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Batistuta Boca River gfxGOAL

Il Superclásico di Batistuta: quando passò dal River Plate al Boca Juniors

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Coloro che l'hanno fatto si possono contare sulle dita di una mano. È una schiera di temerari del pallone, di personaggi dalla scorza dura. Gente che sa che cosa sia la pressione, ma ha le spalle abbastanza larghe per sopportarla. Perché passare dal River Plate al Boca Juniors – e viceversa, naturalmente – non è uno scherzo. È come lanciarsi nel fuoco, gettarsi da un aereo senza paracadute, nuotare controcorrente in un fiume in piena. Chi ha avuto gli attributi per farlo, in fondo, è entrato in un piccolo mondo di eletti.

Gabriel Omar Batistuta, quando decide di lasciare il River Plate per il Boca Juniors, porta già sulla testa quella criniera che ne caratterizzerà tutta la carriera. Ma non è ancora il Re Leone. Non è ancora un calciatore fatto e finito. Solo una promessa di 21 anni del calcio argentino. Eppure, nel 1990, anche lui entra a far parte del ristrettissimo novero di coloro che hanno indossato entrambe le camisetas. Come essere contemporaneamente dalla parte del bene e del male. Solo che qui non c'è un bene e un male. Appena una visione diametralmente opposta delle cose.

Che il Boca sia nel destino di Batistuta, del resto, può essere facilmente intuibile sin dai suoi primi anni di vita. Gabriel, da piccolo, è un tifoso xeneize. Come ammesso dal futuro centravanti della Fiorentina nella propria autobiografia, il pallone comincia a entrare nella sua vita quando un amico gli regala un poster di Diego Armando Maradona. Che non ha addosso la maglia dell'Argentina o del Napoli: ha quella giallo e blu degli Xeneizes.

Non potrei mai allenare il River – ha detto nel 2017 a 'Fox Sports' – Sono stato un professionista quando ci ho giocato. Ero giovane, avevo meno storia e meno anni. Ora ho 48 anni e tutti sanno che sono del Boca. Al River sarebbe difficile lavorare”.

Eppure, nell'estate del 1990, Batistuta è un giocatore del River Plate. È lì da un anno e sta faticando parecchio. Quando il Millo lo ha preso dal Newell's, che a sua volta lo aveva portato a Rosario su segnalazione di Jorge Griffa, il re degli osservatori argentini, non tutti sono rimasti convinti dalle sue qualità. Qualche anno prima il Bati era leggermente sovrappeso. Gordo, lo chiamavano. I chili di troppo sono scomparsi, quel senso di diffidenza no. Di una persona in particolare: Daniel Passarella, il Kaiser.

Da qualche mese è lui l'allenatore di quel River. Ha preso il posto di Reinaldo Merlo, il celebre Mostaza, soprannominato così per via di quei particolari capelli color mostarda. A Merlo, a dire il vero, Batistuta piaceva. Nella prima parte del 1989/90, l'unico anno dell'attaccante nella Baires bianca e rossa, lo ha fatto giocare 18 volte su 19 giornate. Poi, però, a dicembre ci sono state le elezioni per il nuovo presidente. Ovvero Alfredo Davicce. Che ha optato per il cambio nel bel mezzo della stagione: via Mostaza e dentro il giovane Passarella, che proprio col River aveva chiuso la propria carriera di calciatore qualche mese prima.

L'arrivo del Kaiser è la svolta per Batistuta. In negativo, però. Il giovane attaccante viene relegato ai margini. Gioca pochissimo, a volte non viene neppure portato in panchina. E inizia concretamente a pensare di cambiare aria. Tanto più che il River non detiene interamente il suo cartellino: il 50% è del club e l'altro 50% di Settimio Aloisio, il procuratore che qualche mese prima ha iniziato a farsi carico del giocatore. Nemmeno la conquista del campionato, con Passarella portato in trionfo e Batistuta immugugnito a osservare, muta uno scenario che propende sempre più per la separazione.

A farsi avanti per primo è il suo vecchio Newell's Old Boys. In panchina c'è il trentacinquenne Marcelo Bielsa. Ha iniziato ad allenare da pochissimo, non ha che 35 anni. E vorrebbe contare su Batistuta nella propria rosa. L'operazione sembra una formalità. Qualche anno più tardi, il 'Gráfico' riporterà un dialogo avvenuto al Monumental tra Passarella e Aloisio, con tanto di stretta di mano finale a suggellare un ritorno ben visto da tutti.

“Tano, non mi starai cambiando le carte in tavola, no? Lo porti al Newell's e non in un'altra squadra, siamo d'accordo?”.
“Ma no Daniel! Puoi stare tranquillo. Il Loco Bielsa vuole Bati a tutti i costi, ci offrono parecchi soldi. Andiamo a Rosario, è tutto pronto per la firma”.

In realtà non è così. E la richiesta di rassicurazioni di Passarella, che evidentemente avverte puzza di bruciato, è la conferma che sotto c'è ben altro. Perché nel frattempo anche il Boca Juniors si è fatto sotto. Ha intravisto delle potenzialità in quel ragazzotto e intende portare a termine lo sgarbo al River. Anche se la sua stagione precedente non è andata secondo le aspettative. Anche se a volte appare grezzo, tecnicamente inadeguato, parente ben lontano di quel fuoriclasse che diventerà negli anni a venire.

Batistuta, alla fine, risolve il contratto col River Plate. E sceglie il Boca, il suo amore d'infanzia. Dal Monumental alla Bombonera il passo è breve e al contempo lunghissimo. Ma la decisione è presa. Al Newell's non la prendono bene, primo tra tutti Bielsa. E non la prende bene nemmeno Passarella, per nulla entusiasta all'idea che Bati possa esplodere in casa rivale: un'eventualità che farebbe del Kaiser il responsabile del disastro sportivo.

“Del River mi restano ricordi belli e brutti – dice Batistuta appena arrivato al Boca – Quelli belli riguardano la prima parte del campionato, con Merlo in panchina. Giocavo bene, ho segnato la rete decisiva per vincere la Liguilla e qualificare il River alla Copa Libertadores. Quando è arrivato Passarella, però, il mio ciclo si è concluso. Non ho avuto chances, non ho avuto niente. Ma resto tranquillo, perché so che non sono stato un flop: non mi hanno permesso di trionfare. Quelle poche volte in cui entravo in campo, Passarella mi schierava per una decina di minuti e soltanto perché mancavano altri giocatori. Mi sembrava di essere un riempitivo e a 21 anni non mi stava bene”.
“La storia secondo cui avrei cacciato Batistuta è una bugia – gli ribatterà Passarella – Quel che è successo è che è si è prospettata una buona possibilità economica per il River, che in quel momento era particolarmente sotto pressione. Visto che come titolari avevo Medina Bello e il Polillita Da Silva, entrambi con un gran rendimento, ho dato l'ok al trasferimento. Ma non l'ho mai screditato come calciatore”.

A proposito di Passarella e Batistuta: il rapporto conflittuale tra i due andrà avanti per quasi tutto il decennio. Anche quando il Kaiser prenderà in mano le redini della Selección. Un ostracismo che quasi nessuno ha mai compreso. Per tutto il 1997, per dire, Passarella non convocherà mai Batistuta, nemmeno per la Copa America di quell'estate. Ignorando i fatti, puri e semplici, che vedono il Re Leone guidare l'attacco della Fiorentina e dominare la Serie A. Di più: lo costringerà a rifarsi il look. O ti tagli i capelli, o la Nazionale con me non la vedi.“Follie”, le definirà un decennio più tardi Batistuta. Che però nel 1998, al Mondiale francese a cui partecipa a furor di popolo, la criniera ce l'ha bella lunga.

Batistuta Passarella ArgentinaGetty Images

Tornando al trasferimento al Boca Juniors, nemmeno lì Batistuta trova immediatamente serenità. Non tanto perché l'hinchada lo guardi di traverso per il suo passato al River, quanto perché è lui stesso a non ingranare. Non gioca sempre, Bati. E quando gioca, fatica parecchio. Ha ricordato Carlos Aimar, l'allenatore che ha voluto e ottenuto il suo acquisto, che “sbagliava goal inconcepibili perché non aveva la fiducia necessaria. In una partita contro il Rosario Central ha tolto dalla linea di porta un goal fatto”.

Di nuovo, è un cambio in panchina a segnare la svolta. Questa volta in positivo. Un anno dopo Aimar lascia, in rotta con squadra e tifoseria, e al suo posto arriva Oscar Washington Tabarez. Il Maestro. Che osserva la squadra, si mette in azione e opera più di un cambiamento tattico. Tra cui lo spostamento di Batistuta da esterno a centravanti puro, perché sì, Bati con Aimar giocava più da 7 che da 9. E in cambio vede finalmente il giovane talento sbocciare. Nasce la coppia magica del calcio argentino: Batistuta più Latorre. Uno diventerà re alla Fiorentina. L'altro, ironia della sorte, da Firenze è appena tornato.

“Sin dalla prima partita, un 2-1 al Racing a Mar del Plata, notavo che qualcosa era cambiato – ha ricordato Latorre nel 2020 in uno dei suoi editoriali su 'La Nación' – Avevo buone sensazioni, mi sentivo in un altro contesto. […] Non avevo l'obbligo di andare a lottare con i due centrali, perché lì c'era già Batistuta, che li distraeva con la sua presenza. Il mio compito era diventato quello di fluttuare fino a trovare il modo di fare danni. E in qualche modo sono tornato ad essere quell'attaccante delle giovanili a cui gli allenatori ricorrevano quando serviva una giocata che decidesse una partita. Con Bati è nato qualcosa di divino quel giorno stesso. La sua perseveranza e la sua potenza nell'andare su tutti i palloni, andando in diagonale (preferibilmente dall'esterno verso l'interno), erano perfette per me. […] Io giocavo per lui e lui per me. Non c'era competizione tra di noi; al contrario, giocare assieme consentiva di estrarre il meglio da ognuno. Avevamo anchde la stessa età, con quella complicità che si genera quando si vivono praticamente le stesse cose”.

Il River Plate è dimenticato. Passarella è dimenticato. Batistuta gioca, segna, trionfa nel Clausura 1991. Si mette talmente in luce da essere convocato in Nazionale. Il Coco Basile lo chiama per la prima volta nel giugno del 1991, 1-1 in un'amichevole contro il Brasile, poi lo porta con sé nella Copa America di quella stessa estate. Che Batistuta domina, trascinando l'Albiceleste al trionfo e chiudendo da capocannoniere con sei reti.

C'è anche spazio per una rivincita contro il River Plate, come no. E pure contro il Passarella. Nella Copa Libertadores del 1991, le due grandi rivali sono inserite nello stesso gruppo. Il Boca vince entrambi gli scontri diretti, 4-3 (rimontando dall'1-3) alla Bombonera e 2-0 al Monumental. Se in casa Batistuta non segna, in campo nemico si scatena con la doppietta decisiva. Ed esulta in maniera sfrenata, agitando le braccia e urlando, in barba alla legge non scritta degli ex. Per la cronaca, il Boca Juniors si qualificherà alla fase a eliminazione diretta e il River, ultimo, verrà eliminato. Vendetta, dolce vendetta.

C'è una macchia in quella parentesi xeneize. Nelle settimane della Copa America, Newell's Old Boys e Boca Juniors si giocano la grande finale del campionato argentino. Se il Boca ha vinto il Clausura, la Lepra ha trionfato nell'Apertura. Trionfano i rosarini ai calci di rigore, ammutolendo la Bombonera sotto un diluvio. Batistuta non c'è, è in Cile per la Copa e guarda in tv i compagni uscire sconfitti. Si consolerà ben presto, lontano da Buenos Aires e dall'Argentina. Perché le porte verso la gloria, ormai, si sono spalancate di fronte a lui.

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