliere: 'Tu vai in attacco', hanno sentenziato dopo avere visto la statura. Io comunque mi sentivo più mezza punta, segnavo tanto. Ho sempre sfruttato la corsa, una dote naturale. È una qualità strana per un andaluso: dalle mie parti, il calciatore tipo è portato al bel numero, magari è un po' pigro e indolente. Per noi non è un cliché riservato al calcio, ma abbraccia tutti gli aspetti della vita: in Italia capita così con i napoletani".

"Il clima è caldissimo, non puoi lavorare bene con 40, a volte 45-46 gradi, il ritmo è per forza diverso. L'andaluso prende la vita con filosofia, cerca sempre il lato positivo. Da noi c'è gente felice, che lavora per vivere e quando guadagna il giusto si accontenta. Certo, se uno è ambizioso, si comporta diversamente. A Siviglia ci sono pochi ricchi, per il resto tutti stanno abbastanza bene: nessuno si preoccupa di quanto guadagna l'altro, c'è poca invidia. Ecco perché l'atmosfera è più distesa, più serena".

Dopo aver militato per un anno con la Squadra B del Siviglia, il talento di José Mari lo porta in Prima squadra nella stagione 1996/97.

"Il primo passo da professionista è stato a 16 anni, nel 1994, il contratto con la seconda squadra del Siviglia, che giocava in Terza divisione. L' allenatore era Julian Rubio, ora in panchina a Elche. Chi mi ha fatto esordire nella prima squadra nella Liga è stato Juan Antonio Camacho, nel febbraio 1997, allo stadio Sánchez Pizjuán. Devo riconoscere però che il merito della mia crescita è stato di Rubio, il mio papà calcistico: dopo che mi ha inserito in Prima squadra, non mi ha più tolto. Ricordo che nel debutto con lui stavamo battendo 2-0 la Real Sociedad in casa. Sono uscito io, purtroppo è finita 3-2 per loro...".

Jose Mari Atletico Madrid Real Sociedad La Liga 20998Getty Images

L'ESPLOSIONE CON SACCHI ALL'ATLETICO MADRID

José Mari, in pochi mesi, segna nella Liga 7 reti in 21 presenze, numeri che gli fanno guadagnare la convocazione nella Spagna Under 18 e gli permettono l'anno seguente di trasferirsi nella capitale con l'Atletico Madrid. 

"A 18 anni sono andato via da casa, - racconta - sono passato all'Atletico Madrid. All'inizio vivevo da solo, troppo solo. I miei lo hanno intuito, erano vicini alla pensione, mi hanno raggiunto a Madrid. Io e Vieri abbiamo giocato insieme lo stesso anno, nel 1997-98. Mi aspettavo che prima o poi esplodesse, è stato frenato soltanto da problemi muscolari. Bobo è un ragazzo un po' a modo suo, ma simpatico: ci sentivamo e uscivamo insieme in Spagna. L'allenatore era Radomir Antic. Eravamo tutti attaccanti: io a destra, Lardin a sinistra, Vieri più avanti, e poi ancora Juninho e Kiko. La squadra era divertente, la difesa no".

Nel suo primo anno con i Colchoneros il giocatore andaluso segna 8 goal, bissati dai 9 nell'anno seguente, quando è allenato anche da Arrigo Sacchi, che lo utilizza da prima punta. I tifosi lo soprannominano 'El Picador', perché come colui che indebolisce i tori per matarli, José Mari indebolisce le difese avversarie con il suo dinamismo.

"Sono cresciuto tanto nell' Atletico. Ero ancora un bambino quando mi sono trasferito nella grande città: all'inizio Madrid non mi piaceva, per me era dispersiva, abituato come ero a Siviglia. Mi sono ritrovato uomo, in mezzo a grandi compagni come, per esempio, Kiko e Valeron". 

IL PASSAGGIO AL MILAN: POCHI GOAL E RIDIMENSIONAMENTO

Nel mese di dicembre del 1999 il nome dell'attaccante è sul taccuino di diversi grandi club europei. In Italia la prima a muoversi per lui è stata la Roma, ma alla fine, dopo 84 presenze e 19 goal con l'Atletico Madrid, si concretizza per lui il passaggio al Milan. 

"Perché il Milan, e non la Roma? In Spagna il Milan è sempre stato considerato il massimo", dichiara a 'La Gazzetta dello Sport', motivando la sua scelta.

E a 'La Repubblica' aggiunge: "Arrivo in un club grande e prestigioso, Sacchi me ne ha parlato sempre bene e ha avuto un ruolo importante nella mia decisione. È una persona che stimo molto e spero di poterlo frequentare nel mio soggiorno milanese".

Il tecnico di Fusignano, del resto, aveva dato di lui ottime referenze al club rossonero, definendolo "un attaccante moderno e interessantissimo". E il Milan aveva ascoltato il consiglio del suo ex allenatore, mettendo sul piatto 38 miliardi di Lire per strapparlo all'Atletico Madrid di Jesus Gil e alla concorrenza del club giallorosso, con il presidente Sensi fermatosi a 35.

"Su di lui ho ricevuto solo informazioni positive, - afferma convinto Zaccheroni ai microfoni di 'La Repubblica' - e siccome sono ottimista, sono convinto che qui farà ancora meglio che a Madrid".

Alla prova dei fatti, però, la cifra spesa si rivela ingiustificata. Lo spagnolo debutta in Serie A il 6 gennaio del 2000 da subentrante al posto di Shevchenko e tre giorni più tardi un suo goal suggella il pareggio a San Siro contro la Roma. Ma è il quarto attaccante in una rosa in cui Zaccheroni può disporre già, oltre a Sheva, di Bierhoff e Weah. 

"Ero entusiasta, ero partito bene. - racconta a 'La Gazzetta dello Sport' - dopo due settimane ho sofferto di una roba strana, l'ernia inguinale dello sportivo. Saranno stati i campi ghiacciati, il cambio di lavoro... Non avevo mai avuto nessuno di quei problemi, invece sentivo come un coltello nel muscolo. Il brutto è che non sai mai quando ti passa, al contrario degli infortuni al ginocchio". 

Quando nel corso di gennaio però l'avventura al Milan di Weah finisce, il giocatore andaluso crede di poter trovare più spazio. Invece il tecnico romagnolo gli preferirà un trequartista, Boban o Leonardo, e lo relega di frequente in panchina. La rete ai giallorossi resta l'unica della sua prima mezza stagione a fronte di 17 presenze (15 in campionato, 2 in Coppa Italia).

Jose Mari MilanGetty

Nell'estate del 2000 è protagonista con la Spagna olimpica alle Olimpiadi di Sidney, in cui con i suoi compagni conquista la medaglia d'argento. Nella gara contro l'Italia, valida per i quarti di finale, è molto nervoso e colpisce con una gomitata il difensore azzurro Cirillo in pieno volto. Per l'italiano, che è costretto a tornare a casa, naso rotto e sanguinante. Ne nasce un caso, perché lo spagnolo non sembra pentito del folle gesto.

"Non sono pentito - dice a caldo a 'La Repubblica' - nel senso che non l'ho fatto apposta, ci mancherebbe altro. Sono dispiaciuto, questo sì. Non è vero, io sono andato subito a scusarmi. Forse lui non se n'è accorto, perché era a terra. Sono i suoi compagni che non le hanno accettate. Non è vero che l'ho fatto apposta. Io non ho mai fatto male a nessuno. Sono un irruente, ma non cattivo".

Si aspettano scuse pubbliche, ma queste non arrivano.

"Da quel giorno non l’ho più visto, - assicura il difensore dell'Inter prima del derby - ma ormai è un episodio dimenticato".

"io le prendo e le do, - precisa José Mari - ma fuori dal campo finisce lì. Si è discusso tanto perché abbiamo vinto noi. Comunque non ricordo cose cattive su di me: ognuno dica ciò che vuole, l' importante è che mi rispetti".

La seconda stagione in rossonero, il 2000/01, non cambia di molto. In panchina dopo l'esonero di Zaccheroni, approdano Tassotti e Cesare Maldini. José Mari in campionato va a segno soltanto con il Lecce alla 10ª giornata e con il Brescia alla 33ª. Decisamente migliore è il suo rendimento in Europa, con ben 4 reti contro Barcellona, Besiktas, Galatasaray e PSG, ma il Milan è eliminato nella seconda fase. Il 25 aprile 2001 fa anche il suo esordio in Nazionale maggiore, dove il suo apporto si limiterà tuttavia a 4 presenze e un goal.

Il suo triennio al Milan si chiude con il 2001/02, ma nemmeno questo sarà un anno fortunato. Dopo lunghi problemi fisici e l'ostracismo di Terim, che lo costringono a saltare la prima parte di stagione, con l'arrivo di Ancelotti gioca 24 partite e va in rete 5 volte, eppure in campionato le sue presenze sono soltanto 16 con 2 marcature. Per lui, dopo 75 presenze e 14 goal complessivi in 2 anni e mezzo, le porte di Milanello si chiudono per sempre.

"Il 2001 per me è stato peggiore, con il crack a settembre. - sostiene lo spagnolo - Però ha fatto tutto ciò che mi hanno detto i medici, per fortuna non ho mai avuto dolore. Con Ancelotti mi son trovato bene, purtroppo con Terim ho lavorato poco, non mi ha potuto vedere". 

IL FINALE DI CARRIERA

I tifosi rossoneri salutano José Mari, senza troppi rimpianti, nell'estate del 2002. L'attaccante si accasa al Villarreal, che per tesserarlo spende 9 milioni di euro, risolve i suoi problem fisici e lentamente torna su buoni standard di rendimento. Con il Sottomarino giallo conquista due Coppe Intertoto nel 2003 e nel 2004, ma la sua miglior stagione è il 2005/06.

José Mari, infatti, con un goal da ex milanista segnato a San Siro all'Inter di Mancini nell'andata dei quarti di finale di Champions, porta gli spagnoli in semifinale. Concluso il suo ciclo al Villarreal, torna a Siviglia ma per giocare una stagione con il Betis, prima di scendere di categoria con il Gimnástic di Tarragona e lo Xerex, ritirandosi nel 2013 all'età di 34 anni.

LA TRASFORMAZIONE

Appesi gli scarpini al chiodo, José Mari cambia totalmente vita, e inizia una clamorosa trasformazione. Se quando giocava a fronte di un'altezza di un metro e 85 centimetri, pesava soltanto 74 chilogrammi e portava i capelli lunghi, oggi ha il corpo ricoperto di tatuaggi, i muscoli ben scolpiti e i capelli corti, e pesa un centinaio di chili.

"Quando ho lasciato il calcio, in tre mesi di vacanza ho preso otto chili. E non volevo ingrassare. Così ho cominciato ad andare in palestra, - ha spiegato a 'Marcador', trasmissione di 'Radio Marca' - è diventata un’abitudine e ora è parte della mia vita. Mi fa bene, non solo al corpo ma anche alla testa. Mi aiuta". 

Dimenticatevi per sempre gli scatti e la corsa con cui da calciatore avevano stregato Arrigo Sacchi. Al suo posto c'è un culturista che ha voltato pagina con il suo passato.

"Non corro più, neanche quando perdo l’autobus. - assicura - Con il peso che ho, 100 chili, se dovessi correre mi farebbero male i tendini".

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