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Il Brescia e l’Intertoto 2001: quando Mazzone sfidò il PSG di Pochettino

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Quando nei pomeriggi del fine settimana ci ritroviamo a fantasticare sul calcio del passato recente, quello che ci scatena le sinapsi della nostalgia, finiamo inevitabilmente a pensare alla Coppa Intertoto. I più giovani è probabile che non sappiano nemmeno di cosa stiamo parlando, ma per chi al calcio si è avvicinato negli anni ‘90, quel torneo estivo ha rappresentato un capitolo più che affascinante del calcio internazionale. Soppresso nel 2008, dopo tredici anni di attività, il torneo dell’Intertoto ci ha tenuto compagnia per le nostre estati prive di calcio impegnato, cedendo poi il passo al famoso “calcio d’agosto”, quello al quale non si dà peso. In quattordici edizioni, la competizione è stata vinta da trentuno squadre diverse, sintomo sia di un format che riusciva a premiare moltissime società, sia del fatto che l’Intertoto fosse tra i più democratici dei tornei organizzati dall’UEFA.

Le italiane che vinsero l’Intertoto sono Bologna, Juventus, Udinese e Perugia: società che, in virtù della vittoria, ottennero la qualificazione alla Coppa UEFA (oggi Europa League) di quella stessa stagione. Chi ci andò vicinissimo, invece, fu il Brescia, che nell’edizione del 2001, due anni prima del Perugia di Serse Cosmi, arrivò a disputare la finale contro il Paris Saint-Germain, in una sfida dal sapore internazionale che avrebbe saputo accontentare anche il più esigente Cellino.

Il 2001 è l’anno in cui la Roma vince lo Scudetto superando di due punti la Juventus: è l’anno di Gabriel Batistuta, di Fabio Capello, di Damiano Tommasi e di Walter Samuel. I giallorossi hanno la meglio anche sulla Lazio, arrivata terza e staccata di sei lunghezze, ma anche sul Parma, che delle “non-big” è la prima. I ducali, infatti, finiscono staccati di 19 punti dalla capolista, ma con il quarto posto si qualificano comunque al terzo turno di Champions League, rubando il posto alle milanesi, rispettivamente quinta e sesta. Alle loro spalle l’Atalanta, che vent’anni fa si stava abituando a quel settimo posto che negli anni che stiamo vivendo potrebbe quasi essere letto come un fallimento. Mentre la Fiorentina vince la Coppa Italia, la Dea però decide di rinunciare alla partecipazione all’Intertoto: a Bergamo la competizione non interessava, perché anche l’anno successivo la famiglia Percassi preferirà occupare l’estate in maniera diversa piuttosto che con la competizione internazionale, lasciando spazio, in quel caso, al Torino arrivato undicesimo. A prendere il posto dell’Atalanta toccò agli avversari di sempre, ai vicini con i quali si era dato vita al più sentito dei derby lombardi: il Brescia di Carlo Mazzone.

Le Rondinelle della stagione 2000/01 aveva viaggiato sulle ali dell’entusiasmo dell’arrivo di Roberto Baggio. Il pallone d’oro del 1993 aveva raggiunto la Leonessa nel settembre del 2000 dopo un’estate fermo. La carriera del Divin Codino era arrivata alle sue ultime battute, con il ritiro che sarebbe arrivato di lì a quattro anni: l’ingaggio da parte del Brescia, però, fu un’operazione pronta a dare soddisfazione a entrambe le parti. Baggio prese subito la fascia di capitano, con l’obiettivo dichiarato di riprendersi il diritto di partecipare al campionato del mondo 2002. Due anni di contratto da 4,5 miliardi all’anno, pretesi dal tecnico Mazzone, con Baggio strappato alle sirene spagnole del Real Madrid, del Galatasaray e anche delle società giapponesi. Il sodalizio rassicura il Coniglio bagnato, come lo aveva definito l’avvocato Giovanni Agnelli, perché Baggio sa che Mazzone non gli avrebbe mai chiesto di correre sulla fascia per acciuffare il terzino di turno o di doversi sedere in panchina, come aveva fatto Lippi alla Juventus e all’Inter, o di dover finire a uno scontro acceso come con Capello al Milan. Baggio, d’altronde, era la croce e delizia degli allenatori: il protagonista delle notti magiche del ‘90, ma anche quello del rigore sbagliato a Pasadena. Mazzone questo lo sa e accetta di scendere al compromesso di tenerlo in squadra, pur di potersi godere un campione a quei tempi unico: nel contratto, quindi, viene inserita una clausola che permette a Baggio di svincolarsi nel caso di esonero del tecnico romano.

“Mazzone è stato un grande allenatore e una grandissima persona, forse nel calcio sarà difficile ricevere una figura così”, Roberto Baggio.

La scelta e il coraggio di Mazzone vengono premiati, perché con le reti di Baggio, tra cui anche una delle sue più belle siglate contro la Juventus e contro Edwin van der Sar, con la partecipazione di Andrea Pirlo, il Brescia ottiene il miglior risultato di sempre della propria storia: l’ottavo posto in Serie A. Con Castellazzi in porta, il Brescia schiera una difesa con Daniele Bonera e Aimo Diana, un centrocampo con Andrea Pirlo e Pierpaolo Bisoli, oltre ai fratelli Filippini, mentre all’attacco Dario Hubner, Igli Tare e Simone Del Nero accompagnano Roberto Baggio. È una rosa dall’alto tasso nostalgico, con dei nomi che hanno fatto la storia del nostro calcio e che, in gran parte, adesso si ritrovano seduti nelle vesti che furono di Mazzone all’epoca.

Grazie al piazzamento Uefa della Serie A, il Brescia ha così la possibilità di iniziare l’Intertoto dal terzo turno, evitandosi le ostiche gare di giugno. L’ultima giornata di campionato si disputa il 17 giugno: le Rondinelle vincono 3-1 contro il Bari con una doppietta di Tare e una rete di Hubner, che rispondono al vantaggio momentaneo di Poggi al 10’. Solo il tempo di esultare per l’ottavo posto, omologare il rifiuto dell’Atalanta, che Mazzone deve mettere in campo i suoi il 14 luglio, un mese esatto dopo l’ultima fatica domestica. L’avversario, con gara di andata e ritorno, è il Tatabanya, squadra bulgara arrivata quarta nel proprio campionato e che, tra le altre cose, al termine della stagione 2001/02 retrocederà in NBII, divisione nella quale attualmente milita. La pratica viene archiviata già all’andata, con le reti di Salgado e Guana: in panchina c’è Leonardo Menichini, vice di Mazzone, e le Rondinelle arrivano con una formazione rimaneggiata all’appuntamento. C’è Agliardi in porta, c’è Del Nero titolare in attacco, non c’è Baggio e non c’è Hubner. Al ritorno la musica non cambia e Mazzone conferma la stessa formazione, che riesce a pareggiare con una rete di Guana e guadagnarsi l’accesso alle semifinali.

L’Intertoto d’altronde impegna le squadre per un massimo di cinque partite, appena tre per il Brescia che entra forte del ranking dell’Italia più alto delle altre nazioni coinvolte. L’appuntamento, quindi, per il 25 luglio è contro i cechi del Chmel Bisany. La squadra del distretto di Louny non è tra le formazioni più memorabili incontrate da un’italiana: il suo ruolino di marcia odierno l’ha spinta nel dimenticatoio anche dei campionati locali, ma col Brescia provò a essere fastidiosa. Le Rondinelle, che stavolta vogliono sbagliare poco, rimettono Castellazzi in porta, confermano l’attacco Salgado-Del Nero, ma a centrocampo innalzano la diga dei fratelli Filippini e Diana. Succede tutto nel secondo tempo, con Del Nero ed Emanuele Filippini che al 57’ e all’83’ trovano le due reti del momentaneo 2-0, al quale risponde Laibl all’89’ per tenere vive le speranze. Vane, più che altro, dinanzi alla vittoria fuori casa del Brescia. Al Rigamonti, per il ritorno, al caldo umido del primo agosto, Igli Tare e Antonio Filippini rispondono a Velkoborsky e Pazdera, chiudendo la pratica sul 2-2 e spingendo il Brescia alla finale, contro il Paris Saint-Germain.

Mazzone l’Intertoto lo ha già vinto nel ‘98 con il Bologna, sa come portare a casa la competizione e non si spaventa. I francesi arrivano da un complessivo 7-1 al Genk e con Luis Fernandez in panchina schierano una formazione di tutto rispetto: in attacco c’è un giovane Nicolas Anelka, dietro di lui c’è un navigato Jay-Jay Okocha, mentre in difesa sono Gabriel Heinze e Mauricio Pochettino a serrare le fila. Mazzone per l’occasione può affidarsi a una freccia in più della propria faretra: è infatti arrivato in rosa Luca Toni, che per 30 miliardi di lire diventa l’acquisto più costoso della storia del Brescia. Non è ancora l’attaccante che farà gridare l’Italia o il Palermo o la Fiorentina o il Bayern Monaco, ma è un giovane 24enne che Mazzone decide di schierare accanto a Roberto Baggio, nel frattempo tornato disponibile per la doppia finale. Le gare dell’Intertoto prevedono l’andata e il ritorno anche all’ultima gara e al Parc des Princes le Rondinelle riescono a uscirne con la porta inviolata, ma senza segnare. Lo 0-0 lascia spiragli per qualsiasi esito, anzi mette quasi in discesa la strada per Mazzone. La pioggia fitta di Parigi lascia il Brescia carico per il ritorno, quindici giorni dopo, soprattutto per la prestazione di Baggio, che corre per tutto il tempo, dietro a qualsiasi pallone possibile.

Al ritorno tutto sembra andare a favore del Brescia, che sente di non essere troppo lontana dall’urna del sorteggio di Montecarlo per la Coppa UEFA. A dividerli ci sono 90 minuti di sofferenza e di resistenza. Dopo 165 minuti di equilibrio, però, a rovinare la festa delle Rondinelle è la rete di Aloisio a 15’ dal triplice fischio: una doccia fredda per la squadra di Mazzone, che aveva annunciato un catenaccio in grado di spaventare il tecnico Fernandez, ma che in realtà aveva presentato un Brescia arrembante, votato all’attacco. Dalla mediana in giù, il calcio totale dei bresciani aveva inaspettatamente colpito il Paris Saint-Germain: ci prova Emanuele Filippini, che arma il destro e sfiora lo specchio della porta; poi ci prova anche Luca Toni, che nello scontro con Pochettino cade a terra in area, reclama il rigore, ma l’arbitro fa giocare tra le proteste. Al 25’ ad alzare bandiera bianca è Nicolas Anelka, che per una botta al fianco destro lascia il campo: stessa sorte spetta a Toni, che dall’altro lato stringe i denti fino al rientro negli spogliatoi. Quella finale di agosto diventa un campo minato, disseminato di problemi e di difficoltà, con un ritmo alto e giocata a viso aperto.

Poi nella ripresa, però, il ritmo cala, il caldo inizia a farsi sentire. L’inizio viene ritardato di cinque minuti a causa dei fumogeni accesi dai tifosi: in atto c’è una protesta, che già nel primo tempo aveva visto la tifoseria protestare contro la presidenza con 15 minuti di silenzio. Mazzone, che pensa al campo, si gioca la carta Roberto Baggio, con la manovra che diventa più fluida: all’8’ del secondo tempo proprio il Divin Codino si inventa una buona verticalizzazione, ma la difesa francese è attesa. Poi Okocha fa tremare Mazzone: calcio di punizione che prende il palo interno alla sinistra di Castellazzi, palla che danza sulla linea ed esce lentamente. Si tratta del preludio al vantaggio che arriva al 29’: Aloisio riceve palla al limite dell’area, si gira e supera l’estremo difensore delle Rondinelle di collo pieno. Il Brescia, però, non molla: al 33’ Baggio cerca un rigore e lo trova, con l’arbitro che forse con un po’ di clemenza, e per compensare quello non dato a Toni nel primo tempo, comanda il tiro dagli undici metri. 1-1 e via ai dieci minuti incandescenti per il finale. Al Brescia ne serve uno, entra Del Nero al posto di Kozminski, mentre Fernandez toglie Mendy e inserisce Ducrocq, ma dinanzi ai 25mila del Rigamonti, dopo tre minuti di recupero, l’arbitro spagnolo Gonzales sancisce la vittoria del Paris Saint-Germain. Il Brescia viene sconfitto senza mai aver perso.

Quel 14 agosto del 2001, però, resta nella storia del Brescia: fu il prologo di un’altra stagione giocata al massimo delle possibilità, con la società che rispose alle polemiche ingaggiando, un mese più tardi, Josep Guardiola. Un anno a sei miliardi di ingaggio, dopo undici stagioni al Barcellona. Le Rondinelle arrivarono in semifinale di Coppa Italia, il miglior risultato di sempre in questa competizione, uscendo dopo il doppio confronto col Parma di Taffarel, Cannavaro, Nakata, Boghossian, Bonazzoli e Diana, trasferitosi ai ducali nella sessione autunnale di mercato. Fu l’anno della famosa corsa di Mazzone verso la curva dei tifosi dell’Atalanta, per festeggiare il 3-3 siglato da Roberto Baggio. Fu un anno che per la Leonessa resta nella storia.

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